E il Protocollo di Kyoto - al
quale l’Europa sta lavorando da un
ventennio - resta un virtuoso punto
fermo che unisce la maggior parte dei
governi, ambientalisti, molte imprese
e gran parte degli scienziati. Un accordo
multinazionale che sta forse per
essere superato. Barak Obama fa
intendere infatti che uno dei cardini
della politica economica, ambientale,
energetica e addirittura estera sarà
incentrata su una svolta, una specie di
“rivoluzione verde”.
Annunci ripetuti
e un atto concreto, la scelta per il
Gabinetto di competenti personaggi e
scienziati impegnati nelle energie rinnovabili.
Ritocchi al Protocollo di
Kyoto saranno probabili se gli Stati
Uniti decideranno di dialogare con il
resto del mondo in materia di emissioni
di gas serra. Se il dialogo con
Europa e Asia principalmente, dovesse
ripartire con slancio, il protocollo di
Kyoto potrebbe essere rimaneggiato,
se non superato, se non abolito in
nome di un passo avanti globale, planetario.
Siamo già nel “Dopo-Kyoto”?
Nonostante i possibili mutamenti
“nell’aria”, governanti e imprenditori e
gruppi a difesa dell’ambiente, studiosi,
studenti, mass media, riflettono e si
confrontano ancora su quell’epocale
atto scaturito dalla collaborazione tra
le Nazioni, il cui nome é “Kyoto
Protocol”. Non lo diciamo con compiacimento
né enfasi - non è il caso -
ma quella che fu la prima intesa mondiale
che si occupa del Pianeta inteso
come una biosfera da condividere,
una “casa comune”, risulta - dobbiamo
pur ammetterlo - operante. Con
limiti, riserve, riluttanze, polemiche.
Ma così è: funziona, tiene.
Visto dai giornali il “Protocollo”, in
questi undici anni (“2007”), è il racconto
di un difficile percorso verso
un’intesa, promossa e fortemente
sostenuta - lo sottolineiamo volentieri
- da importanti Paesi europei. Frutto
di un’infinita serie di incontri, studi,
consultazioni, bracci di ferro e compromessi
che tuttavia non sono più
cronaca giornalistica: sono oramai storia
recente.
Al di là degli esiti a beneficio
di quella casa comune che sono il
cielo e il clima, il Protocollo e l’impegno
per conseguirlo (e quel tam-tam
giornalistico mondiale che da anni
risuona come sua colonna sonora),
hanno conseguito un incontestabile
successo: hanno convinto quella parte
di Pianeta che legge i giornali e che
segue anche distrattamente radio e tv
(popolazioni e politici residenti negli
stessi Paesi che emettono più gas serra)
che un piano globale a tutela del cielo
è ovvio, prima che irrinunciabile. Su
tempi e modalità possiamo discutere,
ma intanto così è. E’ stato un pò come
trasmettere il principio - condiviso
almeno a parole - che la guerra è una
realtà da evitare, possibilmente.
E’
stato un poco come trasferire all’atmosfera,
alla biosfera, all’aria, alle nuvole,
la Dichiarazione Universale dei diritti
dell’Uomo.
La riconferma del Patto o un eventuale
dopo-Kyoto dovranno però comprendere
non solo i compiacimenti
per i valori conquistati e condivisi, ma
anche tutta la vasta area di incompiutezza,
di dubbi, di perplessità, di riserve
e “proposte di ottimizzazione”. Ma
se anche qualcuno oggi o domani - per
migliorare e superare il Protocollo di
Kyoto dovesse stravolgerlo, se dovesse
rivelarsi sfortunatamente inadeguato -
esso avrà comunque svolto il suo positivo
ruolo di pietra miliare.
Se l’intesa politico-ambientale è
ancora cronaca palpitante con i suoi
tira e molla, con le sue adesioni e le
sue defezioni, essa è già comunque
storia scritta nelle cancellerie del
mondo e nelle sensibilità collettive.
Di certo “Kyoto” è anche un giallo -
perfino la sua denominazione (“protocollo”) - ricorda qualche thriller
internazionale finito sul grande
schermo.
Staremo dunque a vedere quali sbocchi
e quale futuro, per un documento
tanto sospirato e tanto disputato. Ma
se molti tra scienziati e politici desiderano
imprimere svolte, completamenti,
ribaltamenti se non addirittura
colpi di scena, nessuno può più ignorare,
né passare una spugna sul lavoro
svolto, sullo spirito ambientale internazionale
maturato in questi lustri.
Anche sui risultati conseguiti ci sono
pochi dubbi. Di chi è forse merito se
un gran numero di Paesi (non stiamo
a vedere per ora con quanta osservanza,
percentuali e obiettivi) oggi limita
le proprie emissioni gassose in atmosfera,
se non di quel dossier sottoscritto
da 169 Paesi nell’aprile 2007?
Dobbiamo attenerci al dato ufficiale:
dal 1990 al 2000, i Paesi industrializzati
hanno tagliato del 3 per cento i
loro gas dispersi in atmosfera; un esito
modesto forse, ma concreto. Altro
dato: la previsione prossima è una
riduzione di emissioni del 10 per
cento dal 1990 al 2010.
Di quali gas parliamo?
Ricordiamo:
biossido di carbonio, metano, ossido
di azoto, idrofluorocarburi, perfluorocarburi
ed esafluoruro di zolfo. Ma
ora si va avanti. Con quei quaranta
Paesi che si sono aggregati in blocco
alla Conferenza di Marrakesch, con la
ratifica da parte della Russia, ma con
le perenni riserve e polemiche statunitensi.
E oggi, mentre l’aria del Pianeta
si fa più calda, con importanti cambiamenti
- anche visivi - in certe aree
più sensibili, come le calotte polari,
mentre si riduce la banchisa per gli
orsi polari, e mentre i pinguini perdono
a volte l’orientamento per le botte
di calore, importanti novità in campo
tecnologico cambiano anche gli scenari
dei rimedi contro l’effetto serra.
Più
mezzi, più opportunità tecnologiche
per limitare le emissioni, nuovi strumenti
per ridurla, sequestrarla, abbatterla,
nasconderla.
Kyoto è non solo imperfetto, forse è
da rifare.
Sono molti gli scienziati del
clima a sostenere che tagli delle emissioni
così contenuti, ridotti, non scalfiscono
neppure il problema del riscaldamento
planetario e che l’effetto
serra avrebbe bisogno di riduzioni ben
più consistenti: 50 per cento e più,
non 5 per cento. Ma siamo qui per
aiutarci a capire vecchie e nuove ragioni.
Obiettivo, oggi, è approfondire i contorni
dello scenario, e motivare gli
attori dell’importante thriller. Dove
per attori non vanno intesi solamente
scienziati e politici. I protagonisti sono
anche tutti coloro che con i comportamenti
agiscono sulla stessa scena
ogni giorno, tutti noi.
Non solamente
dunque i ricercatori con le loro nozioni,
e i politici con il loro potere decisionale.
Complesso thriller, dunque,
dove l’ambiente - l’atmosfera - è insieme
scenario e possibile vittima, e dove
l’elenco dei protagonisti comprende
tutti i residenti della Terra.
Natura e scienza occupano un ruolo
cruciale. La prima perché segue un
suo cammino a volte imprevedibile. Se
anche infatti cresce il numero di ricercatori
e istituzioni scientifiche convinti
del ruolo dell’uomo nei cambiamenti
climatici, una parte di essi ci
ricorda che il termometro della Terra
ha subito sbalzi anche grandi in modo
del tutto naturale, nella storia del sistema
solare così come è. Nel confronto
anche duro su ragioni, origine, rimedi
del deperimento qualitativo dell’atmosfera,
in questi anni si sono intrufolate
tentazioni catastrofiste, indulgenze
motivate da interessi politici o
economici, ragioni di ordine pubblico
e implicazioni strategiche.
Ma da oggi
è bene accordarci su un punto: scienza
e tecnologia, sempre più, diventano
determinanti per un futuro vicinissimo;
ci viene quasi addosso oramai.
Sempre più scienza, tecnologia, politica
ed economia, sono impegnate a
capire - e se possibile prevedere - questo
domani, di cooperare, in un mix
indissolubile fatto anche di responsabilità
ed etica. C’è una sola sostenibilità:
è la compatibilità di ogni nostra
azione rispetto al prossimo - così vicino,
così globalizzato.