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Nuova tecnologia di bonifica di cromo esavalente nei terreni e nelle acque di falda

 



Se fino a qualche anno fa solo pochi di noi si domandavano da dove venisse l’acqua che generosa usciva dai rubinetti di casa né tanto meno dove andasse a finire attraverso lo scarico, oggi in molti parliamo delle difficoltà a rigenerarla e delle modalità per poterla reintrodurre nell’ambiente attraverso trattamenti biologici e chimico-fisici.

Tutti ci troviamo nella condizione di dover maturare una differente sensibilità nei confronti dell’acqua come risorsa che nessuno ormai può più definire inesauribile. La necessità che gli scarichi civili ed industriali non vadano a compromettere l’equilibrio biologico di fiumi e mari, l’esigenza di avere garantita la qualità di acqua potabile utilizzata quotidianamente, devono andare di pari passo con la volontà di preservare questa irrinunciabile risorsa: non solo evitando che vada sprecata, e questo è un compito che spetta a ciascuno di noi, ma soprattutto investendo risorse e mezzi per ottimizzarne e migliorarne la gestione.

Non tutti sanno che la maggioranza degli acquedotti del nostro paese viene alimentata da acque emunte da pozzi senza che le stesse necessitino di ulteriori trattamenti di purificazione. A causa del sempre più presente inquinamento delle falde superficiali i nuovi pozzi vengono scavati in modo da sfruttare acquiferi sempre più profondi. Talvolta, nonostante ciò, nelle acque vengono rilevate tracce di composti od elementi inquinanti, inevitabilmente derivanti dall’attività che l’uomo svolge in superficie. Sono tristemente noti episodi di messe fuori servizio di pozzi per la presenza in falda di solventi clorurati o metalli pesanti. Talvolta il protagonista di questi episodi è il cromo esavalente, proveniente da sali contenenti cromo (cromati o dicromati) ampiamente utilizzati in diversi settori industriali.

Il cromo in questa forma è uno degli inquinanti maggiorente insidiosi: per la sua tossicità, anche in concentrazioni molto basse (limite ammesso per lo scarico 5 µg per litro) risulta essere cancerogeno e mutageno; per l’elevata solubilità nel terreno che è causa di contaminazioni riscontrabili anche a decine di chilometri di distanza dal nucleo originario e pertanto difficilmente riconducibili ad esso. L’attenzione dedicata negli anni all’innovazione del prodotto e all’evoluzione di nuove applicazioni nel campo dei gas tecnici, ha portato il Gruppo Sapio a sviluppare tecnologie energeticamente compatibili nel pieno rispetto dell’ambiente.

E’ in questo contesto che va inserita l’attività di ricerca svolta da Sapio su un sito fortemente contaminato da cromo esavalente. Gli studi fatti hanno portato all’applicazione, per la prima volta, di una innovativa tecnologia di bonifica con reagenti gassosi in grado di dare straordinari risultati.

La contaminazione di falde e terreni da cromo esavalente è oggi un problema significativo in tutto il mondo. In passato si è fatto ampio uso di sali di cromo esavalente in diverse e diffuse attività e applicazioni industriali: gli stessi impianti di produzione di tali sali, sono da ritenersi siti a rischio che potrebbero richiedere interventi di bonifica dei terreni sottostanti.

Dagli anni ’80 si sono sviluppate varie tecniche di bonifica sia di tipo ex-situ che in-situ. Tali tecnologie vanno dall’isolamento, all’immobilizzazione, alla riduzione di tossicità, alla separazione fisica, all’estrazione.

E’ frutto di un lavoro congiunto fra Sapio e DEFAR, società da anni impegnata nella consulenza su problematiche di depurazione e bonifica, la neo brevettata tecnologia di bonifica in situ di stabilizzazione geochimica di terreni e falde contaminate.

Il processo mira alla riduzione chimica del CrVI (adsorbito nel terreno, nell’orizzonte saturo e insaturo e presente in soluzione nelle acque di falda) a CrIII utilizzando reagenti a bassissimo impatto ambientale e arrivando a prodotti di reazione innocui. Il processo porta alla riduzione completa del CromoVI a CromoIII e quindi all’eliminazione della tossicità di tutte le matrici inquinate. Nell’arco di pochi mesi, la reazione arriva a conversione pressoché totale del CrVI a CrIII poiché sfrutta le diverse caratteristiche di solubilità, adsorbimento sulla matrice solida, mobilità e comportamento chimico delle due specie ioniche. Il gas è molto attivo sull’inquinante, è permeabile e solubile e raggiunge tutte le parti inquinate di terreno indipendentemente dal tipo di matrice. Nei confronti dei metodi di bonifica classici, attualmente usati e riconosciuti, questa nuova tecnologia si propone quindi come BAT nella bonifica in situ di terreni e falde inquinate da CrVI, rispondendo ai più importanti requisiti legislativi nei criteri di scelta dei metodi di bonifica.

Permette di:
1) privilegiare le tecniche di bonifica tendenti a trattare e riutilizzare il suolo nel sito, mediante trattamenti in situ ed on site, con conseguente riduzione dei rischi derivanti dal trasporto e messa a discarica di terreno inquinato;

2) trasformare un inquinante molto mobile, mutageno e cancerogeno in un metallo pesante stabile e non cancerogeno;

3) agire efficacemente sia in zone ad alta concentrazione di inquinante (fino al nucleo dell’inquinamento), sia come barriera chimica contro la diffusione dell’inquinante nel mezzo acquoso;

4) utilizzare sostanze chimiche presenti in natura, senza apporto di sostanze esogene alle matrici ambientali;

5) evitare il rischio aggiuntivo dello spostamento dell’inquinamento ad altre matrici (aria, acquiferi sotterranei o superficiali, suolo) nonché ogni inconveniente di rumore od odori;

6) operare la scelta di tecnologie anche sulla base di aspetti economici minimizzando le opere da realizzare;

7) trattare aree inquinate dismesse o ancora in uso, in tempi ammissibili e indipendentemente dal tipo di matrice.