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Copertina della rivista

Cornette del telefono

Science dissemination, cardine di democrazia

I nuovi media per comunicare la scienza: solo con il coinvolgimento e l’incontro con i cittadini lo scienziato può uscire dalla sua torre d’avorio.

Le schiere di sociologi, filosofi e pensatori assortiti che raccontano come dalla società dell’informazione siamo ormai passati alla società della conoscenza, è folta e compatta.

Ma in tale contesto ciascuno di noi è veramente capace, ancorché libero, di decidere del suo? In questa società della conoscenza quanto siamo in grado di compiere gesti consapevoli in fatto di salute, energia, cibo, qualità della vita? Quando facciamo click e un cavo ci rovescia in casa tutta l’elettricità di cui abbiamo bisogno, sappiamo davvero cosa accade dietro quell’interruttore? Quando facciamo la spesa quante e quali risorse (anche umane) sono state coinvolte affinché quel prodotto della terra potesse arrivare a noi?

La scienza e la tecnologia permettono a chi vive in Occidente una quotidianità decisamente agevole e garantita, ma tanti bivi sono alle porte e sempre più spesso la possibilità che un singolo cittadino possa fare delle scelte libere dipende dal suo grado di conoscenza scientifica. Non si tratta di sapere in dettaglio come funziona una centrale nucleare di quarta generazione o la chimica di un motore a idrogeno; bensì i retroscena e le implicazioni dell’una o dell’altra tecnologia nel mix delle fonti energetiche a cui affidarci per il domani. Il sapere scientifico diffuso diventa un vero cardine di democrazia. Duemila e cinquecento anni or sono, in Grecia, quando un filosofo aveva una buona idea andava in piazza (agorà) e gridava “Eureka!”, ovvero “Ho trovato, venite che vi spiego”.

E raccontava in modo accessibile a tutti i suoi concittadini quello che aveva trovato con il suo pensare e fare esperimenti. Forse per molti la novità era poco spendibile; ad altri poteva stimolare un cambiamento: il ciabattino trovava il modo di lavorare meglio il cuoio, l’agricoltore escogitava un sistema diverso per irrigare i campi, il costruttore realizzava edifici più grandiosi. La comunicazione della scienza non è un semplice “travaso” di informazioni da chi sa (gli scienziati) a chi non sa (tutti quanti), secondo uno schema “top-down” che ricalca di fatto ciò che accade a scuola. Per avvicinare senza intimorire o far sentire ottusi occorre superare definitivamente la logica basata sul principio di trasferimento di informazioni dal possessore di “conoscenza vera” a chi non ha conoscenza bensì “false credenze”. “Questo è il paradigma del deficit model di conoscenza che fonda la visione e le attività di comunicazione scientifica che vanno sotto il nome di public understanding of science (PUS). Si deve andare verso un nuovo paradigma fondato sul principio della partecipazione e denominato public engagement in science and technology (PEST)”, come scrive Marina Chini nel suo interessante studio “Società della conoscenza, comunicazione scientifica e musei della scienza”.

Solo con il coinvolgimento e l’incontro con i cittadini lo scienziato può uscire dalla sua torre d’avorio. Se i laboratori hanno da esser luoghi in cui i ricercatori devono esser liberi e tranquilli nel proprio lavoro, senza patire condizionamenti di sorta, essi non devono dimenticarsi una fase di confronto con la cittadinanza e la classe politica. Devono esser disponibili a partecipare a una nuova impostazione, dialogica, della comunicazione scientifica e nel rapporto tra scienza e società, favorendo l’interazione, la bidirezionalità e la partecipazione al dibattito. In una società moderna e realmente democratica lo scambio di informazioni scientifiche e il dialogo sulla scienza deve avvenire mediante “ponti comunicativi” stabiliti fra gruppi sociali e individui ogniqualvolta si mettano a parlare di scienza, per qualsiasi motivo e con diverso peso sulle decisioni che riguardano l’intera società. Ma dove potrebbe accadere? Attraverso qualche media di massa? La prima risposta è: il museo scientifico o lo science center (quando c’è: in Italia si contano sulla dita di una mano…).

Hanno caratteristiche diverse, ma sono entrambi luoghi frequentati da tutti. Il museo è contenitore di sapere, di memoria storica, luogo di lavoro di studiosi e comunicatori.

Ha il “difetto” (dal punto di vista del pubblico) di una logica espositiva e storica che ricalca la storia della scienza e non sempre è aggiornato o “frizzante e accattivante” nella sua comunicazione verso l’esterno. Inoltre il museo ha percorsi rigidi che non si adattano a tutti i palati. Lo science center ha una logica partecipativa e dialogica, decisamente informale anche grazie a percorsi non ritualizzati, a isole pianificate per centri di interesse che permettono una fruizione più libera e ariosa dei suoi contenuti. Entrambi sono comunque luoghi, organizzati, luoghi in cui bisogna “decidere” di entrare. E anche il migliore degli science center alla fine rischia di “sapere di scuola”. Se l’obiettivo fondamentale della comunicazione partecipata della scienza non è quello di impartire delle lezioni, bensì quello di risvegliare nel pubblico, soprattutto negli adulti, una riappropriazione della scienza e di un atteggiamento di curiosità, quali altri luoghi possono fiancheggiare e sostenere la mission di musei e science center? A mio parere occorre tornare in piazza. La piazza come centro di vita di una comunità, come luogo di incontro, di chiacchiera, di scambio.

La piazza come luogo più aperto e accogliente per tutti, non codificato in alcun modo. Creare degli allestimenti, temporanei e leggeri, che portino la scienza in piazza potrebbe rendere il visitatore davvero protagonista della propria esperienza e del proprio apprendimento destando in lui curiosità, divertimento e coinvolgimento, lasciando che siano questi elementi a farlo procedere nel proprio personalissimo viaggio dentro la scienza.

Per attivare queste guide bisogna però trasmettere al pubblico un messaggio di fiducia “anche tu puoi”, e consentirgli libertà: di percorso, di scelta se impegnarsi o meno con un exibit, o se approfondire o meno un tema attraverso i materiali messi a disposizione, in base al proprio interesse. E’ importante inoltre trasmettere a chi si accosta al banchetto, al gazebo, al piccolo palco montato in un angolo della piazza la sicurezza che non sarà giudicato, cosicché egli possa trovare il coraggio di essere curioso, la fiducia di essere in grado di imparare, e l’idea che capire la scienza non è sempre faticoso ma può essere anche piacevole. Quasi sempre non occorre inventarsi qualcosa di nuovo. Gli esperimenti, gli oggetti, gli exibit interattivi, i multimedia che sono normalmente presenti in un museo o uno science center restano validi e appropriati perché (se ben progettati) offrono una fruizione libera, senza obbligare il visitatore a comportamenti prescritti o controllati.

Si tratta semplicemente di affiancare a tutto ciò un paradigma di comunicazione che decontestualizzi lo scenario a cui siamo abituati (tutti sono andati almeno qualche volta nella vita in un museo… tutti ne conosciamo le atmosfere) per trasferire la comunicazione della scienza in un ambito decisamente più amichevole e informale. La piazza è di tutti, è come se la scienza venisse a trovarci nel salotto di casa. Vissuta questa esperienza (magari estendendo il concetto di piazza anche ai centri commerciali, per esempio, specie d’inverno) ecco che il museo e lo science center appaiono rinvigoriti nella loro funzione di media di massa e agenzie territoriali di riferimento: se in piazza mi sono divertito con la scienza, accetto più volentieri l’idea di continuare a divertirmi anche al museo. “Musei e science center devono sapersi collegare con la scienza contemporanea sia per essere aggiornati, sia per potersi agganciare a quanto il pubblico apprende quotidianamente dagli altri media. Portare l’attualità nel museo pone diversi problemi innanzitutto di natura tecnica in quanto le esposizioni e le mostre a causa dei tempi di preparazione sono mezzi di comunicazione lenti e poco reattivi.

La rappresentazione della scienza nel suo farsi è tuttavia una sfida che musei e science center devono affrontare per svolgere appieno il loro ruolo. I musei mostrano di essere sensibili a questa sfida e non mancano esempi di risposte. Molti di essi infatti negli ultimi tempi hanno allestito aree apposite per l’attualità scientifica, dove vengono messe in scena esposizioni temporanee su novità o temi scientifici di attualità, vengono organizzati incontri pubblici con il mondo della ricerca ma anche con gli altri media che si occupano di comunicazione scientifica”, scrive Marina Chini. Ma non sempre la soglia di un museo è facile da varcare; meglio allora suggerire ai suoi direttori di osare un week end in piazza, per presentarsi meglio al pubblico e stuzzicarli alla visita.