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Copertina della rivista

Grafica: Uomo in giacca e cravatta su di uno scoglio con le mani aperte

 

Siamo al dopo-Kyoto?

Viva Kyoto, ma siamo al dopo-Kyoto? L’atmosfera si gonfia di gas serra, il clima si scalda, il Pianeta ha l’asma. Mentre il tema della riduzione dei gas serra diventa cruciale per le politiche di tutti i governi, l’Europa conserva le sue buone intenzioni e contraddizioni, Cina e India chiedono dilazioni in nome del loro diritto allo sviluppo, gli Stati Uniti ci fanno pensare a una imminente “Rivoluzione verde hightech”.







E il Protocollo di Kyoto - al quale l’Europa sta lavorando da un ventennio - resta un virtuoso punto fermo che unisce la maggior parte dei governi, ambientalisti, molte imprese e gran parte degli scienziati. Un accordo multinazionale che sta forse per essere superato. Barak Obama fa intendere infatti che uno dei cardini della politica economica, ambientale, energetica e addirittura estera sarà incentrata su una svolta, una specie di “rivoluzione verde”.

Annunci ripetuti e un atto concreto, la scelta per il Gabinetto di competenti personaggi e scienziati impegnati nelle energie rinnovabili. Ritocchi al Protocollo di Kyoto saranno probabili se gli Stati Uniti decideranno di dialogare con il resto del mondo in materia di emissioni di gas serra. Se il dialogo con Europa e Asia principalmente, dovesse ripartire con slancio, il protocollo di Kyoto potrebbe essere rimaneggiato, se non superato, se non abolito in nome di un passo avanti globale, planetario.

Grafica: campo di grano Siamo già nel “Dopo-Kyoto”?
Nonostante i possibili mutamenti “nell’aria”, governanti e imprenditori e gruppi a difesa dell’ambiente, studiosi, studenti, mass media, riflettono e si confrontano ancora su quell’epocale atto scaturito dalla collaborazione tra le Nazioni, il cui nome é “Kyoto Protocol”. Non lo diciamo con compiacimento né enfasi - non è il caso - ma quella che fu la prima intesa mondiale che si occupa del Pianeta inteso come una biosfera da condividere, una “casa comune”, risulta - dobbiamo pur ammetterlo - operante. Con limiti, riserve, riluttanze, polemiche. Ma così è: funziona, tiene. Visto dai giornali il “Protocollo”, in questi undici anni (“2007”), è il racconto di un difficile percorso verso un’intesa, promossa e fortemente sostenuta - lo sottolineiamo volentieri - da importanti Paesi europei. Frutto di un’infinita serie di incontri, studi, consultazioni, bracci di ferro e compromessi che tuttavia non sono più cronaca giornalistica: sono oramai storia recente.

Al di là degli esiti a beneficio di quella casa comune che sono il cielo e il clima, il Protocollo e l’impegno per conseguirlo (e quel tam-tam giornalistico mondiale che da anni risuona come sua colonna sonora), hanno conseguito un incontestabile successo: hanno convinto quella parte di Pianeta che legge i giornali e che segue anche distrattamente radio e tv (popolazioni e politici residenti negli stessi Paesi che emettono più gas serra) che un piano globale a tutela del cielo è ovvio, prima che irrinunciabile. Su tempi e modalità possiamo discutere, ma intanto così è. E’ stato un pò come trasmettere il principio - condiviso almeno a parole - che la guerra è una realtà da evitare, possibilmente.

E’ stato un poco come trasferire all’atmosfera, alla biosfera, all’aria, alle nuvole, la Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo. La riconferma del Patto o un eventuale dopo-Kyoto dovranno però comprendere non solo i compiacimenti per i valori conquistati e condivisi, ma anche tutta la vasta area di incompiutezza, di dubbi, di perplessità, di riserve e “proposte di ottimizzazione”. Ma se anche qualcuno oggi o domani - per migliorare e superare il Protocollo di Kyoto dovesse stravolgerlo, se dovesse rivelarsi sfortunatamente inadeguato - esso avrà comunque svolto il suo positivo ruolo di pietra miliare. Se l’intesa politico-ambientale è ancora cronaca palpitante con i suoi tira e molla, con le sue adesioni e le sue defezioni, essa è già comunque storia scritta nelle cancellerie del mondo e nelle sensibilità collettive.

Di certo “Kyoto” è anche un giallo - perfino la sua denominazione (“protocollo”) - ricorda qualche thriller internazionale finito sul grande schermo. Staremo dunque a vedere quali sbocchi e quale futuro, per un documento tanto sospirato e tanto disputato. Ma se molti tra scienziati e politici desiderano imprimere svolte, completamenti, ribaltamenti se non addirittura colpi di scena, nessuno può più ignorare, né passare una spugna sul lavoro svolto, sullo spirito ambientale internazionale maturato in questi lustri. Anche sui risultati conseguiti ci sono pochi dubbi. Di chi è forse merito se un gran numero di Paesi (non stiamo a vedere per ora con quanta osservanza, percentuali e obiettivi) oggi limita le proprie emissioni gassose in atmosfera, se non di quel dossier sottoscritto da 169 Paesi nell’aprile 2007? Dobbiamo attenerci al dato ufficiale: dal 1990 al 2000, i Paesi industrializzati hanno tagliato del 3 per cento i loro gas dispersi in atmosfera; un esito modesto forse, ma concreto. Altro dato: la previsione prossima è una riduzione di emissioni del 10 per cento dal 1990 al 2010.

Grafica: campo di granoDi quali gas parliamo?
Ricordiamo: biossido di carbonio, metano, ossido di azoto, idrofluorocarburi, perfluorocarburi ed esafluoruro di zolfo. Ma ora si va avanti. Con quei quaranta Paesi che si sono aggregati in blocco alla Conferenza di Marrakesch, con la ratifica da parte della Russia, ma con le perenni riserve e polemiche statunitensi. E oggi, mentre l’aria del Pianeta si fa più calda, con importanti cambiamenti - anche visivi - in certe aree più sensibili, come le calotte polari, mentre si riduce la banchisa per gli orsi polari, e mentre i pinguini perdono a volte l’orientamento per le botte di calore, importanti novità in campo tecnologico cambiano anche gli scenari dei rimedi contro l’effetto serra.

Più mezzi, più opportunità tecnologiche per limitare le emissioni, nuovi strumenti per ridurla, sequestrarla, abbatterla, nasconderla. Kyoto è non solo imperfetto, forse è da rifare.

Sono molti gli scienziati del clima a sostenere che tagli delle emissioni così contenuti, ridotti, non scalfiscono neppure il problema del riscaldamento planetario e che l’effetto serra avrebbe bisogno di riduzioni ben più consistenti: 50 per cento e più, non 5 per cento. Ma siamo qui per aiutarci a capire vecchie e nuove ragioni. Obiettivo, oggi, è approfondire i contorni dello scenario, e motivare gli attori dell’importante thriller. Dove per attori non vanno intesi solamente scienziati e politici. I protagonisti sono anche tutti coloro che con i comportamenti agiscono sulla stessa scena ogni giorno, tutti noi.

Non solamente dunque i ricercatori con le loro nozioni, e i politici con il loro potere decisionale. Complesso thriller, dunque, dove l’ambiente - l’atmosfera - è insieme scenario e possibile vittima, e dove l’elenco dei protagonisti comprende tutti i residenti della Terra. Natura e scienza occupano un ruolo cruciale. La prima perché segue un suo cammino a volte imprevedibile. Se anche infatti cresce il numero di ricercatori e istituzioni scientifiche convinti del ruolo dell’uomo nei cambiamenti climatici, una parte di essi ci ricorda che il termometro della Terra ha subito sbalzi anche grandi in modo del tutto naturale, nella storia del sistema solare così come è. Nel confronto anche duro su ragioni, origine, rimedi del deperimento qualitativo dell’atmosfera, in questi anni si sono intrufolate tentazioni catastrofiste, indulgenze motivate da interessi politici o economici, ragioni di ordine pubblico e implicazioni strategiche.

Ma da oggi è bene accordarci su un punto: scienza e tecnologia, sempre più, diventano determinanti per un futuro vicinissimo; ci viene quasi addosso oramai. Sempre più scienza, tecnologia, politica ed economia, sono impegnate a capire - e se possibile prevedere - questo domani, di cooperare, in un mix indissolubile fatto anche di responsabilità ed etica. C’è una sola sostenibilità: è la compatibilità di ogni nostra azione rispetto al prossimo - così vicino, così globalizzato.