E'sconcertante l'ultimo rapporto
della Commissione Ue sulle
spese in ricerca e sviluppo delle
società europee, riferito al 2006. Per
vedere comparire la prima azienda italiana,
infatti, bisogna scorrere la lista
fino al 17° posto, ottenuto da
Finmeccanica con 1.869 milioni di
euro. Segue Fiat in 25a posizione (1.184
milioni di euro), quindi nulla fino
all'83° posto in cui figura l’Eni con 222
milioni di euro. Quest'ultima figura
quarta in valori assoluti, nella classifica
dei produttori di petrolio e gas (dietro a
Shell, Total e BP), ma mostra un bassissimo
rapporto tra le spese in R&S e il
fatturato: 0,3%.
L'Enel fa però anche
peggio, situandosi al 436° posto della
graduatoria europea con investimenti
in R&S di appena 20 milioni di euro e
un rapporto fatturato/spese R&S dello
0,1%. L’Enel è all'8° posto nella classifica
delle aziende elettriche europee, due
posizioni dietro a Terna, 356a nella
classifica generale con investimenti
2006 in R&S per 26,5 milioni di euro e
un rapporto fatturato/spese R&S del 2%. Dopo l’Enel non ci sono altre
aziende energetiche italiane che compaiono
nella classifica pur avendo il
nostro Paese una posizione importante
in Europa sia per fatturato sia per investimento.
Ma se questa è la situazione
del settore privato guardando il settore
pubblico, la situazione della ricerca e
sviluppo nel settore energetico non
cambia.
Ferma da tempo (ora sta ripartendo)
la ricerca di sistema nel settore
elettrico che viene finanziato con una
piccola trattenuta sulla componente
A5 (oneri di sistema) dalla nostra bolletta
elettrica e che è stata per due anni
bloccata per procedure amministrative
e burocratiche su chi e come doveva
essere fatta! Inesistente la ricerca nel
settore gas, dove peraltro vi sono carenze,
emergenze e necessità di approfondire
temi vecchi (es. sicurezza) e temi
nuovi (rigassificatori e stoccaggi).
L’Autorità per l’Energia ha dovuto chiedere
recentemente al Politecnico di
Torino di fare una ricerca per verificare
fino a che punto è possibile potenziare
la pressione negli attuali stoccaggi per tentare di valutare se e come si può fare
di più nella erogazione di gas nelle
situazioni di emergenza come quella
che ci aspetta nel prossimo inverno.
Scarsa la ricerca nel settore delle fonti
rinnovabili, dove il nostro Paese ha
perso una grande opportunità vent’anni
fa quando aveva iniziato a sviluppare
ricerche e tecnologie innovative in
tutte le energie rinnovabili (fotovoltaico,
geotermia, eolico, biogas etc.).
Oggi c’è l’ENEA che fa qualcosa, ma
rimane assente per motivi istituzionali
in molti filoni di ricerca, e sopratutto
nella ricerca nucleare che in Italia è
stata abbandonata completamente.
Complessivamente secondo le ultime
statistiche AIE che risalgono al 2004,
noi spendiamo in R&D nel settore
energetico pubblico circa 250 milioni
di euro che rappresentalo 0,02% della
spesa pubblica per R&D in campo energetico
dell’insieme dei paesi occidentali
(e cioè facenti parte dell’AIE)
Dopo questo, anche se fugace, quadro
di desolante impegno nella R&D del
settore energetico nel nostro Paese è
d’obbligo domandarci se è necessario
ed in che misura un rilancio della ricerca
in questo settore.
Orbene, è noto a
tutti quale è la situazione di forte vulnerabilità,
dipendenza, costo del
nostro approvvigionamento energetico.
La nostra bolletta energetica, che lo
scorso anno ha toccato i 50 miliardi di
euro, il 3,4% del PIL, continua a crescere
trainata dal continuo aumento del
prezzo del petrolio, del gas ed ora
anche del carbone. Le nostre imprese
pagano il 25% in più di costo di energia
rispetto alle analoghe aziende europee
e quindi continuano a delocalizzare
gli impianti in Europa dell’Est o in
Asia con indubbi danni per l’economia
e l’occupazione. L’inflazione, trascinata
dai maggiori costi del trasporto su strada
(a causa dell’aumento del prezzo dei
carburanti) che colpisce tutti i prodotti
ed i generi alimentari e dall’incremento
dei costi dei servizi energetici (elettricità
e gas), continua a salire ogni
mese.
I consumatori finali considerano
ormai le bollette di luce e gas che pagano
ed il caro-benzina una componente
di prelievo fiscale “insostenibile”.
Eppure tutte le aziende energetiche in
questa allarmante situazione fanno
grandi campagne pubblicitarie (con
costi elevatissimi) per informare che la loro missione è la sostenibilità, l’interesse
dei consumatori, il benessere
della collettività, ma... di ricerca non
ne parlano mai! In cambio tutti gli
imprenditori, le grandi associazioni
(con in testa la Confindustria), i politici
e gli opinion-leader dicono che per
uscire da questa situazione difficile
occorre fare “più ricerca ed innovazione”
nel settore energetico, ma non
dicono chi, come e con quali fondi si
deve fare e soprattutto non si impegnano
mai con programmi e con spese.
In finanziaria peraltro non c’è una riga
sulla ricerca in Italia.
Ma come fare per
rilanciare la ricerca in Italia nel settore
energetico? Ci vogliono più fondi?
Certamente: ma, a mio avviso, sarebbero
sufficienti pochi cents di euro sulle
bollette o sulle tasse carburanti per
avere fondi sufficienti per far partire la
ricerca e l’innovazione in tutte le fonti
e in tutti i temi dell’energia.
Il Ministero dello Sviluppo ha peraltro
già stanziato 350 milioni di euro per
progetti nel settore dell’efficienza energetica
e delle fonti rinnovabili e tra
poco ci dovrebbero essere dei bandi.
Inoltre, ci sono fondi anche all’interno
del CNR, dell’ENEA e di altri Enti pubblici
per fare ricerca su diversi filoni,
spesso dispersi e con obiettivi di lungo
termine (come è il caso dell’idrogeno).
Quindi il problema, come spesso accade,
non sono i fondi per la ricerca, ma
i ricercatori!
Mancano gli scienziati, gli
esperti, i ricercatori dedicati a questi
settori. Mancano sopratutto le idee ed i
grandi progetti su temi condivisi; mancano
anche le strutture di ricerca e
soprattutto mancano “i manager” della
ricerca e cioè coloro che devono indirizzarla,
seguirla e farla fruttare, per
dare al Paese nuove idee, progetti e prototipi
per uscire da una situazione sempre
più critica e dannosa che ci ha relegati
agli ultimi posti della scienza energetica
degli anni 2000. Vorrei ricordare
a tal proposito che dopo la crisi petrolifera
del ‘79 l’Italia aveva avviato moltissimi
progetti di ricerca nel settore
energetico su diversi filoni di grande
respiro. Aveva creato centri di ricerca e
laboratori dedicati al fotovoltaico; centri
e stazioni di sperimentazione sul
biogas e sul metano; aveva avviato
ricerche innovative sulla geotermia ad
alta e bassa entalpia; aveva un’industria
che produceva pale e motori eolici e così via. Ebbene, di tutto ciò non è
rimasto quasi niente! Oggi quasi tutta
l’innovazione e ricerca e l’impiantistica
viene dall’estero.
I grandi gruppi energetici
italiani come abbiamo visto
fanno grandi progetti e poca ricerca
secondo la logica della massimizzazione
dei risultati di bilancio. Gli enti pubblici,
come già detto, non hanno direttive,
né fondi. Io credo che l’Italia
debba affrontare con urgenza il problema
della ricerca nel settore dell’energia (e dell’ambiente) senza aspettare un
attimo di più. E per farlo, credo che
bisognerebbe lanciare un nuovo progetto
“Manhattan” per creare intorno
ad un gruppo di leaders una nuova ed
indiscussa stagione di ricerca e di sviluppo
in uno dei settori più importanti
e più decisivi per il nostro futuro, che
è quello dell’energia. In autunno la
Fondazione Energia, di cui sono
Presidente e che ha recentemente istituito
un Premio per l’energia sostenibile,
insieme ad altre importanti
Associazioni ed imprese, organizzerà a
Milano una giornata dedicata al tema
della ricerca energetica italiana per fare
il punto della situazione e lanciare
alcune idee e progetti riguardanti il
nostro Paese. Ci auguriamo che presto
si possa uscire da questa deprecata crisi
che tocca profondamente il cuore del
nostro vivere quotidiano e della nostra
economia.