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Conflitti idrici o idro-fratellanza?

Mentre è certamente vero che l’acqua potrebbe divenire causa di conflitti, non bisogna dimenticare la potenzialità dell'acqua di costituire un importante catalizzatore per la cooperazione a tutti i livelli inclusa l'integrazione economica.




*Le considerazioni contenute in questa nota sono da attribuire solamente all'autore. In alcun modo esse possono essere attribuite alla Banca Mondiale, o alle organizzazioni ad essa affiliate, o ai membri del comitato direttivo dell'Istituzione, o ai Paesi che in tale organismo sono rappresentati.

Acqua: un bene scarso e variabile
E’ previsto1 che, entro il 2025, la disponibilità idrica pro capite, comparata all’anno 1950, sarà del 60% nei Paesi industrializzati, e intorno al 20% in quelli in via di sviluppo. E’ ormai generalmente accettato che l’acqua non è più una risorsa illimitata, ma un bene comune che deve essere gestito secondo i principi e i metodi dell’economia.

Allo stesso tempo, essendo l’acqua alla base della vita, non è possibile non includere, nelle analisi economiche, aspetti di valenza sociale che, molto spesso possono risultare determinanti nelle decisioni. Nonostante l’accettazione, più o meno generalizzata, del concetto di risorsa economica, non fa fronte, a livello globale, il trattamento dell’acqua come tale. Un ulteriore elemento che genera accresciuta incertezza, ed inquietudine, nella gestione delle risorse idriche è quello degli effetti del riscaldamento della superficie del pianeta.
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Essendo il ciclo idrico determinato dalle vicende climatiche, è necessario porsi il problema di come tenere conto dell’atteso aumento della variabilità delle vicende idrologiche nella progettazione e nella gestione delle infrastrutture idriche. Purtroppo, come un recente studio2 ha messo in evidenza, ad una grande messe di studi e di sofisticati modelli matematici, elaborati nel contesto dei possibili "cambiamenti climatici", non fanno riscontro metodi affidabili per tradurre gli scenari elaborati in linee guida per la gestione delle risorse idriche. Alla radice di tale carenza sta il fatto che i Global Cirulation Models (GCMs) in uso non sono concepiti e formulati per la gestione delle risorse idriche. Nonostante i notevoli progressi degli ultimi anni, i vari GCMs generano ancora risultati contrastanti per quanto attiene al ciclo idrologico. Infine, le tecniche di ‘downscaling’, essenziali per trasferire informazioni dalla scala planetaria dei GCMs, alla scala del bacino idrografico, tendono ad accrescere la dispersione dei risultati.

Lo studio ha inoltre evidenziato che gran parte delle pianificazioni correnti hanno per orizzonte l’anno 2050, periodo in cui gli esperti ritengono sia possibile osservare gli effetti del riscaldamento globale in forma separabile dalla “normale” variazione idrologica. A fronte di tali incertezze, la gestione delle risorse idriche necessita continue revisioni dei programmi basati su scenari provvisori delle vicende idrologiche prevedibili. Tale approccio, che in terminologia anglosassone viene definito “adaptive management”, risulta essere il più affidabile almeno fino a quando il ‘bias’ sulle precipitazioni idriche sarà stato rimosso dai GCMs e quest’ ultimi saranno in grado di effetturare previsioni locali, alla scala di un bacino idrografico. In termini generali si può affermare che il ruolo strategico degli invasi, naturali e artificiali, viene grandemente accresciuto dall’aumento della variabilità idrologica.
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Example of dynamical regional downscaling for southern Africa


Aspetti finanziari
A livello mondiale sono in corso una serie di transizioni che hanno delle significative implicazioni sulla gestione delle risorse idriche. I problemi gestionali si stanno spostando dal livello locale a quello nazionale, e dal livello nazionale a quello internazionale, richiedendo nuovi approcci per l’allocazione della risorsa, e per gli aspetti finanziari. L’aumento della domanda idrica per usi urbani, industriali e ambientali comporta una crescente necessità di meccanismi consensuali per risolvere conflitti d’interesse e ri-allocare l’acqua in risposta all’evolversi della domanda. Il trattamento di tali problematiche deve tener conto: a) che i costi degli approvvigionamenti idrici e dei sistemi di trattamento delle acque sono in forte aumento, e b) che la gestione delle risorse idriche richiede un modello di sviluppo a lungo termine. Questi due aspetti complicano non poco le politiche d’investimento nel settore idrico che, a livello mondiale, sono nell’ordine dei 60 miliardi di US$/anno. Per quanto grande questa cifra possa apparire, è stato tuttavia stimato3 che, per ottenere gli Obiettivi del Millennio (UN Millenium Development Goals), tale importo dovrebbe salire a 180 miliardi di US$. Risulta chiaro, dalle cifre precedenti, che la soluzione dei problemi idrici a livello mondiale richiede impegni finanziari enormi. Risorse finanziarie che, nella maggior parte dei Paesi in via di sviluppo, non sono mobilitabili per ragioni macroeconomiche. Risulta altresì evidente che non ci si possono attendere risultati significativi in assenza di politiche aggressive e con l’intervento di tutti gli operatori del settore, non ultimo quello privato. L’enormità delle cifre in gioco non deve però far pensare che i problemi idrici possano risolversi solo con la mobilitazione di ingenti risorse finanziarie. Esiste tutta una serie di interventi a livello locale che rivestono un’importanza notevole soprattutto nei Paesi più poveri. A livello individuale tali interventi richiedono risorse finanziarie modeste, ma necessitano di una presenza capillare nel territorio e presentano elevate difficoltà di coordinamento per ottenere un impatto ad una scala significativa. Tali attività ‘locali’ vengono spesso presentate come un alternativa ai grandi finanziamenti richiesti per le infrastrutture e lo sviluppo istituzionale. Tale rappresentazione è errata e fuorviante: è infatti solo attraverso l’integrazione di tutti i tipi d’intervento, a tutti i livelli, che possiamo mantenere accesa la speranza di gestire in modo sensato le problematiche dell’acqua.
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Conflitti idrici o idro-fratellanza?
Da ultimo ritengo opportuno toccare il tema dei ‘conflitti idrici’, così cari alle informazioni di massa che regolarmente riportano potenziali, e a volte imminenti, conflitti internazionali a causa dell’acqua. Mentre è certamente vero che l’acqua potrebbe divenire causa di conflitti, non bisogna dimenticare la potenzialità dell’acqua di costituire un importante catalizzatore per la cooperazione a tutti i livelli inclusa l’integrazione economica. Per quanti fossero interessati ad una revisione storica delle cause dei conflitti avvenuti nell’ambito di grandi sistemi fluviali, J. Kalpakian4 offre un’approfondita analisi nell’ambito di tre grandi bacini fluviali: il Nilo, il Tigri- Eufrate, e l’Indus.

L’analisi inizia nel riconoscere che l’attribuire conflitti e guerre a dispute legate al controllo di fonti idriche è attraente perchè ha, almeno a prima vista, una sua logica. In realtà la tesi che esista uno stretto legame tra dispute idriche e conflitti non è basata su evidenze storiche, ma largamente basata su proiezioni di carenze idriche future. L’evidenza storica indica invece, con riferimento ai suddetti bacini, che invece dell’acqua, la causa ricorrente di conflitti sia da attribuire alla percezione sociale dell’identità nazionale o etnica.

Libri sul fenomeno water wars

Sarebbe istruttivo, per la gente, poter leggere di più sui molti esempi passati - neanche troppo lontani - e presenti di cooperazione tra nazioni basata sull’uso di risorse idriche comuni. Valgano gli esempi del Columbia River (Canada e Stati Uniti), dell’Indus (India e Pakistan), del Mekong (Cambogia, Laos, Tailandia, Vietnam). Tra gli esempi di iniziative in corso: il progetto del Peace Canal tra il Mar Rosso e il Mar Morto (Egitto, Giordania, Israele, Territori Palestinesi), la Nile Basin Initiative; quest’ultima di particolare interesse in quanto ha recentemente5 smentito la credenza storica che, prima o poi, sarebbe scoppiata una guerra tra i paesi rivieraschi per il controllo delle acque del Nilo, una ‘guerra idrica’ che, per altro, non è mai avvenuta. Sarebbe allora ancor più istruttivo,indubbiamente per i giovani, poter leggere di più su iniziative come l’NBI o, ancor più recentemente, su un’analoga iniziativa nel bacino del fiume Niger. Il 3 luglio 2007, la Banca Mondiale ha approvato una linea di credito di 500 milioni di dollari US per lo sviluppo integrato del fiume Niger.

Il programma avrà durata di 12 anni e sarà diviso in due fasi. La prima fase, di 5 anni, comprende Benin, Guinea, Mali, Niger, e Nigeria. Nella seconda, ai suddetti Paesi si aggiungeranno: Burkina Faso, Cameroon, Chad e Costa d’Avorio.

Il programma ha tre componenti:

• rafforzamento delle istituzioni di bacino e nazionali;

• riabilitazione e modernizzazione di infrastrutture idrauliche e studi attinenti a nuove infrastrutture a scopi multipli (navigazione, irrigazione, idroelettrico, potabile);

• miglioramento della gestione di aree naturali ad equilibrio fragile, idraulica rurale, difesa del territorio, agricoltura e forestazione.


Dopo una articolata negoziazione, i Paesi rivieraschi hanno abbracciato una visione di “fratellanza idrica” in luogo dell’usuale “competizione idropolitica”. Il programma del Niger rappresenta ora una possibilità concreta per lo sviluppo congiunto delle risorse idriche del bacino e per promuovere l’integrazione della regione.


Note:

1 World Bank (2002), “Water - The Essence of Life”. Disponibile sul sito: www.web.worldbank.org.
2 Bernt Rydgren, et al. (2007) “Addressing Climate Change - Driven Increased Hydrological Variability in Environmental Assessments for Hydropower Projects”. A scoping study for the World Bank.
3 World Panel on Financing of Water Infrastructure (Camdessus Panel), February 2003.
4 J. Kalpakian (2004) “Identity, Conflict and Cooperation in International River Systems”, Ashgate Publishing Co., England
5 La Nile Basin Initiative (NBI) venne istituita nel Febbraio 1999; l’ NBI è una associazione promossa e condotta dai paesi rivieraschi del Nilo attraverso il Consiglio dei Ministri degli Affari Idrici (Nile Council of Ministers, o Nile-COM). I paesi membri sono: Burundi, Egitto, Etiopia, Kenya, Republica Democratica del Congo, Rwanda, Sudan, Tanzania e Uganda; l’Eritrea partecipa come osservatore.