Medicina

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Nanoparticelle per il delivery di farmaci al Sistema Nervoso Centrale

La ricerca e la messa a punto di ulteriori studi su modelli patologici è ancora lunga, ma in continuo divenire, confidando che la nanotecnologia applicata alla medicina rappresenti una strategia efficace, per aprire la strada a nuove terapie, per contrastare patologie ad oggi di difficile approccio, come le malattie neurodegenerative.


Rita Levi Montalcini chiude il suo libro “ Cantico di una vita” con questa frase di Bertrand Russell: “... tre passioni hanno governato la mia vita: la ricerca della conoscenza, la sete d’amore e una struggente compassione per le sofferenze dell’umanità” e lei aggiunge: “allo stesso modo di Bertrand Russell ho avuto anch’io tre passioni che non differiscono sostanzialmente dalle sue. La prima concerne la passione per la ricerca scientifica, la seconda l’affetto smisurato per le persone a me care e la terza il piacere di prodigare tutta me stessa nell’aiuto del prossimo”.

La ricerca scientifica significa, dunque, passione, entusiasmo, amore, significa mirare ad obiettivi sempre più alti che pongano al centro dell’attenzione l’uomo, il suo benessere fisico e morale, che permettano di elevare la qualità della vita di tutti e di alleviare le sofferenze dell’umanità. Thomas Mann sosteneva che “l'interesse per la malattia e la morte è sempre e soltanto un'altra espressione dell'interesse per la vita”. Notevoli sono stati i progressi compiuti dalla scienza medica negli ultimi decenni, ma tra le più utili conquiste per l’umanità si è affermata un’intensa lotta contro le malattie neurodegenerative (come la malattia di Alzheimer, il morbo di Parkinson e di Huntington, la Sclerosi Laterale Amiotrofica, i tumori cerebrali), che sono uno dei problemi più laceranti del nostro tempo. “Soggiogare una malattia devastatrice non è solo un sogno” (I. Dewey), perché, oggi, gli studi, le ricerche, gli esperimenti puntano tutti a raggiungere questo scopo.

La sfida, che si sono posti i ricercatori, è quella di creare un futuro in cui ci siano interventi terapeutici veramente efficaci, trattamenti capaci di ridurre la frequenza della malattia, la velocità della sua progressione, gli effetti devastanti sulla qualità della vita delle persone e di chi vive accanto a loro. La ricerca dà fiducia agli ammalati nella loro quotidiana guerra alla malattia, offre una speranza alla quale attaccarsi nei momenti di disperazione; dobbiamo ricordare le parole, piene di ottimismo, di Pasquall Maragall, sindaco di Barcellona, colpito da Alzheimer, a 66 anni: “sarà una battaglia difficilissima, ci vorranno molti anni, ma alla fine vinceremo”. Alla gente sfiduciata si deve offrire un’opera di divulgazione, di informazione affinché sappia che per ognuna di queste terribili patologie ci sono gruppi di ricercatori di diversa estrazione scientifica che lavorano instancabilmente, senza mai arrendersi; ogni conquista apre la strada ad un’altra, quello che oggi non si ottiene può essere il punto d’appoggio o di partenza per un’altra più grande vittoria.

Le malattie neurodegenerative sono caratterizzate dalla perdita lenta e progressiva di una o più funzioni del sistema nervoso centrale. Il numero di persone affette da queste patologie è molto alto, ad esempio l’Alzheimer colpisce 600.000 persone solo in Italia (e più di 10 milioni nel mondo), i malati di Parkinson superano in Italia 250.000, in Europa 1,2 milioni; questo numero è destinato a crescere drasticamente a causa dell’innalzamento dell’età media della popolazione, infatti l’incidenza delle malattie neurodegenerative aumenta sensibilmente con l’aumentare dell’età. Assistiamo ad una progressiva debilitazione neuromuscolare, a deficit neuropsicologici, a una riduzione delle prestazioni cognitive (come la memoria, il ragionamento, il linguaggio) che, con l’andar del tempo, riescono a inficiare la qualità della vita dei malati, che si sentono sempre meno abili nella capacità di comunicare, nell’attenzione, nei tempi di reazione, nel ricordo di vicende familiari o nell’apprendimento; non riescono a mantenere standard prestazionali soddisfacenti sul lavoro e nella vita di relazione. Non è facile convivere, accettare questa progressiva spoliazione della tua stessa immagine personale e sociale e spesso si innescano circoli viziosi con la depressione, la solitudine e la perdita di autostima.
Queste patologie, che colpiscono indiscriminatamente tutti i ceti sociali, hanno un forte impatto sulla vita socioeconomica non solo dei pazienti, ma anche delle loro famiglie: la capacità del malato di prendersi cura di se stesso diminuisce sempre di più, richiedendo impegno e costi crescenti, da un punto di vista economico ed emotivo, da parte della famiglia, che vive il dramma quotidiano di un’emergenza sanitaria spesso ancora irrisolta.

Le malattie neurodegenerative, di estrema rilevanza sociale, sono una priorità comunitaria. Per queste forme invalidanti, no - nostante la presenza di numerosissimi studi, al momento non sono disponibili interventi medico-terapeutici in grado di far recedere o bloccare il loro progredire. Per abbattere questi “limiti”, queste “barriere” umane, sociali e farmacologiche che chiudono la possibilità di una vita normale ai malati e ai loro familiari, la ricerca si è indirizzata verso lo sviluppo e la progettazione di sistemi altamente specializzati che permettano il passaggio del farmaco o del principio attivo incapsulato attraverso un’altra barriera, ben difficile da attraversare, la barriera ematoencefalica (BEE), in modo da aumentare, mediante una veicolazione sitoselettiva, attività, efficacia del principio attivo e compliance da parte del paziente. La barriera ematoencefalica è una struttura protettiva di grandissima importanza per il mantenimento delle condizioni ottimali che consentono un corretto funzionamento dell’encefalo, ma che tuttavia può rappresentare anche un notevole ostacolo alla terapia farmacologica di patologie cerebrali. Infatti, il problema più ricorrente nei percorsi di ricerca è rappresentato dall’incapacità di molti farmaci di interagire con target cerebrali poiché non sono in grado di superare la barriera ematoencefalica, con inevitabile ripercussione, in termini di risultato, sul trattamento di queste malattie. La problematica è stata così affrontata utilizzando strategie alternative che consistono nel delivery diretto di farmaci e nella temporanea apertura della barriera ematoencefalica attraverso tecniche invasive di neurochirurgia, come l’infusione intracerebrale, o attraverso l’inibizione del meccanismo di efflusso, grazie ai quali si ottiene un risultato definitivo in termini di efficacia poiché il farmaco viene direttamente rilasciato all’interno del cervello. Allo stesso tempo, numerosi sono i limiti di questo approccio “invasivo”, rappresentati dai costi elevati, dall’aumento del rischio di infezioni, in aggiunta ad una diminuzione della compliance del paziente. Un’alternativa valida all’uso di queste strategie è stata resa possibile dalla scoperta dei sistemi colloidali che permettono l’associazione del principio attivo ad un carrier nanometrico, capace d’incorporare il farmaco, di trasportarlo e di rilasciarlo in modo controllato. In questo modo si aumenta la quantità di farmaco che raggiunge il sito bersaglio e nello stesso tempo si protegge il principio attivo dalla degradazione nell’organismo. Grazie a questa tecnica “non invasiva”, avviene quindi la targetizzazione del sistema nervoso centrale, escludendo la rottura o la modificazione della barriera ematoencefalica.

I sistemi colloidali includono le nanoparticelle polimeriche, i liposomi e le micelle. Al giorno d’oggi, l’uso delle nanoparticelle polimeriche è uno degli approcci più promettenti per il rilascio del farmaco all’interno del sistema nervoso centrale. Le nanoparticelle polimeriche sono caratterizzate da una maggiore stabilità nei fluidi biologici dovuta alla loro struttura polimerica, più stabile rispetto al doppio strato fosfolipidico delle vescicole o dei liposomi. Nella preparazione di questi sistemi colloidali, sono stati utilizzati polimeri di tipologie differenti e sperimentate diverse strategie di penetrazione della barriera, tra le quali occorre evidenziare l’utilizzo di nanoparticelle magnetiche e i sistemi nanogel, entrambi capaci di assicurare un delivery più specifico e selettivo del farmaco all’interno del sistema nervoso centrale. Tra i sistemi colloidali è importante ricordare le nanoparticelle a lunga circolazione (stealth), che riescono ad evitare la cattura da parte del sistema reticolo-endoteliale (RES), e l’approccio basato sull’uso dei ligandi. L’approccio basato sull’uso di ligandi specifici è divenuto una scelta primaria per molti farmaci selettivi e specifici rilasciati all’interno del sistema nervoso centrale. Questo metodo sfrutta la formazione di legami covalenti di ligandi a polimeri o a nanoparticelle per promuovere interazioni dirette con i sistemi di trasporto verso il sistema nervoso centrale. A questo scopo vengono utilizzati anche peptidi sintetici o naturali, a partire dall’evidenza che alcuni peptidi oppioidi sono capaci di superare la barriera ematoencefalica. Recentemente, il gruppo di ricerca del centro Te.Far.T.I. di Modena ha creato sistemi nanoparticellari, aventi un diametro anche di 150-200 nm, costituiti da PLGA (copolimero dell’acido lattico-glicolico), approvato dalla FDA (Food and Drug Administration) per uso iniettivo, sistemi che opportunamente modificati in superficie con peptidi, possono attraversare la barriera ematoencefalica. Tali sistemi, oltre a mascherare le caratteristiche negative dei farmaci, li proteggono dalla degradazione enzimatica. Diversi studi in vivo sono stati condotti col fine di confermare la presenza nel distretto cerebrale di tali sistemi ingegnerizzati, tramite l’utilizzo di polimeri marcati; inoltre farmaci e sostanze non in grado di superare la BEE sono stati caricati all’interno di tali sistemi, e tramite prove in vivo su animali da esperimento (ratti), si sono confermate le potenzialità di delivery al sistema nervoso centrale. In particolare, il lavoro di ricerca si è concretizzato in una sperimentazione di sistemi nanoparticellari adeguatamente modificati con il duplice scopo di localizzare i sistemi a livello cellulare e di valutare il direzionamento cerebrale. Riguardo alla localizzazione cellulare dopo somministrazione in vivo, tale necessità nasce dall’esigenza di comprendere a fondo il destino e la distribuzione di questi stessi carriers dopo una somministrazione endovenosa. Esistono molti approcci atti alla localizzazione di nanoparticelle che variano dall’utilizzo di farmaci o polimeri radiomarcati fino all’utilizzo di farmaci fluorescenti incapsulati nei sistemi particellari. I limiti che derivano da questi approcci consistono principalmente, a causa delle condizioni degli esperimenti eseguiti in vitro o a causa della natura puramente qualitativa del riconoscimento del materiale marcato, nella mancanza di informazioni riguardo all’esatta posizione delle nanoparticelle nei tessuti o nelle cellule. Modificazioni su polimeri preformati con markers di fluorescenza o di immuno-istochimica hanno permesso la preparazione e l’ottenimento di nanoparticelle modificate superficialmente, che possono essere direttamente riconosciute dopo infusioni endovenose in sperimentazioni su ratti. Una doppia tecnica di infusione, ovvero una perfusione cerebrale ed una sistemica, di entrambi i tipi di nanoparticelle modificate, ha consentito sia con microscopia a fluorescenza, sia sfruttando la formazione del complesso avidina-biotina-perossidasi e la sua rivelazione con un adatto colorante specifico, il riconoscimento delle nanoparticelle all’interno dei tessuti e, secondariamente, di valutare la localizzazione in due diversi distretti cellulari, come il cervello e il fegato.

Accanto a questi studi, sono stati anche effettuati esperimenti di perfusione cerebrale di nanoparticelle ottenute da polimeri modificati con opportuni ligandi (peptidici) e marcati con fluoresceina, con lo scopo di superare la barriera ematoencefalica. La perfusione cerebrale, ancora una volta, si presta come utile strumento per una valutazione diretta del destino delle particelle preparate. Gli studi istologici e citologici hanno permesso di valutare con esattezza la disposizione di questi sistemi in vivo, e hanno anche permesso di unire conoscenze prettamente dell’ambito tecnologico- farmaceutico con conoscenze mediche ed anatomo-patologiche, fornendo alla ricerca un valore aggiunto. Accanto ai primi risultati qualitativi (ottenuti tramite “In situ brain perfusion technique”) si sono avute importanti conferme da studi farmacologici dopo somministrazione endovenosa, che il gruppo di Modena ha svolto in collaborazione con gruppi di ricerca di settore, con l’evidenza della traslocazione nel sistema nervoso centrale di farmaci non in grado di superare la BEE, come la Loperamide o un probe fluorescente modello, come la Rodamina-123. I risultati sono stati anche validati da studi con somministrazioni intracerebroventricolari per una conferma della attività del farmaco, assieme ad una valutazione della biodistribuzione di tali vettori nell’intero organismo, tramite metodologie di estrazioni degli organi e valutazione su omogenati di tessuto (con analisi HPLC). Esperimenti di biodistribuzione hanno dimostrato che, se per particelle costituite da polimeri differenti (albumina, ciano-acrilati, metallo), solamente lo 0,2% della dose somministrata è in grado di localizzarsi nel parenchima cerebrale, i sistemi a base PLGA derivatizzati con i peptidi specifici mostrano che circa il 15-20% della dose somministrata è in grado di localizzarsi all’interno del parenchima cerebrale, con un incremento, rispetto alle altre nanoparticelle note, di circa 100 volte.

La ricerca e la messa punto di ulteriori studi su modelli patologici è ancora lunga, ma in continuo divenire, confidando che la nanotecnologia applicata alla medicina, secondo la terminologia inglese “Nanomedicine”, rappresenti dunque una delle più promettenti strategie, aprendo la strada verso nuove prospettive, con la possibilità di trasportare e rilasciare all’interno del sistema nervoso centrale una grande varietà di sostanze attive, di creare nuove terapie per contrastare patologie ad oggi di difficile approccio, come le malattie neurodegenerative, che rappresentano uno dei maggiori problemi di salute pubblica.


Riferimenti bibliografici
Tosi G., Costantino L., Rivasi F., Ruozi B., Leo E., Vergoni A. V., Tacchi R., Bertolini A., Vandelli M. A., Forni F. (2007) Targeting the Central Nervous System. In vivo experiments with peptide derivatized nanoparticles loaded with Loperamide and Rhodamine 123, J Control Rel 122, 1-9.

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