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Copertina della rivista

Orientale nei campi di riso

 

La gestione delle risorse idriche come elemento di conflitto nella regione mediorientale

Oggi nel mondo 1,6 miliardi di persone non hanno accesso all’acqua potabile e 2,6 miliardi a servizi igienico-sanitari di base. Ogni anno 1,8 milioni di persone muoiono per le malattie connesse all’utilizzo di acqua stagnante. Siamo di fronte a un “silenzioso genocidio” che si perpetua nell’indifferenza della comunità internazionale. Una situazione intollerabile causata da una politica mondiale imposta dalle imprese multinazionali e da precise responsabilità e scarsa volontà politica dei Governi.



Da un punto di vista strettamente ambientale, l’area mediorientale è caratterizzata da una forte desertificazione e, più in generale, da un aggravarsi del problema dell’approvvigionamento idrico a causa di costanti siccità e di politiche per alleanze geostrategiche che creano nuove oligarchie ed egemonie sulla gestione dell’acqua. In particolare, paesi come Siria, Palestina, Israele, Giordania, Iraq, Arabia Saudita e Sudan, soffrono siccità annuali su basi molto preoccupanti, fatto che sta contribuendo ad un deterioramento dell’ambiente naturale, perdita di biodiversità e scomparsa di fauna e flora.
L’acqua rappresenta l’attuale perno dei conflitti e contenziosi tra la Turchia e la Siria, a causa della costruzione da parte della Turchia di numerose dighe a monte del fiume Eufrate, tra la Turchia e l’Iraq per lo sfruttamento e il dirottamento delle acque a monte del fiume Tigri, tra la Giordania e Israele per lo sfruttamento del fiume Giordano, tra l’Egitto e il Sudan per la gestione del bacino idrografico del Nilo, e si potrebbe continuare.
In tutto ciò a soffrire maggiormente della scarsità di acqua potabile e per l’agricoltura, sono proprio quei soggetti politici non ancora costituitisi in Stati nazionali, quali la Palestina e il Kurdistan.

Restando in tema idropolitico, l’acqua è al centro di alleanze strategiche in Medio Oriente, come quella tra il duumvirato Israele-Turchia. Insieme i due paesi controllano il 90% dell’acqua della regione, dal Mediterraneo al golfo Persico. Israele infatti importa acqua per via marittima dalla Turchia e sono tutt’ora in corso progetti comuni per l’allargamento degli impianti idrici nella regione sudorientale della Turchia, parte dei quali servono proprio a favorire l’approvvigionamento idrico di Israele1.

Nella regione mediorientale l’intensa attività industriale di Israele sta causando severi danni al fragile ecosistema. Ad esempio, il progressivo e rapido prosciugamento del Mar Morto è causato principalmente dalla massiccia estrazione di sali minerali a scopo di trasformazione e vendita, cosa che sta provocando una vera catastrofe ambientale, riducendo pericolosamente la capacità rigeneratrice delle acque nella regione e dando vita allo stesso tempo al cambiamento culturale e alle perdite nei costumi tradizionali per le popolazioni nomadi beduine, che da sempre hanno popolato l’area intorno al Mar Morto. A questo si aggiungono le numerose chiusure di intere aree sia urbanizzate sia rurali o popolate dai nomadi, e restrizioni sulla popolazione da parte dell’esercito israeliano in termini di mobilità e quindi di accesso alle risorse, cosa che inevitabilmente ne comporta un ipersfruttamento, essendo esse già molto limitate.

Anche in Giordania la siccità e il problema dell’approvvigionamento idrico minacciano seriamente le popolazioni nomadi, che vivono nel deserto e si estendono anche alle aree urbanizzate, minando la già esigua produzione agricola e aumentando la dipendenza economica del paese da terzi.


L’acqua e il conflitto israelo-palestinese
La Cisgiordania e la Striscia di Gaza sono aree molto aride. In Cisgiordania le riserve sotterranee di acqua rappresentano la principale risorsa idrica. Qui la rete idrica è costituita da un sistema multiacquifero e sub-acquifero principalmente ricaricato dall’acqua piovana e composto dall’Acquifero Orientale, dall’Acquifero Nord-Orientale e dall’Acquifero Occidentale. Questi costituiscono le tre maggiori risorse idriche condivise tra Israele e Palestina. In particolare, l’acquifero Orientale corre interamente in Cisgiordania ed ha una portata annua di 100-150 milioni di m3 annui. Quest’acquifero era usato dai contadini palestinesi fino al 1967, quando, dopo l’occupazione, Israele vi estese il controllo e ne chiuse gli accessi soprattutto per deviarne le acque verso i sempre più numerosi insediamenti coloniali che venivano costruiti in Cisgiordania. La scarsità delle precipitazioni in inverno e la totale mancanza in estate, rendono la Cisgiordania, specie nelle zone al sud, una delle aree del mondo più soggette a desertificazione. L’acqua ha costituito uno dei più importanti elementi delle negoziazioni israelo-palestinesi per la definizione dello status finale dei territori occupati. Il controllo delle fonti idriche da parte di Israele è diretta conseguenza dell’occupazione militare della Cisgiordania e della Striscia di Gaza a partire dalla guerra dei sei giorni del 1967. Le politiche israeliane di appropriazione indebita delle acque, ampiamente documentate sia da organizzazioni non governative che internazionali, aggravano questa situazione già molto critica. Malgrado la creazione di un’Autorità Palestinese per la Gestione delle Acque a seguito della Dichiarazione di Principi del 15 settembre 1993, la creazione di un Comitato Congiunto per l’Acqua e gli Accordi di Taba del 28 settembre 1995, nel quadro più ampio degli Accordi di Oslo, non è mai esistita una chiara regolamentazione sul controllo e sull’amministrazione delle risorse idriche in Cisgiordania e a Gaza. Ripercorriamo le tappe del processo politico e degli Accordi esistenti tra le parti:

Primo stadio: Con la Dichiarazione di Principi (Oslo I - 1993) ci fu il primo accordo bilaterale secondo cui il tema delle risorse idriche si sarebbe dovuto discutere nel Comitato Permanente Israelo-Palestinese per la Cooperazione Economica. Le parti concordarono a preparare piani per il diritto all’acqua per i palestinesi e per un uso giusto delle risorse nella regione. L’accordo non ha identificato o stabilito nessun diritto specifico per le parti.

Secondo stadio: L’articolo 40 dell’Annesso III dell’Accordo di Oslo II (18 settembre 1995), ha costituito le basi per la pianificazione in campo idrico e per l’implementazione dei progetti durante il periodo ad Interim (1995-2000) che doveva produrre un accordo finale. Tale Articolo specifica che 70-80 Mm3/anno, provenienti dalla falda acquifera del bacino orientale, sono disponibili per uso palestinese, come altre risorse, incluse le falde condivise. Nonostante queste disposizioni, fin dal 1995, la quantità erogata (ai palestinesi) è stata di soli 30 Mm3/anno.

Terzo stadio: Durante i negoziati di Camp David II, avvenuti nel luglio 2001, Israele propose di aumentare le quantità d’acqua per i palestinesi a180 Mm3. I negoziati fallirono e il diritto all’acqua per i palestinesi non fu più discusso.

Quarto stadio: Durante gli Accordi di Taba II, che seguirono i falliti negoziati di Camp David II, la discussione sulle risorse idriche è continuata, ma senza progressi.

Quinto stadio: L’approccio proposto dalla Road Map (2002) menziona le risorse idriche nella regione palestinese solo una volta, in modo vago e all’interno del contesto regionale, non pone enfasi sull’acqua come una questione da negoziare.

Nel testo del documento si dichiara solo, come una delle priorità del progetto, la ripresa degli impegni multilaterali sulla questione delle risorse idriche, dell’ambiente, dello sviluppo economico, dei rifugiati e del controllo delle armi. Nella Road Map si parla di cooperazione regionale per risolvere il problema delle quote d’acqua senza mai menzionare il diritto dei palestinesi al controllo e all’utilizzo delle risorse idriche poste nel loro territorio e non è fatto riferimento alcuno alla legge internazionale sul diritto all’acqua.

Quando gli Accordi di Oslo erano ancora in vita, ossia prima che Ariel Sharon li dichiarasse non più validi, nel 2004, nelle aree C (poste sotto controllo militare israeliano) era proibito ai palestinesi il pieno utilizzo delle falde acquifere, così come la perforazione di nuovi pozzi e la definizione di quote alla popolazione per l’utilizzo dell’acqua. L’escalation del conflitto israelo-palestinese a partire dal 2000 con il fallimento di tutti gli accordi, ha cristallizzato la situazione e i palestinesi continuano ad avere accesso a meno del 20% delle risorse idriche che si trovano nel loro territorio: una quantità di acqua molto al di sotto delle loro reali esigenze e degli standard internazionali fissati dall’OMS. Secondo l’Autorità Palestinese per l’Acqua (PWA - Palestinian Water Authority), l’approvvigionamento idrico attuale per le famiglie palestinesi a uso domestico e per il fabbisogno agricolo, in entrambe Cisgiordania e Striscia di Gaza, è di 279 m3/anno (rispettivamente: Cisgi ordania 146 m3 e Striscia di Gaza 108 m3); di cui un totale di 174 m3 è usato in agricoltura (rispettivamente: 89 m3 in Cisgiordania e 85 m3 nella Striscia di Gaza), a fronte di un consumo da parte della popolazione israeliana di 1.959 m3/anno e a fronte di un consumo nelle colonie israeliane in Cisgiordania di circa 75 m3/anno dell’acqua destinata ai palestinesi.
Il livello di sfruttamento delle risorse idriche da parte di Israele incide moltissimo su quelle che si trovano in territorio palestinese e lascia i palestinesi con il minor tasso di consumo nell’interna regione mediorientale.
L'agricoltura assorbe il 70% del consumo di acqua e dipende fortemente dall'acqua piovana. Meno del 5% delle terre coltivate della Cisgiordania sono irrigate. I coloni israeliani della Cisgiordania consumano una quantità di acqua 6 volte maggiore a quella consumata dai palestinesi. Accanto al quadro politico e in forte dipendenza da questo, la poca acqua a disposizione è in moltissimi casi pericolosamente inquinata a causa dell'uso indiscriminato dei pesticidi e dei fertilizzanti nei territori palestinesi, dall'uso non controllato dello smaltimento delle acque reflue (meno del 2% della popolazione delle aree rurali della Cisgiordania è collegata a un sistema di fognatura e trattamento delle acque), dall’aumento della salinità delle riserve sotterranee di acqua dovuto al loro sovrasfruttamento, dalla mancanza di un piano di raccolta e smaltimento di rifiuti solidi a cui si unisce la non disponibilità di terreni per impiantarvi discariche e sistemi di smaltimento. Il conflitto in corso ha spesso avuto ripercussioni dirette notevoli sulle infrastrutture idriche (condutture e pozzi) che sono state danneggiate in quasi tutto il territorio ed a più riprese dall’esercito israeliano2.


Gli interventi del CRIC sull’approvvigionamento e il risparmio idrico in Palestina
Le variabili poste dalla situazione di perenne crisi e di occupazione militare non pongono elementi stabili per una pianificazione di sviluppo a medio-lungo termine. Gli interventi realizzati in questo senso, sia a livello bilaterale, sia da parte di ONG e istituzioni, sono parziali e molto spesso si sono limitati ad operazioni di emergenza di breve periodo. Presente in Palestina fin dal 1991, il CRIC ha implementato progetti in campo socio-educativo, di protezione dei diritti umani e dell’ambiente. Per quanto riguarda la gestione delle risorse idriche il CRIC ha realizzato dal 1997 ad oggi 6 interventi di assistenza alle comunità rurali e nomadi della Cisgiordania e della Striscia di Gaza che hanno previsto la costruzione di cisterne per la raccolta dell’acqua piovana, l’installazione di condutture idriche, la costruzione di pozzi, la fornitura di sistemi di irrigazione a goccia e la formazione su questioni igienico sanitarie legate al consumo dell’acqua, all’uso delle cisterne e dei pozzi e al risparmio idrico. Inoltre sono stati scritti manuali per l’uso corretto delle acque in agricoltura e per consumo domestico. Al momento è in corso un progetto che mira al sostegno della sicurezza alimentare delle comunità beduine nella Striscia di Gaza, all’interno del quale è prevista la costruzione di un impianto per la depurazione e il riuso delle acque grigie in agricoltura.

1 Ricordiamo il progetto sponsorizzato dagli USA Water-pipe for peace e il progetto GAP (13 progetti idrici) all’interno del quale sei progetti saranno realizzati da ditte israeliane. Il progetto GAP riguarda la costruzione di almeno 22 dighe e di numerosi impianti per il trasporto dell’acqua dalla regione sud-orientale dellíAnatolia, a monte dei fiumi Tigri ed Eufrate: in altre parole su quasi tutto il territorio kurdo. Per realizzare questo imponente progetto, uno dei più grandi al mondo, sono stati espropriati interi villaggi e si è operato uno stravolgimento ambientale e culturale sulla popolazione formata da differenti etnie, al punto che esso si può dire sia un progetto mirato, a livello locale, proprio al controllo delle popolazioni residenti, mentre a livello internazionale esso si pone come risposta chiave alla crisi delle acque nel Mediterraneo orientale.

2 Per informazioni esaustive sulla questione idrica nei territori palestinesi e sugli effetti su questa del conflitto in corso si consultino i materiali messi a disposizione dal Palestinian Hydrology Group (www.pgh.org), dall’Applied Research Institute-Jerusalem (www.arij.org), dall’Israeli-Palestinian Center for Research and Information (www.ipcri.org) e da BíTselem - The Israeli Information Center for Human Rights in the Occupied Territories (www.btselem.org).


CRIC
Orientale nei campi di risoIl Centro Regionale d'Intervento per la Cooperazione (C.R.I.C.) è una associazione senza fini di lucro sorta nel 1983. Opera prevalentemente nell'ambito della solidarietà e della cooperazione, intese soprattutto come forma di "scambio e reciprocità" tra le realtà sociali, culturali ed economiche più attive in Italia ed i soggetti emergenti dei paesi del Sud del Mondo. Nel maggio del 1986 il C.R.I.C. è stato riconosciuto dal Ministero degli Affari Esteri, ai sensi della legge 49/1986, come Organizzazione non Governativa (ONG) idonea ad operare nell'ambito della cooperazione italiana con i Paesi in Via di Sviluppo (PVS). Nello stesso anno ha avuto accesso alle linee del co-finanziamento dell'Unione Europea per realizzare programmi di sviluppo, di educazione allo sviluppo e all'interculturalità. Nel settembre del 1993 ha sottoscritto con l'Ufficio per gli Aiuti Umanitari dell'Unione Europea (ECHO) un accordo di partenariato al fine di promuovere e gestire progetti di aiuto umanitario nei paesi in situazioni di emergenza.
Fin dall'inizio delle proprie attività, il C.R.I.C. si è caratterizzato per un forte impegno sul territorio, nell'ottica di una cooperazione sud-sud con altre aree periferiche del mondo. Questa scelta ha fatto sì che l'organismo ha inteso operare in altri paesi privilegiando quei settori ed ambiti in cui era maturata un'esperienza significativa nel proprio territorio.
In quest'ambito va inquadrata l'attività di educazione e le campagne di sensibilizzazione: un'attività che accompagna e si integra con le altre che il CRIC realizza in Italia ed all'estero.

“Acqua: bene comune,diritto di tutti” è una campagna nazionale volta a sensibilizzare l’opinione pubblica rispetto alle problematiche nazionali ed internazionali legate alla limitatezza di questa risorsa indispensabile per la sopravvivenza di tutti e di tutte. All’interno di questa campagna, portata avanti con molte ONG italiane sono state realizzate, varie attività per realizzare l’obiettivo generale del progetto: promuovere il concetto di acqua come diritto e bene comune dell'umanità articolato a sua volta in ben tre obiettivi specifici:
• Sensibilizzare l'opinione pubblica sulla situazione dell'accesso all'acqua nei PVS;
• Aumentare la consapevolezza delle diverse agenzie educative rispetto alla connessione fra educazione all'acqua e educazione alla cittadinanza;
• Promuovere processi di cambiamento nella gestione dell'acqua, orientati ai principi di cooperazione, partecipazione e solidarietà.

Sono stati dunque promossi nuclei locali di azione nel sud dell’Italia con l’organizzazione di workshop e l’attivazione di una Campagna educativa e formativa territoriale attraverso percorsi formativi ed educativi sul tema dell’acqua nelle scuole, si è aderito con numerose iniziative alla Campagna europea di comunicazione e sensibilizzazione, ed alla Giornata mondiale dell’acqua - 22 marzo. In particolare i ragazzi coinvolti hanno realizzato una serie di dispense ed anche uno slide show sull’Acqua.

Le linee strategiche individuate dal CRIC vengono costantemente approfondite, verificate e rimodulate per adeguarsi agli scenari mutevoli che caratterizzano la nostra epoca. In questa prospettiva, sia le azioni innovative realizzate in Italia che quelle effettuate in paesi ed aree già conosciute, sono finalizzate a stabilire rapporti di partenariato con associazioni, gruppi ed Ong locali con le quali sostenere iniziative politiche e progetti concreti sulle tematiche che ne caratterizzano la MISSION.

L’approccio del CRIC all’aiuto umanitario è caratterizzato da sempre da un rifiuto a correre dietro alle emergenze, ma piuttosto di trasformare l’aiuto umanitario in impulso diretto di sviluppo evitando il puro assistenzialismo. Tutto ciò promuovendo programmi di sostegno alle popolazioni colpite dai disastri e dalle guerre solo dove il CRIC era presente e radicato nelle realtà locali. E' per questo motivo che il CRIC ha consolidato la propria presenza nelle aree teatro di conflitti negli anni immediatamente precedenti. Con programmi di intervento mirati alla gestione del "post-emergenza", si è cercato anche di creare in alcuni paesi, quali Ecuador, Eritrea, FYR of Macedonia, Serbia e Palestina una omogeneità ed una sinergia di azioni fra emergenza e sviluppo realizzate dal CRIC, ed avviando una politica di approfondimento e miglioramento della metodologia di lavoro e della sua efficacia.
In questo settore di intervento, in quest’ultimo periodo, il CRIC ha realizzato in particolare le seguenti iniziative sul tema dell’Acqua:

- “Water and agriculture assistance to the Palestinian rural families resident in Beit Hanoun, North Gaza Strip” - aiuto umanitario alle famiglie residenti nelle località rurali, rivolto a favorire l'accesso all'acqua ed il miglioramento della produzione agricola, seriamente danneggiati dalle invasioni dell'esercito israeliano. Lo scopo del progetto era di rispondere all'emergenza che si è creata in campo sanitario, ambientale ed economico dopo le operazioni militari e che ha colpito la popolazione rurale più vulnerabile.
- “Improving living conditions of Bedouin communities living in Gaza Strip by enhancing the most vulnerable households economy and food security” - aiuto umanitario per contribuire ad alleviare la povertà nelle comunità Beduine della Striscia di Gaza, e per contribuire al miglioramento delle condizioni economiche e della sicurezza alimentare, attraverso una serie di azioni che tendono a migliorare tecniche e conoscenze di veterinari ed agricoltori e che mirano alla costruzione di impianti di depurazione dell’acqua per uso alimentare e di sistemi innovativi di irrigazione.

In Palestina, inoltre, l’intervento del CRIC si è concentrato sul miglioramento delle condizioni igienico-ambientali nella Municipalità di Beit Lahiya, razionalizzando il sistema di raccolta dei rifiuti ed orientandolo alla riduzione delle quantità conferite in discarica e al loro utilizzo come materia prima derivata. Due iniziative, in particolare, sono in corso in questo ambito, “Gestione e Riciclo dei Rifiuti Solidi Urbani nella Municipalità di Beit Lahiya - Striscia di Gaza” e “Sanabil. Produzione di Compost da Rifiuti Organici Urbani ed Educazione Ambientale nel Municipio di Beit Lahiya”, co-finanziate rispettivamente dal Ministero Affari Esteri e dalla Regione Lombardia.

CRIC Reggio Calabria - Via Monsolini, 12
80121 Reggio Calabria
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