La via della progressiva emancipazione dalle
fonti tradizionali deve essere una priorità di
qualsiasi governo, amministrazione regionale o
locale, come di qualsiasi azienda e singolo cittadino
che sia dotato di sufficiente lungimiranza o
semplicemente di senso di responsabilità nei confronti
dei propri simili e delle generazioni che verranno.
Sostenibile è la gestione di una risorsa
(acqua, terra, foreste, risorse
energetiche etc.) quando il suo
impiego non compromette la sua spontanea
capacità di rigenerazione, ovvero
assicura a noi e alle generazioni future
la possibilità di continuare a utilizzare
tale risorsa.
La prima, apparentemente banale
manifestazione della comprensione
profonda di tale concetto è, senza dubbio,
l’eliminazione degli sprechi, per
definizione del tutto scollegati dalla
possibilità di mantenere gli stili di vita
acquisiti e dagli elementi di benessere ai
quali non tutti sono disposti a rinunciare.
Purtroppo, nemmeno questo concetto
profondamente radicato nella saggezza
dei nostri avi, sembra essere patrimonio
comune: tanto per fare un primo esempio,
uno studio dell’ANPA del 1999
(Florentin Krause), tra i più “conservativi”
nella valutazione dell’entità degli
sprechi di energia elettrica sul territorio
italiano, stimava un potenziale risparmio
con interventi di efficienza energetica
totale ottenibile da tutti gli usi finali
elettrici (tramite interventi poco
costosi o addirittura a costo zero) pari a
circa 66 TWh al 2010 (fabbisogno elettrico
al 2004 pari a 335 TWh).
In altri termini, almeno il 20% della
preziosissima energia elettrica prodotta
per soddisfare il fabbisogno italiano (al
caro prezzo economico, ambientale e
sociale che ormai è sotto gli occhi di
tutti) viene letteralmente sprecata nelle
nostre case, negli uffici, nelle industrie.
Se si considera il fabbisogno complessivo
di energia (comprendendo cioè
anche gli usi termici), tale percentuale
sale significativamente. Il solo settore
edilizio è responsabile, a seguito di alcuni
lustri di totale e dissennata incuria,
di sprechi di entità tale per cui, ad
esempio, una casa italiana consuma per
il riscaldamento invernale mediamente
ben più di una casa tedesca o austriaca,
malgrado la evidente differenza climatica
dovrebbe giocare a nostro vantaggio.
Sul fronte delle emissioni climalteranti,
drammatico rovescio della medaglia
dell’energia proveniente dalle fonti fossili,
i più recenti studi dell’IPCC
(Intergovernmental Panel on Climate
Change) e la maggior parte degli studiosi
concorda nel ritenere che l’aumento
delle concentrazioni di gas serra
in atmosfera sia una delle cause principali
dei cambiamenti climatici, in
quanto fenomeni come l’aumento
medio della temperatura terrestre (1/2
grado negli ultimi vent’anni), l’innalzamento dei mari e degli oceani, la desertificazione,
lo scioglimento delle nevi e
dei ghiacciai (la superficie artica si riduce
ogni 10 anni del 10%; nelle Alpi si
registra una ritirata dei ghiacci del 15%
negli ultimi 20 anni), gli eventi catastrofici
sempre più frequenti (Uragano
Katrina, Ivan), i cambiamenti nei sistemi
naturali con perdita della biodiversità
sono cresciuti esponenzialmente
negli ultimi 50 anni, evidenziando lo stretto rapporto tra alterazioni climatiche
e attività antropiche.
Negli ultimi 50 anni, infatti, l’impatto
delle attività umane sull’ambiente è stato
a dir poco impressionante e l’utilizzo dei
combustibili fossili (petrolio, carbone,
olio, gas) per la produzione di energia ha
avuto incrementi notevoli, con relativa
emissione di tonnellate di CO2 nell’atmosfera.
Si pensi che a partire dal 1971
l’impiego di energia globale ha avuto un
incremento del 70% e che, malgrado uno
sforzo notevole dei paesi con i consumi
storicamente più elevati verso il contenimento
degli stessi, continuerà ad aumentare
con l’eccezionale sviluppo recente di
paesi come la Cina e l’India.
In questo contesto, considerando anche
il prezzo crescente delle risorse tradizionali
e i problemi di sicurezza legati
all’approvvigionamento, l'obiettivo dell'efficienza
e di un uso razionale della
risorse energetiche oggi è divenuto una
priorità riconosciuta dalla maggior parte
dei governi, dalle aziende e dai cittadini,
a prescindere dall’adesione a particolari
ideologie, logiche politiche o partitiche.
Come insegnano le esperienze dei paesi
leader del settore delle rinnovabili e dell’efficienza
energetica (Germania,
California, Giappone), cogliere la sfida
della sostenibilità può divenire un elemento
di recupero di competitività
internazionale ed innovazione interna
(la continuità dell’impegno dei governi
susseguitisi nell’ultimo trentennio,
hanno consentito alla filiera delle rinnovabili
tedesca di creare un settore nel
quale trovano impiego, attualmente,
circa 250.000 addetti).
In Italia la strada della protezione attiva del clima, da poco intrapresa e non
sempre con la dovuta determinazione,
è attualmente ben lontana dal mostrare
frutti concreti.
L'Italia sta accumulando un debito di
oltre 4 milioni di euro al giorno (4,1
milioni di euro) per lo sforamento delle
emissioni di CO2 rispetto all'obiettivo
previsto dal Protocollo di Kyoto. Per la
precisione, dal 1° gennaio 2008 il debito
è di 47,6E ogni secondo e al 20
marzo abbiamo già superato i 320
milioni di euro che diventeranno quasi
1,5 miliardi di euro a fine 2008.
La crescita del debito (per ogni tonnellata
di CO2 abbiamo stimato un prezzo
di 20E) si può visualizzare in tempo
reale dal contatore presente nel sito del
Kyoto Club. Questo costo deriva dal
divario di oltre 75 milioni di tonnellate
di CO2 (aggiornamento al marzo 2008)
che ci separa dagli obiettivi di Kyoto,
con un livello di emissioni del 9.9%
superiore rispetto al 1990. Va ricordato
che nel periodo di adempimento 2008-
2012, la quantità di emissioni assegnate
all'Italia è pari a 483 Mt CO2 eq (-6,5%
rispetto al 1990).
Questa è un'emergenza pesante in termini
economici, di immagine e di mancate
opportunità. Paghiamo dieci anni
di sottovalutazione del problema climatico
e di una notevole superficialità
rispetto all'entrata in vigore del
Protocollo.
Poiché ogni ulteriore ritardo comporterà
costi crescenti sarà fondamentale che
le istituzioni mettano al centro delle
politiche del paese la questione climatica,
con conseguenti scelte oculate su
efficienza energetica, utilizzo delle fonti
rinnovabili e trasporti. (“Il costo del
ritardo degli obiettivi di Kyoto”,
www.kyotoclub.org).
Come possono le Amministrazioni
locali divenire protagoniste di un cambiamento
di rotta in tal senso?
La campagna sperimentale “Comuni
AzzeroCO2” ha dimostrato come, al di
là di affiliazioni politiche o partitiche di
questo o quel colore, gli amministratori
locali si siano resi conto, da un lato,
della cresciuta e crescente sensibilità dei
cittadini (che sono sempre più esigenti
in tema di riduzione degli sprechi e di
tutela attiva dell’ambiente che li circonda
e in cui crescono i propri figli) e, dall’altro,
della possibilità di ridurre drasticamente la spesa energetica (e, quindi
economica) della gestione delle strutture
e infrastrutture comunali, liberando
risorse da reinvestire sulla qualità della
vita dei propri cittadini.
La riduzione dei consumi elettrici per
l’illuminazione pubblica (fino al 60% di
spesa annua nel caso di ricorso alla tecnologia
dei LED) e per la gestione di
strutture e uffici comunali, la riduzione
dei consumi di energia termica per il
riscaldamento degli edifici, per la fornitura
di acqua calda sanitaria presso strutture
sportive, abitative o ospedaliere
(riduzione che può arrivare al 50÷80%
dei consumi se le misure di efficientamento
energetico delle strutture vengono
accompagnate dalla scelta di impianti
solari termici), la possibilità di divenire
autoproduttori di elettricità e di
garantire un reddito all’Amministrazione
grazie al ricorso a sistemi fotovoltaici
(incentivati dal conto energia,
particolarmente favorevole proprio per
le amministrazioni locali), la possibilità
di sostituire vetuste ed inquinanti caldaie
a gasolio ricorrendo a caldaie a biomassa
(che consentono di attivare filiere
locali e creare posti di lavoro), sono
ormai realtà sotto gli occhi di tutti.
Se, per poter realizzare gli interventi
citati, un problema per le
Amministrazioni può essere rappresentato
dalla capacità di indebitamento,
anche a causa della necessità di restare
nei limiti imposti dal patto di stabilità,
una delle soluzioni al momento disponibili
è senza dubbio lo strumento del
Finanziamento Tramite Terzi.
Le società per i servizi energetici (ESCO,
Energy Service COmpany) hanno tra le
proprie finalità costitutive proprio quella
di facilitare la diffusione di tecnologie
efficienti e di impianti alimentati da
fonti rinnovabili presso amministrazioni
locali, aziende o cittadini, facendosi
carico (in proprio o tramite l’intervento
di un istituto di credito) dell’investimento
iniziale e della gestione degli
impianti stessi e rivalendosi economicamente
sui risparmi generati, nel corso
degli anni successivi alle installazioni.
Si possono prevedere due diverse tipologie
di contratto che regolano la partecipazione
ai risparmi ottenuti:
1) Contratto a “cessione globale limitata”
(First Out): la E.S.Co riceve via
via il 100% del controvalore dei
risparmi energetici ottenuti, per la durata minima tale da permettere
l’ammortamento dell’investimento
e il guadagno della E.S.Co;
2) Contratto a Risparmio Condiviso
(Shared Saving): la ripartizione dei
ricavi da risparmio energetico è
espressa da una coppia di percentuali
che insieme ammontano a 100: ad
esempio una ripartizione al 70/30
implica che la E.S.Co riceve il 70%
della quota di risparmio e il cliente il
30% (il cliente, in altre parole, sin
dal primo anno gode di una parte di
benefici attesi).
Le possibilità di azione in questo
momento sono molteplici e, in alcuni
casi, molto favorevoli agli utenti finali,
nel breve-medio periodo, anche in termini
economici: occorre, tuttavia, che
il processo di riorganizzazione strutturale,
di semplificazione del sistema
degli incentivi per rinnovabili ed efficienza
e dell’assetto procedurale ed
autorizzativo (vero nodo ancora ben
lontano dall’essere sciolto sul territorio
nazionale) non si arresti ma che, anzi
proceda con assoluti vigore e radicalità.
I citati obiettivi al 2012 non sono che il
primo dei traguardi da raggiungere per
non perdere risorse e competitività
internazionale: la posizione della
Comunità Europea in tal senso è chiarissima
e gli obiettivi al 2020 (20% di
riduzione di emissioni climalteranti,
20% di riduzione dei consumi energetici,
20% di approvvigionamento di energia
primaria da fonti rinnovabili) non
ammettono deroghe né ulteriori rallentamenti:
lezione che le nazioni che ci
circondano, a partire dalla Spagna,
hanno capito perfettamente.
La via della progressiva emancipazione
dalle fonti tradizionali (tutte, compreso
il nucleare, affette da scarsità, da grave e
irreversibile impatto sull’ambiente, da
distribuzione geopolitica non omogenea
con annesso ingombrantissimo
bagaglio legato all’insicurezza di approvigionamento,
agli squilibri politici
internazionali, alla sicurezza nazionale)
deve essere una priorità di qualsiasi
governo, amministrazione regionale o
locale, come di qualsiasi azienda e singolo
cittadino che sia dotato di sufficiente
lungimiranza o semplicemente
di senso di responsabilità nei confronti
dei propri simili e delle generazioni che
verranno.