I risultati di questa ricerca dimostrano la possibilità di applicazione di un approccio biomimetico al campo della chimica industriale. Questo approccio prevede che la preparazione di composti chimici utili possa essere eseguita mimando quello che la natura fa da millenni in un ambito perfettamente eco-sostenibile, cioè utilizzare prettamente l’energia del sole.
Uno dei problemi più attuali correlati
al settore chimico industriale (sia esso
legato alla produzione di principi farmaceutici
o alla lavorazione di derivati
del petrolio) riguarda l’impiego di
elevate quantità di energia necessaria
affinché avvenga una trasformazione
chimica.
Questo problema implica gravi danni
sia dal punto di vista ambientale
(e della salute sull’uomo) sia dal
punto di vista del consumo di risorse
energetiche limitate (ad esempio,
i combustibili fossili).
L’impiego di
questi combustibili comporta inevitabilmente
l’emissione nell’ambiente
di grandi quantità di anidride carbonica.
Molti dei composti chimici
utilizzati sono essi stessi derivati del
petrolio e quindi legati a risorse non
rinnovabili. Normalmente una reazione
chimica avviene quando i reagenti
opportuni (ad esempio A e B)
vengono mescolati insieme a dare il
prodotto finito grazie all’apporto di
energia (calore). Spesso è necessario
aggiungere all’ambiente di reazione
un additivo (in gergo un catalizzatore)
che serve a promuovere la reazione
(Schema 1, via a).
Da un po’ di anni sta crescendo la
consapevolezza di una chimica per
l’ambiente che minimizzi l’impatto
ambientale delle reazioni chimiche
stesse e questo ha portato alla nascita
della cosiddetta “green chemistry” o
chimica verde che è ormai diventata
una priorità nell’ambito chimico.
È
quindi indispensabile applicare un
approccio eco-sostenibile ai processi
chimici prevedendo un utilizzo consistente
di risorse rinnovabili, tra cui
il sole, come fonte energetica per promuovere
i processi chimici.
L’energia solare è la fonte di energia
che permette lo svolgersi delle trasformazioni
che avvengono in natura.
Grazie a questa fonte inesauribile è
possibile quel processo straordinario
noto con il nome di fotosintesi clorofilliana,
dove acqua ed anidride carbonica
vengono trasformati in zuccheri
utili al nutrimento delle piante.
La fotosintesi avviene grazie ai componenti
delle foglie che sono in grado
di catturare l’energia del sole e
trasformarla in energia chimica. Inutile
dire che tali reazioni sono ben
lungi attualmente dall’essere riprodotte
in laboratorio.
Schema 1
Un semplice albero
diventa quindi un modello naturale
molto interessante da imitare e la
sfida sta nel riprodurre in laboratorio
dei sistemi ispirati da una semplice foglia
per riuscire finalmente ad imprigionare
la grande energia che deriva
dal sole. L’osservazione dei fenomeni
naturali come fonte di ispirazione per
le scoperte scientifiche è un concetto
innovativo introdotto un po’ di anni
fa dalla scrittrice J. Benyus. In pratica,
questo approccio (detto biomimetico)
si basa sul fatto consolidato
che la natura nel corso di milioni di
anni per necessità ha dovuto risolvere
egregiamente i propri problemi. Ne
consegue che la semplice imitazione
dei processi che avvengono quotidianamente
in quell’enorme laboratorio
vivente che è la natura potrebbe risultare
estremamente utile per risolvere
i problemi scientifici attuali. Per fare
degli esempi, molti non sanno che
l’invenzione del velcro è stata ispirata
al suo scopritore constatando la forza
adesiva con cui le lappole (frutti della
bardana) si attaccavano ai vestiti.
Altre fonti di ispirazione sono stati ad
esempio i ragni o animali più esotici
come il diavolo spinoso (una lucertola
del deserto australiano).
Nel primo caso, lo studio dei fili delle
tele del ragno (più forti dell’acciaio)
potrebbe portare allo sviluppo di
nuovi materiali elastici ma allo stesso
tempo resistenti per applicazioni in
campo biomedico.
Nel secondo caso, lo studio della particolare
pelle della lucertola (idrorepellente
e biodegradabile) potrebbe
portare ad interessanti scoperte nel
campo dei rivestimenti o imballaggi
eco-sostenibili.
In particolare, lo studio della facilità
con cui l’assorbimento di luce
da parte del mondo vegetale porta a
profonde modificazioni chimiche ha
ispirato negli anni quella branca di
scienza nota con il nome di fotochimica.
Quest’ultima studia le reazioni
chimiche che vengono indotte dalla
luce solare (o anche artificiale). In
pratica, si è così scoperto che la luce
può fungere sia da fonte energetica
della reazione sia da catalizzatore
(evitando l’uso di composti tossici
e costosi) permettendo di ottenere
dei prodotti finiti, ma con un costo ambientale decisamente minore
(Schema 1, via b).
I vantaggi, come è intuibile, sono
enormi in quanto al posto di un reattivo
chimico, che lascia inevitabilmente
dei rifiuti tossici al termine
della reazione che dovranno essere
smaltiti con un conseguente costo
ambientale, viene usata la luce del
sole. La luce è quindi il “reagente”
intrinsecamente pulito e rinnovabile
per eccellenza in quanto non lascia
nessun tipo di residuo nell’ambiente
di reazione. Purtroppo, nonostante
tali reazioni indotte dal sole siano
note già dal diciannovesimo secolo, il
loro utilizzo pratico è di fatto inesistente
per le limitazioni legate alle variabili
che influenzano l’intensità della
radiazione solare (area geografica,
condizioni atmosferiche, alternanza
giorno/notte). Tra l’altro il vero pioniere
dell’uso della radiazione solare
fu l’italiano Giacomo Ciamician che
all’inizio del secolo aveva già constatato
che le piante per poter far avvenire
i processi in maniera semplice e
del tutto eco-sostenibile disponevano
di un “reagente nascosto”, la luce solare
appunto, ponendo le basi per la
formulazione dei concetti base della
chimica verde. La nostra ricerca si inquadra
in questo ambito e si occupa
principalmente di reazione fotocatalizzate
dove la luce ha il compito di
attivare una sostanza presente in piccole
quantità nella miscela di reazione
(detta fotocatalizzatore) per dare
luogo ad altre interessanti reazioni
(Schema 1, via c).
Il nostro gruppo di ricerca ha così
messo a punto la preparazione di un
fotocatalizzatore a base di tungsteno
(P nello Schema 2 sottostante) che
una volta attivato dalla luce solare è
capace di compiere una serie di trasformazioni
chimiche che portano
all’ottenimento di composti organici
difficilmente ottenibili per altra via.
Cosa molto importante questo fotocatalizzatore,
sebbene non disponibile
in commercio, è molto facile
da preparare in quanto non richiede
lunghe e costose procedure di sintesi.
Grazie all’azione di questo fotocatalizzatore
possono diventare reattive
anche quelle classi di composti chimici
che notoriamente non lo sono
(es idrocarburi, eteri, ammidi).
Lo schema di azione del catalizzatore
è indicato di seguito nello Schema 2.
Inizialmente il fotocatalizzatore P assorbe
la luce del sole e passa in uno
stato attivato energeticamente (P*)
che è così in grado di rendere reattivo
un composto organico inerte (Reagente
1).
Come risultato si forma una
specie molto reattiva quale un radicale
libero (R•) che può reagire con una
seconda molecola organica (Reagente 2)
a dare un prodotto finale molto più
complesso dei reagenti iniziali.
Il grosso vantaggio del metodo sta nel
fatto che nell’ultimo passaggio della
reazione il fotocatalizzatore si rigenera
ed è pronto per essere attivato dalla
luce e compiere un nuovo ciclo (Schema
2). Idealmente P non si consuma
mai e quindi può essere usato in piccole
quantità riducendo così i costi di
tutto il processo. Sono stati preparati
in questo modo svariati prodotti finiti
tra cui, per citarne solo alcuni, anche
dei derivati biologicamente attivi ad
azione potenzialmente psicoattiva
contenenti l’anello benzodiossolico.
Uno dei grossi vantaggi di questa
reazione sta nella sua assoluta semplicità
visto che anche un semplice
contenitore di vetro può fungere da
vero reattore solare (vedi Figura 1). Si
può quindi fare quello che abbiamo
definito “la chimica del davanzale” in
quanto le reazioni necessitano solo di
una superficie adatta (es quella di un
davanzale) dove lasciare il reattore e
poi, semplicemente, basta lasciare la
miscela ivi contenuta al sole senza fare
altro. Durante la reazione si può osservare
un progressivo cambiamento
di colore della soluzione che da incolore
passa a blu intenso indice del fatto
che la trasformazione sta avvenendo
(Figura 1).
In pratica il metodo
ci permette di preparare il composto
di interesse senza nessun apporto di
energia esterna ad eccezione di una
fonte rinnovabile quale il sole. Questo perché non c’è bisogno di
energia artificiale né per riscaldare né
per raffreddare la miscela e nemmeno
per agitarla. Quindi, se in teoria
si potesse disporre di una superficie
sufficientemente grande per poter
esporre svariati contenitori di vetro
alla luce solare si potrebbero produrre
svariati chilogrammi di prodotti ad
alto valore aggiunto. Possiamo quindi
affermare che l’originalità del nostro
studio consiste nell’applicazione di
importanti reazioni chimiche indotte
dalla luce (anche solare) che fino ad
ora sono state considerate solo come
una semplice curiosità. Questo grazie
al notevole studio sulla generazione
di intermedi reattivi (come i radicali
liberi) che possono essere utilizzati
in svariate reazioni. Queste reazioni
sono da considerarsi una valida
alternativa alle reazioni già note che
hanno l’inconveniente di utilizzare
additivi chimici costosi e tossici che
devono poi essere eliminati al termine
della reazione. È al momento allo
studio, in collaborazione con l’Università
di Townsville (Australia), la
progettazione di prototipi di reattori
solari opportunamente costruiti allo
scopo, che permettono l’ottenimento
dei composti su larga scala. Questi ultimi
sono stato progettati in maniera
tale da massimizzare l’assorbimento
di luce da parte del fotocatalizzatore
in cui ad esempio la luce viene concentrata
da opportuni specchi.
In ogni caso, le reazioni sono state
messe a punto per ottimizzare la loro
eco-sostenibilità grazie all’uso di opportuni
software (EATOS o LCA)
che, valutandone l’impatto ambientale,
ne hanno dimostrato gli indubbi
vantaggi.
Viste le promettenti
premesse c’è da augurarsi una futura
applicazione di quella che si può definire
“biomimetica industriale” dove
l’industria chimica nei suoi processi
dovrebbe imitare i meccanismi e i
metodi che la natura utilizza da migliaia
di anni.