La sicurezza è una proprietà emergente del sistema che non è riconducibile al buon funzionamento dei suoi singoli elementi, ma all’interazione complessa tra essi.
I piani generali di Risk Management
mostrano quotidianamente i propri
limiti in termini di efficacia per
una ragione di principio: tali piani
concepiscono i processi sanitari come
successioni di attività da organizzare
secondo un modello ingegneristico
il quale è inadeguato ai caratteri
complessi di un’organizzazione sanitaria.
Si utilizza, in altri termini, uno
strumento inadeguato a svolgere una
funzione. Dedicheremo queste brevi
riflessioni per descrivere le ragioni che
sottostanno alla necessità di ripensare
metodologicamente il Clinical Risk
Management.
Il Rischio è tradizionalmente definito
“Condizione o evento potenziale, intrinseco
o estrinseco al processo, che può
modificare l’esito atteso del processo. È
misurato in termini di probabilità e di
conseguenze, come prodotto tra la probabilità
che accada uno specifico evento (P)
e la gravità del danno che ne consegue
(D); nel calcolo del rischio si considera
anche la capacità del fattore umano di
individuare in anticipo e contenere le
conseguenze dell’evento potenzialmente
dannoso (fattore K)” 2.
Tale definizione, diffusa dal Ministero
della Salute, definisce esplicitamente
il rischio come un esito probabilistico
di un processo.
Tuttavia, nel momento
in cui proviamo a definire la realtà
di un processo organizzativo sanitario
complesso ci troviamo inesorabilmente
a descrivere in maniera ambivalente
l’organizzazione attraverso due approcci
antitetici: da un lato lo studio
dello schema, ovvero il piano formale
dell’organizzazione, l’analisi degli ordini
e la valutazione delle qualità (organigramma),
dall’altro lo studio della
struttura organizzativa, ossia la realtà
materiale, sostanziale e le dimensioni
quantitative delle stesse e dei suoi rapporti
(funzionigramma). La categoria
concettuale che unifica l’incommensurabilità
dei due approcci è quella di
processo, inteso come la continua materializzazione
dello schema di un’organizzazione,
la continua ricucitura
dello schema, per definizione astratto,
alla struttura reale nel tempo dell’organizzazione
stessa, per sua natura appartenente
alla realtà.
La concezione probabilistica del rischio
assume allora per alcuni versi un
significato astratto, poiché valida solo
in uno schema formale, cioè caratterizzato
dalla perfetta ripetitività degli
eventi su cui calcolare una probabilità
di accadimento (P) e in una condizione
di determinismo lineare necessaria
a definire l’entità del danno conseguente
(D) all’evento.
Le moderne teorie della complessità
dei sistemi sanitari ci descrivono situazioni
ben diverse da quelle di uno
scenario precostituito, da interventi
clonati in serie, dal rispetto di procedure
e protocolli terapeutici da parte
degli operatori sanitari; ci parlano di
multifattorialità e multicriterialità nelle
scelte decisionali, ci descrivono relazioni
complesse ed incerte sul piano
semantico delle variabili osservate, ci
fanno dunque affermare che la sicurezza
è una proprietà emergente del
sistema che non è riconducibile al
buon funzionamento dei suoi singoli
elementi, ma all’interazione complessa
tra essi.
Parafrasando Koyré 3, che riassume il
percorso storico-scientifico con fasi
in successione e distinte tra loro per
il tipo di rapporto tessuto dall’uomo
con la dimensione tecnica dell’organizzazione
della sua esistenza, possiamo
interpretare l’evoluzione dei modelli
di analisi dei fenomeni relativi
ai meccanismi delle scienze sanitarie
come quella descritta dalla seguente successione: 1) analogico semplice
(empiria) 2) digitale complicato
(proceduralizzazione dicotomica)
3) analogico complesso (la realtà complessa).
Ogni fase non annulla la antecedente,
ma costituisce un sovrordine
rispetto allo stadio precedente. La fase
1) è quella della tecnica semplice, dei
rapporti immediati tra azione ed effetto.
La fase 2) è quella dell’affermazione
epistemologica della non neutralità
della tecnica a seguito della capacità,
posseduta dalla tecnica stessa, di originare
un ambiente, per molteplici
aspetti irreversibile, nel quale la condizione
umana subisce l’influenza tecnocratica,
al punto di mutare il termine
organizzazione4 dal significato originario
di mezzo, a quello di fine e che,
in quanto tale, si autoalimenta incessantemente
in un feedback di rinforzo
che si arresterebbe solo qualora tutto
fosse divenuto tecnica o procedura. La
fase 3), in profonda discontinuità con
il passato, è quella auspicabile del tentativo
di recupero del rapporto tra la
complessità dell’individuo (individuum
= in-divisibile) e la tecnica (technè
= razionalità) e quindi, tra le altre cose,
della necessità di concepire la realtà incerta
delle cose come una esigenza logica
e filosofica prima che tecnologica.
L’organizzazione assume dunque, solo
in tempi relativamente recenti, una
connotazione ontologica intrinsecamente
dinamica, al punto di svolgere
prioritariamente il ruolo di strumento
cognitivo rispetto a quello di dominio
sui processi di trasformazione interni
alla società umana. Organizzazione
come organo differenziato e stratificato
in differenti piani funzionali dinamicamente
interconnessi, strumento di
conoscenza, strumento di trasformazione,
strumento di controllo e misura
dei processi di lavoro.
Il sociologo Herbert Simon pone in
relazione i giudizi di fatto ai criteri di
adeguatezza dei mezzi (organon) e delle
modalità di funzionamento, mentre
attribuisce il valore dei secondi ai
processi di valutazione dei fini per cui
l’organizzazione è posta in essere5. In
precedenza, tuttavia, si è sottolineata
l’impossibilità di separare nettamente
i mezzi dai fini in quanto la scelta dei
mezzi non è neutrale rispetto ai fini
cui l’organizzazione è preposta, in particolare
in quelle ad alto grado di proceduralizzazione
delle proprie attività.
Nella storia delle organizzazioni è stata
inoltre delineata una suddivisione tra
organizzazioni concepite come sistemi
chiusi, quindi gestite tramite approcci
razionali, scientificamente esatti, o in
altri termini mediante operazioni di
riduzione del complesso al semplice
e di disgiunzione delle parti dal tutto,
ed organizzazioni come espressione
del funzionamento di sistemi aperti,
ovvero in grado di stabilire uno scambio
con l’ambiente esterno. In pratica,
le prime sono per lo più modelli o
astrazioni concettuali, in quanto nella
realtà un sistema assolutamente chiuso
non esiste ed ha prevalentemente
valore come strumento didattico utile
a schematizzare il funzionamento di
modelli teorici.
I sistemi aperti viceversa
sono, al pari di scatole cinesi semipermeabili,
dei complessi strutturati
in un’articolazione figurativamente
concentrica.
I sistemi aperti sono realisticamente
influenzati sia dai soggetti che vi
operano che dall’ambiente circostante
e perciò in essi agiscono strategie di
adattamento e di sopravvivenza secondo
la metafora dell’organizzazione
intesa come un organismo alle prese
con una moltitudine di variabili non
completamente note, o conosciute in
forma sfumata. Le difficoltà cognitive
nascono puntualmente nel momento
in cui si è costretti a semplificare la
realtà in schemi chiusi per comprenderne i meccanismi ed operare su di
essa per gestirne i processi, mentre nel
contempo è presente la consapevolezza
del fatto che una struttura operativa
non può non tener conto della variabilità
del contesto interno e dell’ambiente
circostante.
È facile pensare ad un ospedale come
ad un sistema aperto influenzante ed
influenzato dal territorio circostante;
ma, in realtà, anche una unità operativa
interna alla struttura, concepita
come entità a sé, come ad esempio un
servizio di farmacia, un laboratorio
di microbiologia o un reparto di degenza,
pur funzionando secondo una
serie di procedure interne, più o meno
rigide, deve possedere una membrana
di confine semipermeabile affinché
sia permesso il flusso dell’osmosi informativa
tra l’interno e l’esterno del
servizio stesso. Il problema si pone
dunque nel momento in cui devono
coesistere simultaneamente prevedibilità
e non-linearità, razionalità ed
indeterminatezza, elementi in linea di
principio incommensurabili e tra di
loro incompatibili sul piano cognitivo.
James Thompson affronta la contrapposizione
dei due modelli6. Da un
lato l’organizzazione come macchina
costruita razionalmente per fornire
prestazioni prevedibili, e dall’altro
l’organizzazione come organismo che
si adatta alle circostanze esterne ed alle
variabili interne.
La realtà delle organizzazioni,
egli afferma, è troppo complessa
perché possa essere rappresentata
dalla semplice dicotomia tra sistemi
chiusi ed aperti. Le organizzazioni
devono essere governate mediante una
logica in grado di conciliare i caratteri
antitetici in essa contemporaneamente
presenti.
Nel cuore delle organizzazioni assistenziali
è presente il nucleo tecnico,
ovvero il luogo dell’evidence based
practice, della conoscenza esatta e probabilistica,
con il mandato di replicare
la qualità operativa delle cure.
Nel nucleo
geometrico di tale modello non vi
è complessità come effetto delle condizioni
di stabilità dei processi tecnici,
della certezza scientifica e dell’accordo
di condivisione tra i professionisti sulle
procedure adottate. A questo livello
non occorre altro che il controllo degli
indicatori tecnici ed il monitoraggio
dei flussi informativi di natura ingegneristica
(consumi delle risorse materiali,
report laboratoristici, etc.). Il
nucleo tecnico esprime la sua efficacia
in misura proporzionale a quanto esso
è sigillato rispetto alle perturbazioni
esterne. Si pensi alla qualità di una sala
operatoria garantita dalla protezione e
dall’isolamento assoluto dei suoi meccanismi
procedurali interni7 rispetto al
resto della struttura. Si considerino i
protocolli di un servizio immunotrasfusionale
o di un laboratorio di microbiologia
con i loro tempi lineari8,
scanditi ed uniformi indipendentemente
in ogni struttura di ricovero.
La parte più esterna di un’organizzazione
è la zona di confine con l’esterno,
è l’area di massima complessità ed
è il luogo istituzionale delle strategie
di sopravvivenza rispetto alle turbolenze
del mondo esterno.
È il luogo in
cui lo spazio e il tempo si relativizzano
al mutare degli scenari territoriali9.
A
livello intermedio si colloca la funzione
di mediazione tra i due livelli, con
funzioni di management della complessità,
tra interno ed ambiente circostante,
cioè tra livello tecnico e livello
politico.
Nell’area centrale predominano le
leggi dell’ordine e della razionalità, è
l’area dei protocolli assistenziali, del
tempo lineare e dell’addestramento
dei professionisti. Nell’area esterna
è necessario fare ricorso alle leggi sul
caos10.
Nell’area intermedia siamo nel
dominio della complessità, nel mondo
organizzativo da gestire con gli
strumenti in grado di leggere il complexus;
è l’area delle linee di indirizzo
strategico, dei comportamenti basati
su intuizioni ed intelligenze diffuse, è
l’area in cui è necessaria la formazione
dei professionisti orientata ai caratteri
della complessità del mondo reale.
Note
1. Dirigente dell’Assistenza, UOC Qualità
e Risk Management ASL Roma B.
Dottore in filosofia con indirizzo logico
epistemologico, prof a.c. di Metodologia
della Qualità e Gestione Rischio Clinico
presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia
dell’Università degli Studi di Roma “Tor
Vergata” e prof a.c. di Teoria delle Decisioni
presso la Link Campus University
(Università di Malta sede in Roma).
2. http://www.ministerosalute.it/qualita/paginaInternaQualita.
jsp?id=266&menu=sicurezza.
3. Alexandre Koyré, Dal mondo del pressappoco
all’universo della precisione,
Einaudi Editore, Torino 2000. Lo storico
della scienza A. Koyré distingue un
periodo antico caratterizzato, per così
dire, da una rassegnazione alla mancanza
di scienza quantitativa e tecnologie
scientifiche, un periodo moderno connotato
da una speranza entusiasta, riposta
nelle prospettive offerte dalla scienza
analitica, infine l’era contemporanea in
cui osserviamo una società che vive la
rassegnazione disperata all’onnipresenza
della tecnica e delle macchine.
4. Il termine organizzazione deriva dal greco
organon (mezzo, strumento).
5. Herbert Simon, Il comportamento amministrativo,
Il Mulino, Bologna 1958.
6. James Thompson, L’azione organizzativa,
Isedi, Torino 1988.
7. Vedi: procedure di sterilizzazione, protocolli
anestesiologici, approvvigionamento
materiali etc.
8. Vedi: tempi di coltura batteriologica,
tempi di reattività antigene-anticorpo,
tempi di processazione delle provette,
tempi di riconsegna referti etc.
9. Vedi: mercato del lavoro, politiche
sanitarie, urbanizzazioni, riorganizzazioni
delle reti ospedaliere, variabilità
dell’utenza, eventi di varia natura con
ricadute sanitarie etc.
10. Per approfondire: Ralph Stacey, Management
e caos, la creatività nel controllo
strategico dell’impresa, Guerini e Associati,
Verona 1996.