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Ruolo della simulazione numerica negli studi sul confinamento geologico della CO2: risultati, problematiche, prospettive

Diverse opzioni sono state proposte per stabilizzare la concentrazione atmosferica della CO2. Valutazioni di fattibilità di tipo economico e tecnico hanno dimostrato che il confinamento geologico, ovvero la separazione e la raccolta della CO2 prodotta dagli impianti industriali e la sua successiva iniezione e stoccaggio in formazioni geologiche profonde, è una delle opzioni più promettenti tra quelle attualmente prese in considerazione.




Introduzione

Gli studi sui cambiamenti climatici effettuati negli ultimi anni hanno posto al centro dell'attenzione generale la questione del riscaldamento globale del pianeta e le sue possibili relazioni con il progressivo innalzamento della concentrazione atmosferica di alcuni gas - tra cui l'anidride carbonica - ritenuti responsabili del cosiddetto "effetto serra".

La comunità scientifica è concorde nel riconoscere l'esistenza di un effetto serra naturale e di un effetto serra antropogenico, ma non nel definirne il rispettivo impatto sugli scenari climatici futuri. Una vasta base di dati scientifici, ricavati in primis dall'analisi composizionale delle calotte glaciali polari (consultare tra gli altri Barnola et al., 1987; Petit et al., 1999), dimostra che a partire dal XIX secolo è in atto un incremento di concentrazione della CO2 atmosferica. Questo incremento è in larga parte dovuto all'attività dell'uomo ed in particolare all'utilizzo di combustibili fossili (carbone, olio, gas naturale) per la produzione di energia.

Gli ultimi rapporti scientifici redatti dall'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC 2005, 2007), tavolo tecnico sovra-nazionale istituito nel 1988 sotto il patrocinio dell'ONU, quantificano in 100 ppm l'incremento della concentrazione atmosferica della CO2 dall'epoca preindustriale (280 ppm) ad oggi (380 ppm), ed indicano per il periodo attuale una velocità di crescita più elevata rispetto al passato, pari a circa 1,9 ppm/anno.

In questo contesto generale è stato elaborato un piano di riduzione delle emissioni di gas serra i cui principi ispiratori ed indirizzi operativi sono contenuti nel cosiddetto Protocollo di Kyoto, trattato internazionale in materia ambientale sottoscritto nel 1997 nell'ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), entrato poi in vigore nel 2005. Diverse opzioni sono state proposte per stabilizzare la concentrazione atmosferica della CO2 (Pacala and Socolow, 2004). Valutazioni di fattibilità di tipo economico e tecnico hanno dimostrato che il confinamento geologico, ovvero la separazione e la raccolta della CO2 prodotta dagli impianti industriali e la sua successiva iniezione e stoccaggio in formazioni geologiche profonde, è una delle opzioni più promettenti tra quelle attualmente prese in considerazione.

Ne sono conferma i diversi progetti tuttora in corso di svolgimento in varie zone del mondo (Norvegia, Canada, Stati Uniti, Giappone, Algeria) che prevedono il confinamento geologico della CO2 sia in acquiferi salini che in serbatoi di gas e/o olio parzialmente o totalmente esauriti (IPCC 2005, 2007). La crescente domanda di avanzamento tecnologico e di coordinamento tra le varie discipline scientifiche coinvolte nelle valutazioni di fattibilità tecnico- economica e nelle analisi di rischio, ha dato impulso ad un vero e proprio filone di ricerca indipendente incentrato sulle problematiche dello stoccaggio geologico.

In questo contesto le scienze della terra giocano un ruolo fondamentale e la modellistica numerica rappresenta lo strumento più efficace per produrre analisi di rischio e delineare possibili scenari evolutivi dei siti di stoccaggio. A seguire, si discutono brevemente alcuni degli aspetti più rilevanti connessi al confinamento geologico della CO2, visti dalla prospettiva di chi svolge modellistica numerica applicata alle scienze della terra.


Siti idonei al confinamento geologico della CO2

I criteri che permettono di individuare i siti geologici idonei allo stoccaggio della CO2 sono di tipo socio-economico, geografico, ingegneristico e soprattutto geologico (Bachu 2000, 2003). Da un punto di vista geologico, un potenziale sito di stoccaggio deve possedere adeguati requisiti di stabilità strutturale, volumetria, porosità, permeabilità, ed i fluidi che lo permeano devono restare isolati dall'atmosfera e dai corpi idraulici superficiali (laghi, fiumi, mari) e sotterranei sensibili (acquiferi sfruttati dall'uomo).

GraficaPer accertare questi requisiti sono indispensabili indagini accurate sulle caratterisitiche strutturali e composizionali delle rocce al cui interno si intende iniettare il gas ("rocce serbatoio" o "reservoir"), oltreché sul contesto tettonico, minerario, geotermico ed idrogeologico dell'area al cui interno il sito si trova.

In linea del tutto indicativa, un sito viene generalmente ritenuto adatto allo stoccaggio se è ubicato sufficientemente in profondità (oltre 800 m sotto la superificie), se lo spessore delle rocce idonee al contenimento della CO2 è rilevante (nell'ordine o maggiore di 1000 m) e se sono disponibili spessori altrettanto rilevanti (centinaia di metri) di rocce impermeabili ("rocce di copertura" o "caprock") al di sopra dei livelli di iniezione.

Le rocce impermeabili hanno la funzione di impedire che la CO2 stoccata in profondità possa risalire verso la superficie a causa della sua elevata mobilità e ridotta densità.

Non possono essere perciò presi in considerazione per il confinamento quei siti che, pur avendo caratteristiche idonee sotto certi aspetti, per altri risultano sprovvisti di questa capacità di contenimento dei fluidi contenuti al loro interno.

Queste condizioni sfavorevoli sono generalmente riscontrate nei sistemi naturali contraddistinti dalla presenza di faglie o altre importanti discontinuità geologiche in grado di agire per i fluidi da via di risalita preferenziale verso la superficie.

Da queste considerazioni si desume che uno degli aspetti tecnicamente più rilevanti degli studi a supporto della fattibilità dello stoccaggio geologico della CO2 è quello legato alla valutazione del grado di sicurezza dei siti, ovvero all'accertamento che le condizioni naturali siano tali da minimizzare i fenomeni di fuga ("leakage") dei fluidi (gas in particolare) eventualmente stoccati in profondità. Evidenze scientifiche che provengono dallo studio dei giacimenti di oli e gas naturale indicano che miscele di fluidi e di gas, tra cui la CO2, possono rimanere intrappolate nel sottosuolo per milioni di anni (consultare ad esempio Magoon and Dow, 1994; Bradshaw et al., 2005), e quindi che in presenza di condizioni ottimali la CO2 può essere confinata con successo all'interno dei mezzi geologici.


Processi fisico-chimici indotti dal confinamento geologico della CO2

Le formazioni geologiche presenti nel sottosuolo hanno una struttura portante solida ("scheletro") avente al suo interno una serie di spazi occupati da fluidi, generalmente rappresentati da soluzioni acquose di varia salinità e/o gas. La fase solida è composta da grani minerali, materia organica e cementi amorfi e/o cristallini formatisi successivamente alla messa in posto delle formazioni geologiche. Una volta iniettata in profondità, la CO2 tende a formare una bolla gassosa che va a perturbare il sistema naturale, interagendo sia con lo scheletro minerale che con i fluidi che lo permeano.

Questa perturbazione si traduce in:

  1. differenziali di pressione nell'intorno del punto di iniezione;

  2. spiazzamento dei fluidi primari presenti nelle rocce ospite;

  3. solubilizzazione di CO2 nella soluzione acquosa primaria con formazione di fluidi secondari;

  4. mescolamento di fluidi primari e secondari;

  5. interazioni di tipo chimico tra gas, soluzioni acquose e rocce ospite.

L'efficacia del confinamento della CO2 in profondità dipende dalla combinazione di complessi meccanismi fisici e geochimici di trasferimento di massa, tra cui

  1. advezione,

  2. diffusione,

  3. dispersione,

  4. precipitazione e dissoluzione di minerali,

  5. intrappolamento di gas all'interno dei pori,

  6. adsorbimento dei gas sulla superficie dei minerali e della materia organica.

Nella letteratura internazionale sono individuate quattro principali modalità di sequestro geologico della CO2 che vanno sotto il nome di trapping

  1. strutturale e stratigrafico,

  2. residuale,

  3. idrodinamico,

  4. geochimico,

a seconda che l'immagazzinamento dell'anidride carbonica avvenga per accumulo sotto forma di fase gassosa libera in settori geologici isolati che funzionano da trappola, per intrappolamento all'interno di piccoli pori da cui non viene più mobilizzata, per lenta migrazione sotto forma di gas disciolto all'interno di corpi idrici di grandi dimensioni o per trasformazione di fase attraverso reazioni chimiche che portano alla precipitazione di nuovi fasi solide minerali.

La relativa importanza di questi meccanismi di intrappolamento può variare da un sito all'altro. Il prevalere di un singolo meccanismo è funzione delle caratteristiche specifiche del sito e può variare nel tempo.

Questi meccanismi possono essere studiati attraverso:

  1. misure di laboratorio,

  2. studi di sistemi naturali che riproducono il comportamento di un sito di confinamento geologico della CO2 (i cosiddetti "analoghi naturali"),

  3. monitoraggio di siti di confinamento geologico della CO2 già attivi,

  4. simulazioni numeriche.

Gli esperimenti di laboratorio hanno la limitazione di poter fornire informazioni soltanto per processi fisicochimici che avvengono su una scala spaziale di dettaglio e su tempi brevi. Lo studio degli analoghi naturali permette di ricavare informazioni indirette di grande rilevanza su scale temporali estese, ma con le limitazioni che derivano da una ridotta accessibilità dei siti naturali sotterranei. Il monitoraggio dei siti attualmente attivi fornisce ulteriori informazioni complementari che tuttavia hanno la intrinseca limitazione di garantire una copertura parziale sia in senso spaziale che temporale.

Lo strumento modellistico risulta perciò l'unica metodologia attualmente a disposizione che consente di realizzare una descrizione su ampia scala spaziale e temporale del comportamento dei sistemi naturali di interesse (Figura 1).

I dati ottenuti attraverso gli esperimenti di laboratorio e le determinazioni di terreno sono indispensabili per la calibrazione delle simulazioni e la verifica dei risultati.


Applicazioni di modellistica numerica

La modellistica numerica attualmente effettuata nell'ambito degli studi sul confinamento geologico della CO2 può essere schematicamente classificata come modellistica

  1. idrogeologica,

  2. termica,

  3. geomeccanica

  4. geochimica.

La modellistica idrogeologica si pone l'obiettivo di simulare l'andamento della velocità dei fluidi nel sottosuolo, ovvero di descrivere le variazioni spazio- temporali dei campi di pressione, di carico idraulico e di saturazione di fase dei mezzi geologici porosi e fratturati sotterranei. La modellistica termica è orientata all'analisi e predizione delle variazioni spazio-temporali della temperatura e tiene in considerazione i meccanismi di generazione e trasferimento del calore per decadimento radioattivo, convezione, conduzione ed irraggiamento. La modellistica geomeccanica è mirata alla descrizione quantitativa delle variazioni degli stress tensionali e del relativo campo di deformazione dello scheletro solido dei mezzi geologici.

Figura 1. Le applicazioni modellistiche negli studi sul confinamento geologico della CO2 interessano
Figura 1. Le applicazioni modellistiche negli studi sul confinamento geologico della CO2 interessano intervalli spazio-temporali molto estesi, variabili di diversi ordini di grandezza a seconda degli obiettivi.

La modellistica geochimica, infine, è orientata allo studio della reattività dei sistemi naturali, che per definizione sono multifase (contemporanea presenza di solidi, liquidi e gas) e multicomponente (presenza di numerosi composti di numerose specie chimiche).

Il ruolo della geochimica nella valutazione dell'impatto del confinamento geologico della CO2 è principalmente legato al fatto che la CO2 ha la capacità di rendere acido il pH delle soluzioni acquose con cui essa ha modo di equilibrarsi termodinamicamente.

Le soluzioni acide che vengono perciò a formarsi in profondità a seguito dell'iniezione della CO2 possono aggredire chimicamente ed alterare la struttura dei materiali naturali (rocce) e antropici (cementi, acciai) con cui vengono in contatto. Questo aspetto fa della geochimica una disciplina chiave per fare analisi di rischio e valutazioni sull'integrità dei siti di stoccaggio.

Il tipo di modellistica attualmente più avanzato è quello termico-fluidodinamico- geochimico accoppiato ("thermo- hydraulic-chemical" o "THCmodelling") che simula i processi già descritti ai punti I),II) e IV). Questo tipo di modellistica, altrimenti noto come "modellistica del trasporto reattivo", costituisce una vera e propria disciplina a parte nell'ambito delle scienze della terra. È grazie alla sua applicazione che sono stati ottenuti alcuni dei risultati più rilevanti negli studi sullo stoccaggio geologico della CO2.

Tali risultati possono essere riassunti come segue:

  1. la capacità di intrappolamento della CO2 varia in funzione della composizione mineralogica delle rocce: le rocce di tipo carbonatico (calcari, dolomie) hanno la minore capacità di sequestro mineralogico, mentre le rocce silicatiche hanno capacità maggiori, progressivamente crescenti passando da quelle di deposizione sedimentaria (ad esempio arenarie) a quelle vulcaniche ricche in ferro e magnesio (ad esempio basalti, peridotiti);

  2. il grado di tenuta delle rocce di copertura dipende in modo specifico dalla composizione chimica dei fluidi di serbatoio e mineralogica della copertura: per fare valutazioni di tipo predittivo sulla tenuta nel medio e lungo termine dei sistemi di confinamento, occorre eseguire studi modellistici ad hoc sulla base del maggior numero possibile di dati sito-specifici;

  3. in presenza di coperture meccanicamente non alterate, dove il meccanismo di trasporto di massa predominante dei fluidi è la diffusione molecolare, possono verificarsi fenomeni di precipitazione secondaria di minerali carbonatici (prevalentemente calcite); queste mineralizzazioni possono portare ad una riduzione della porosità primaria e quindi ad un aumento del grado di impermeabilizzazione e di tenuta rispetto a fenomeni di fuga dei gas;

  4. la presenza di fratture all'interno della copertura può invece causare la risalita di fluidi aggressivi e portare ad un decadimento complessivo della capacità di tenuta della copertura;

  5. i punti di maggiore criticità per la sicurezza dei siti di stoccaggio coincidono con la presenza di pozzi abbandonati;
  6. questo è dovuto all'elevata reattività dei cementi impiegati per la messa in opera e/o la chiusura mineraria dei pozzi in presenza di fluidi con pH neutro e/o acido, tipici dei siti di stoccaggio in condizioni naturali e post-iniezione di CO2;

  7. la capacità di predire la distribuzione spazio-temporale della CO2 all'interno dei siti di stoccaggio, consente di ottimizzare l'ubicazione dei punti di controllo, e quindi di mettere a punto programmi di monitoraggio efficaci e a costi relativamente ridotti.


Limitazioni dell'approccio modellistico
Orologio a cipolla
Nonostante i progressi dell'ultimo decennio, la rappresentazione numerica dei sistemi naturali resta ampiamente perfettibile.

Questo si spiega con la intrinseca complessità dei sistemi naturali e la limitata conoscenza della variabilità spaziale e temporale dei parametri fisici e chimici necessari per calibrare i modelli numerici e validarne i risultati.

Studi di intercomparazione tra i vari simulatori numerici attualmente in uso (consultare ad esempio Pruess et al., 2004), hanno permesso di accertare un elevato grado di congruenza tra le architetture numeriche, ma anche significative discrepanze nelle formulazioni teoriche impiegate dai diversi codici.

È tuttora molto complicato riuscire a verificare il grado di realismo ed accuratezza con cui i modelli numerici riescono a simulare i processi naturali.

Per superare tale limite e quantificare il grado di incertezza associato alle predizioni numeriche è necessario effettuare un ampio numero di simulazioni che permettano di testare la sensibilità dei risultati rispetto ad una "ragionevole" variabilità di modelli concettuali, condizioni iniziali e al contorno.

Questo approccio richiede operatori esperti ed una ampia disponibilità di dati - il più possibile accurati, riproducibili e rappresentativi - del sistema naturale di interesse. Purtroppo, a causa sia di limitazioni di carattere finanziario che della ridotta accessibilità dei sistemi naturali sotterranei, non sempre sono disponibili tutte le informazioni scientifiche necessarie per una ottimale caratterizzazione dei siti di stoccaggio della CO2.


Stato dell'arte e prospettive della modellistica numerica del trasporto reattivo

La modellistica del trasporto reattivo si basa su princìpi e conoscenze che derivano da svariati settori delle scienze della terra, tra cui l'idrogeologia, la geochimica, la fisica dei suoli e la dinamica dei fluidi. La descrizione numerica del trasporto reattivo eredita tutte le complessità derivanti dalla trattazione delle problematiche affrontate dalle singole discipline, aggiungendo ulteriori elementi di complessità legati alla unitaria trattazione di queste problematiche ("modellistica accoppiata").

I modelli numerici più avanzati sono attualmente in grado di tenere in considerazione le retroazioni ("feedback") tra i seguenti fenomeni fisico-chimici più rilevanti:

  1. trasporto del calore, variazioni di temperatura e densità dei fluidi;

  2. variazioni di concentrazione delle specie chimiche in funzione della temperatura (applicando sia princìpi di equilibrio termodinamico che leggi cinetiche);

  3. processi di dissoluzione e/o precipitazione dei minerali e variazioni di concentrazione delle specie chimiche nelle fasi fluide e solide;

  4. processi di dissoluzione e/o precipitazione dei minerali e variazioni di porosità e permeabilità dei mezzi porosi e/o fratturati;

  5. variazioni di velocità di flusso, densità e concentrazione delle specie chimiche nelle fasi fluide.

L'accoppiamento di capacità di calcolo di tipo geomeccanico e biogeochimico con quelle attualmente già implementate, rientra nel novero degli avanzamenti attesi in un futuro ormai prossimo. Una teoria unificata in grado di coprire l'argomento in modo esauriente è infatti attualmente in via di definizione. Un'ulteriore opportunità di sviluppo per il settore della modellistica numerica è legata all'esistenza di microambienti con composizione chimica a sé stante all'interno dei mezzi geologici sotterranei.

Una ampia letteratura internazionale sostiene che lo studio di questi sistemi possa portare alla messa a punto di metodologie idonee alla rappresentazione microscopica di processi naturali finora descritti soltanto ad una scala macroscopica, e che questo, a sua volta, determinerà un sostanziale avanzamento nella conoscenza dei meccanismi di interazione all'interfaccia gas-liquido-roccia (Steefel et al., 2005).

Le particolari condizioni fisico-chimiche di questi ambienti, controllate da fenomeni di diffusione molecolare, sono infatti ideali per analizzare lo studio dei meccanismi di nucleazione dei minerali e gli effetti di superficie e biologici che ne controllano le modalità e la velocità di avanzamento.

Attraverso una accresciuta comprensione delle leggi e dei parametri che governano le cinetiche di reazione, sarà così possibile spiegare le differenze di velocità di dissoluzione e precipitazione dei minerali oggi osservate nei laboratori e negli analoghi naturali (White e Brantley, 2003). La rappresentazione numerica di sistemi di dimensioni submicrometriche porrà rilevanti problemi di tipo modellistico, poiché a queste scale di dettaglio le teorie e le approssimazioni comunemente utilizzate alla macroscala non saranno più applicabili.

Questo richiederà la revisione dei modelli teorici e quindi delle equazioni costituzionali implementate nei codici di calcolo. La necessità di mettere a punto simulatori in grado di rappresentare problematiche sempre più complesse e a scale di osservazione estremamente variabili (da quella chilometrica del sito di stoccaggio a quella submicrometrica del poro), a sua volta genererà un aumento del carico computazionale.

Nel breve-medio termine si creeranno perciò ampie possibilità di sviluppo anche sotto il profilo numerico ed informatico. Ne deriveranno algoritmi ed architetture hardware/software ottimizzati, presumibilmente molto più performanti di quelli attuali.


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