La capacità di modificare l’ambiente per renderlo più vivibile, confortevole, più vicino alle esigenze di ciascun individuo, dipende dalla realtà preesistente, dalla realtà culturale e dalla situazione edilizio-architettonica, situazioni a volte difficilmente gestibili. Occorre dunque una politica più attenta e una progettazione più sensibile per raggiungere l'obiettivo comune di una "città relazionale".
La città di oggi è formata da spazi,
tempi e corpi ordinati per funzioni che
generano assenza di "relazione". Per
"relazione" si intende la fusione di
azioni, di corpi, di ruoli, di spazi e di
tempi. L’assenza di "relazione" porta
alla se parazione di spazi, tempi e azioni
che è perfettamente leggibile nella
fisicità della città odierna: le periferie
dove dormire, le zone deputate al
lavoro, la scuola, il parco per il verde, le
città satellite per il divertimento, lo
spazio commerciale sempre più
iper-mercato e decentrato, le cittadelle
per anziani e le istituzioni sociali e sanitarie.
Questa situazione non favorisce
il rapporto individuo > ambiente >
indivi duo, ossia la socializzazione, ma
soprattutto non la favorisce nei confronti
di quegli individui che
appartengono alle categorie deboli. In
questa situazione certi tempi sono
preclusi, ad esempio la notte per le
donne, certi spazi sono inaccessibili, ad
esempio la strada per i bambini, certe
azioni sono impossibili, ad esempio
spostarsi con agio da casa propria per
disabili ed anziani. Per superare questa
situazione, che genera il male di vivere
nella città, la parola chiave di qualsiasi
progetto è RELAZIONE, e al centro
della relazione deve essere collocato
l’individuo nella sua specificità fisica,
psicologica e sociale.
Cosa mettere in relazione?
Quindi, dovremmo riproporre sinergia
e relazione come filo conduttore
del progetto degli spazi a misura di
persona disabile e non solo, per non
separare, per non creare barriere culturali
e fisiche. Il progetto si deve
definire con l’uso e si deve modellare
sul gesto quotidiano cioè sui tempi,
sulle relazioni, sulle azioni e sui bisogni
di chi abita il luogo, nel nostro caso
la persona di sabile e/o anziana pensata
come “soggetto di relazione”, e non
come “oggetto di cura”.
La città disabile
L'accessibilità, la mobilità e le barriere
architettoniche, rappresentano un tema
trasversale al complesso mondo della
progettazione delle città, degli spazi, dei
servizi, delle abitudini, delle azioni; un
tema che pone particolare attenzione
alle tematiche dell’età anziana, dei di -
sabili e dei bambini, in poche parole
dei cosiddetti “deboli”. Il senso che
attribuiamo alla parola “debole” non
indica tanto l’essere tali sul piano fisico
e/o cognitivo, quanto l’essere socialmente
deboli: come dice G. Amendola,
“essi hanno meno fiato per la protesta e
per la domanda politica”. Spesso, professionalmente
ci siamo confrontati
con il termine contenzione, anzi è in
qualche modo sempre presente, perché
per noi progettisti, che con ogni
opera ed ogni ideazione parliamo di
spazio e tempo, anche i confinamenti
sociali, ambientali e psicologici sono
sinonimi di contenimento.
Dicendo
questo pensiamo:
Questi elementi, elencati per sommi
capi, fanno parte del nostro
concreto quotidiano e sono questi
che definiscono la qualità del confinamento/
contenimento e per converso
la qualità dell’inserimento, dell’ospitalità,
della libertà di poter essere.
Dal disordine medioevale (assenza di
spazi e corpi specializzati, assenza di
oggetti, promiscuità di corpi e di
oggetti), si è passati all’ordine di fine
millennio (spazi e corpi specializzati,
azioni e tempi ordinati, sovrabbondanza
di oggetti, assenza di confusione).
Quest’operazione d’ordine
passa attraverso l’architettura che
affronta da principale artefice assieme ai medici, biologi, sociologi ed igienisti
dell’epoca, il problema della città.
Affronta la ‘questione delle abitazioni’,
ed individua nella città le zone residenziali,
quelle produttive, quelle del
commercio e le loro connessioni.
Contemporaneamente pensa e progetta
le nuove istituzioni sociali e sanitarie
come gli ospedali, i manicomi, le
prigioni, gli orfanotrofi, le scuole, gli
asili per vecchi ecc. In tal modo la cultura,
soprattutto dell’ottocento, sancisce
la separazione e il distacco dal
diverso, assegnando ad ogni categoria
un ruolo, un luogo ed un
compito.Sono i soggetti più deboli
(donne, bambini, poveri, devianti,
malati, di sabili, anziani) che subiscono
più di altri il cambiamento di senso
dei luoghi; per loro la casa e l’istituto
diventano i luoghi d’internamento del
sé, di de-privazione della relazione con
il pubblico, con l’altro.
La separazione e la specializzazione
degli spazi e dei tempi di vita, data
dalle funzioni e dai ruoli, sono a tutt’oggi
le coordinate del disegno dell’abitare
dell’uomo occidentale sulla
terra. Questa logica ha prodotto le periferie dove dormire, le zone deputate
al lavoro, alla cultura, allo svago,
alla sanità; da questo scenario, in cui la
città si mostra come città dello scambio
- della produzione edilizia - più
che come città d’uso, ciò che manca,
che scompare è l’INDIVIDUO.
Al centro del progetto urbano non
stanno le esigenze dei diversi abitanti,
bensì le esigenze dell’astratto agire collettivo:
ossia tutti abbiamo bisogno di
una casa, tutti andiamo a lavorare o a
scuola, tutti consumiamo, tutti ci
muoviamo. Ma questo "tutti" non
può che rap presentare un soggetto
astratto di riferimento, quindi standardizzato,
il cosiddetto “normale”,
che nella nostra cultura si traduce nell’individuo
ma schio, adulto, abile e
lavoratore. Lo standard per sua stessa
natura estromette, qui sì è il caso di
dirlo, tutti gli altri, i molti individui
diversi. Ad esempio, lo standard
esclude i bambini tant’è che per le
strade delle no stre città non si vedono
bimbi a spasso da soli. Quindi, qualsiasi
progetto è il prodotto di molte
conoscenze; fra le molte quella che
vogliamo rimarcare, perché la riteniamo
fondamentale, è quella dell’ALTRO. Occorre compiere una
scelta filosofica fondamentale:
assumere come orientamento essenziale
di qualsiasi intervento, disposizione
o direttiva, l’obiettivo di
conoscere le esigenze e consentire l'autodeterminazione
dell’indivi duo, rendendolo
protagonista nella società.
Investire con coerenza sull’autonomia
delle persone soprattutto anziane e
disabili, oltre alle intuibili positività
etiche e di politica sociale che ne di -
scendono, significa anche operare
scelte di carattere economico di portata
più rilevante di quanto un approccio
semplicistico possa lasciare supporre.
Per raggiungere questi obiettivi
occorrono nuove politiche e nuovi
strumenti in grado di cogliere gli
aspetti evolutivi e i rapidi mutamenti
delle diverse realtà sociali in cui si
manife stano le complesse problematiche
della diversità, intesa nella fattispecie
proprio in senso lato.
Lo strumento politico
Per catturare queste conoscenze e
osservarle nel tempo, occorre dotarsi
di adeguati strumenti di monitoraggio
per una reale interpretazione della
qualità di un territorio e del valore
d’uso che ne discende in relazione alla
qualità dei servizi presenti e della
capacità di consentirne il godimento
alla popolazione senza alcuna discriminazione.
Comporre queste complessità
non è semplice, gli strumenti da
mettere in campo debbono essere in
grado di:
Proprio per quanto riguarda questo ultimo punto, è necessario ricordare che ormai da anni si sta svolgendo un impegnativo dibattito sul tema “mobilità, sicurezza e ambiente” e la crescente esigenza di rilettura della città, mette in luce il nodo della qua - lità della vita e della mobilità nelle nostre città. Risulta quindi necessario proporsi e rendersi promotori di alcuni principi che andiamo di seguito indicando:
Concludendo, riteniamo che la capa -
cità di modificare l’ambiente per renderlo
più vivibile, confortevole, più
vicino alle esigenze di ciascun indivi -
duo, dipende dalla realtà preesistente,
dalla realtà culturale e dalla situazione
edilizio-architettonica, situazioni a
volte difficilmente gestibili per le
ragioni descritte in premessa. Occorre
dunque una politica più attenta e una
progettazione più sensibile per raggiungere
l'obiettivo comune di una
"città relazionale". Non si vuole quindi
la città “a misura di handicappato”,
come qualcuno ancora sostiene, ma
abbiamo bisogno di una città il meno
discriminante possibile, costituita da
cittadini consapevoli, di una presenza,
largamente rappresentata, di soggetti
anziani e persone con differenti di -
sabilità, con pari diritti, quindi una
"città tolle rante” che ripropone la
reciprocità del rispetto come base del
rapporto umano.
Leris Fantini
Consulente tecnico e responsabile del Centro
Regionale di Informazione sul Benessere
Ambientale - C.R.I.B.A. della Regione
Emilia-Romagna, per conto del C.E.R.P.A.-
Italia Onlus - Centro Europeo di Ricerca e
Promozione dell'Accessibilità. Il testo è stato
redatto dall'autore con il contributo dei colleghi:
Piera Nobili e Silvano Tassinari, architetti
e membri della medesima associazione.