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Forse non esiste ausilio alla mobilità in grado di contribuire maggiormente alla libertà di movimento di una carrozzina a propulsione elettrica, o carrozzina elettrica in breve.
Tuttavia, sebbene abbiano profondamente influito sulla qualità di vita di molte persone disabili, le carrozzine elettriche attualmente in uso possono essere non appropriate per molti individui: in particolare, l’uso dei più comuni dispositivi di guida e comando può risultare difficoltoso, o persino impossibile, qualora si desideri conseguire, attraverso il controllo fine del movimento, la possibilità di navigare accuratamente e in condizioni di sicurezza, sia in ambienti domestici sia in condizioni outdoor.
Le carrozzine elettriche hanno cominciato ad affermarsi verso la fine degli anni ’50, configurandosi inizialmente come versioni modificate di

carrozzine a propulsione manuale standard, con l’integrazione delle componenti di controllo, attuazione e trasmissione del movimento necessarie al loro impiego.
A partire dalla seconda metà degli anni ’70, si sono progressivamente affermati sul mercato sistemi più sofisticati, in relazione al design meccanico e alla scelta dei materiali da impiegare nella costruzione della struttura meccanica, alle tecniche di controllo del movimento, sempre più chiaramente orientate verso soluzioni digitali, alla scelta delle interfacce, in grado di garantire l’accessibilità ad una popolazione di utenti sempre più ampia.
A partire dai primi anni ’90, si è venuta manifestando infine la tendenza, in particolare nell’ambito dei programmi di ricerca di molti laboratori universitari e di taluni centri di ricerca attivi nel settore delle tecnologie per la riabilitazione, a considerare auspicabile l’evoluzione della carrozzina elettrica verso la cosiddetta carrozzina robotica.
Occorre notare infatti che, sotto molti aspetti, un progettista di robot mobili può a giusta ragione “vedere” in una carrozzina elettrica commerciale una base mobile con eccellenti caratteristiche strutturali, tanto da poterla candidare per la realizzazione di un vero e proprio robot mobile: i costruttori di carrozzine elettriche hanno infatti brillantemente risolto molti problemi tecnologici, legati in particolare alla struttura meccanica, nonché all’elettronica di controllo e di pilotaggio degli attuatori (i motori elettrici di cui le carrozzine elettriche sono dotate).
Le carrozzine elettriche sono in grado di trasportare pesi elevati, utilizzano una carica delle loro batterie per percorrere decine di chilometri, sopportano cicli di lavoro intensi (in pratica, 16 ore al giorno, 365 giorni all’anno), e costano relativamente poco (se confrontate con i robot mobili commerciali).
Affinché l’evoluzione possa dirsi compiuta, occorre che la carrozzina elettrica possa beneficiare appieno delle più moderne tecnologie robotiche e meccatroniche, sia per quanto concerne la possibilità di integrare in essa interfacce di controllo sofisticate, processori con elevate capacità di calcolo, basati, ad esempio, sulla tecnologia dei personal computer industriali e dei sistemi operativi real-time multi-tasking, sia per quanto riguarda la possibilità di integrare sistemi sensoriali, senza i quali non si possono affrontare e risolvere i problemi di controllo del movimento e di navigazione, il cui studio costituisce argomento di ricerca di grande importanza nel settore della robotica mobile.
La progettazione e la realizzazione di componenti hardware a tecnologia avanzata, di architetture di controllo innovative, e di tecniche algoritmiche per la pianificazione del movimento e la navigazione possono costituire altrettanti contributi della ricerca robotica in grado, potenzialmente, di fertilizzare il settore della bioingegneria della riabilitazione interessato alla progettazione e realizzazione di ausili intelligenti per la mobilità.
In questo lavoro, ci proponiamo di descrivere e discutere gli approcci più comunemente adottati per la possibile integrazione in carrozzine elettriche standard di sistemi di navigazione, il cui compito sia coadiuvare l’utente nel controllo di movimenti altrimenti ardui, se non impossibili, da eseguire.
Come caso di studio, considereremo il problema di evitare le possibili collisioni della carrozzina robotica contro gli oggetti incontrati nel corso del suo movimento (comportamento di obstacle avoidance).


Configurazione di una carrozzina elettrica
figura 1 - clicca per ingrandire
Lo schema proposto in Figura 1 cattura in modo schematico la complessità dell’interazione tra utente e carrozzina elettrica.
Di tale schema si desidera in particolare evidenziare i seguenti elementi: il dispositivo di ingresso, la cui struttura determina come le informazioni di comando/controllo dell’utente vengano acquisite, condizionate e trasferite al sistema di controllo del movimento; il sistema di controllo del movimento, nelle sue componenti elettroniche hardware e software; il dispositivo di uscita, la cui struttura determina come le informazioni di feedback sensoriale artificiale siano rese disponibili e fruite dall’utente.
Generalmente, i sistemi commerciali utilizzano azionamenti elettrici basati su motori elettrici in continua a magnete permanente, con alimentazione a batteria.
Occorre notare che, se il sistema di controllo fosse ad anello aperto, l’utente stesso sarebbe costretto a svolgere il ruolo di sensore di feedback e di controllore, modulando i segnali di controllo mediante il dispositivo di ingresso, in modo da mantenere, o tentare di mantenere, la velocità e la direzione di avanzamento desiderate (operazione certamente non facile, specie quando il movimento avviene su pendii, su terreni accidentati, e, più ancora, in presenza di limitazioni fisiche e/o cognitive).
La regolazione elettronica di velocità per la generazione e la trasmissione del movimento consente pertanto di migliorare la guidabilità di una carrozzina elettrica: in un sistema di controllo ad anello chiuso, infatti, la misura di grandezze fisiche opportune, ad esempio la velocità di rota- zione delle ruote, mette a disposizione del sistema di controllo l’informazione necessaria per impostare automaticamente i segnali di pilotaggio agli attuatori corrispondenti alla condizione operativa desiderata.
A questo riguardo, l’evoluzione tecnologica nel settore della microelettronica è stata determinante nel miglioramento qualitativo dei sistemi in commercio, contribuendo allo sviluppo di tecniche di generazione e trasmissione del movimento caratterizzate da efficienze energetiche assai superiori rispetto a quelle disponibili in passato, e con risultati assai interessanti anche dal punto di vista, ad esempio, dell’efficacia e della sicurezza dei sistemi di frenatura disponibili a bordo [1].
La tecnologia dei microcontrollori ha consentito l’implementazione di architetture di controllo con un certo grado di adattabilità alle specifiche condizioni di un determinato percorso, capaci di monitorare e regolare numerosi parametri, utili al miglioramento del comfort di guida.
Fondamentale anche il contributo che l’adozione di tecniche di controllo a microprocessore sta avendo in merito al problema della fault-tolerance: nei sistemi più sofisticati, già oggi è possibile avviare procedure per la verifica di operatività del dispositivo di ingresso e dell’integrità delle sue connessioni alla centralina di controllo, per l’esecuzione di routine di auto-diagnostica, per l’attivazione di sistemi di controllo ausiliari, utili per consentire il movimento anche in presenza di instabilità e malfunzionamenti dei sistemi di controllo primari [2].
Il dispositivo di uscita rende disponibile l’informazione sensoriale che, nella prospettiva di rendere più efficiente e sicura l’attività di guida, può essere ulteriormente “irrobustito” dalla disponibilità di display visivi, avvisatori acustici/luminosi, interfacce di input a ritorno di forza, gestite dal sistema di controllo.
La gravità delle limitazioni funzionali di un utente può richiedere inoltre una cura particolare nella scelta del dispositivo di ingresso. Occorre infatti che un interruttore o un trasduttore sia posizionato in corrispondenza di un’appropriata locazione anatomica, così da poter derivare segnali utili al controllo dell’ausilio.
L’avvento dei microprocessori ha contribuito anche al conseguimento di innovazioni significative nella tipologia e nella sofisticazione delle interfacce di controllo.
I metodi di attivazione dell’interfaccia di controllo possono essere molteplici; esistono infatti, ad esempio, interfacce di controllo meccaniche (attivazione mediante l’applicazione di una forza meccanica), elettromagnetiche (attivazione mediante rivelazione di energia elettromagnetica), elettriche (attivazione mediante rivelazione di biopotenziali), pneumatiche (attivazione mediante rivelazione del flusso respiratorio), vocali (attivazione basata su operazioni di riconoscimento vocale).
Il joystick è tuttavia l’interfaccia di controllo più comunemente adottata, anche se non tutti gli utenti sono effettivamente in grado di usarla, in particolare quando il compito di navigazione richieda un controllo fine del movimento e un livello di coordinazione motoria del soggetto adeguato alla difficoltà della manovra da eseguire [3].
La maggior parte dei joysticks è di tipo proporzionale, vale a dire l’uscita è proporzionale alla posizione (angolare) del dispositivo, e realizzati utilizzando metodi potenziometrici ovvero induttivi.
Ne esistono versioni diversificate, in relazione anche alla possibilità di un loro impiego mediante movimenti di altre parti del corpo, qualora mobilità articolare, forza muscolare, rigidità spastica, tremore d’azione del paziente pregiudichino l’impiego della mano o dell’arto superiore.
In altri casi, i joysticks utilizzano interruttori ovvero sensori ottici per convertire la posizione angolare in un segnale discreto, con modalità di selezione sia diretta che a scansione.
Mediante la tecnica di controllo basata sull’uso del joystick, le uscite dal dispositivo di ingresso sono la velocità di avanzamento desiderata, decomposta nelle relative componenti lineare e rotazionale, da inviare come segnali di riferimento all’ingresso del sistema di regolazione della velocità.


Il problema della navigazione

figura 2 - clicca per ingrandire

La regolazione elettronica di velocità mediante l’impiego di interfacce manuali proporzionali costituisce il paradigma di controllo alla base della piramide di funzionalità rappresentata in Figura 2 [4].
La piramide mette in evidenza una gerarchia, dal livello inferiore di controllo diretto (minimo di funzionalità conseguibile con il massimo sforzo fisico/ cognitivo dell’utente) al livello superiore, istanza di una situazione di totale autonomia del sistema di controllo nella gestione delle attività del sistema utentecarrozzina (massimo di funzionalità conseguibile con il minimo sforzo fisico/cognitivo dell’utente).
E’ facile rendersi conto che la progressione e la transizione da un livello all’altro della piramide di funzionalità siano condizionate al fatto che le risorse sensoriali e di intelligenza del sistema di controllo automatico divengano sempre più rilevanti.
Ovviamente si richiede anche che esista una certa flessibilità nell’effettuare le transizioni da un livello all’altro, per configurare un sistema perfettamente adattato alle specifiche necessità ed esigenze dell’utente, consentendo in ogni caso all’utente stesso di poter assumere il controllo diretto in qualunque istante e per qualunque evenienza.
La gestione di tali transizioni pone un ulteriore problema, a seconda che si ammetta o meno che sia il sistema di controllo automatico a decidere quando effettuare le transizioni, sulla base della sua conoscenza del mondo, della sua capacità di interpretare uno specifico contesto a partire dall’analisi dei dati sensoriali che è in grado di raccogliere, persino della sua capacità di interpretare la volontà dell’utente in modo automatico e trasparente per l’utente stesso.
Anche le attività all’interno di ciascun piano della piramide di funzionalità richiedono, in linea di principio, un livello di sofisticazione non banale del sistema di controllo automatico.
Così, quando si parla di sensor-guided control, ci si riferisce alla generazione di movimenti environment- guided, in grado, ad esempio, di facilitare il passaggio attraverso una porta (doorway passage), un corridoio (wall following), ovvero le operazioni di docking ad una stazione di lavoro.
L’analisi dei dati sensoriali – gli stessi disponibili per la generazione delle mappe di navigazione necessarie per l’obstacle avoidance – dovrebbe pertanto condurre, a seconda dei casi, all’identificazione dei battenti della porta da attraversare, dei muri del corridoio da percorrere, del tavolo a cui si desidera riferire l’operazione di docking.
In altri termini, tale analisi dovrebbe condurre a un tentativo di riconoscimento automatico del contesto.
L’alternativa è che sia l’utente stesso ad impegnare le proprie risorse cognitive in questo sforzo di pianificazione delle attività di navigazione da svolgere.
Lo stato dell’arte della ricerca nel settore ci consegna, ad oggi, prototipi di laboratorio in grado di integrare moduli di navigazione opzionali, che conferiscono alla carrozzina robotica comportamenti riflessi per l’obstacle avoidance, efficaci anche in ambienti ad elevato grado di non-strutturazione [5].
Sebbene alcuni tentativi siano stati esperiti anche al livello delle cosiddette complex manoeuvres [6], la tendenza attuale è di considerare con estrema prudenza l’ascesa ai livelli più elevati della piramide delle funzionalità.
D’altra parte, non è obiettivo della ricerca nel settore conquistare la totale autonomia di una carrozzina robotica, a causa delle complesse problematiche di sicurezza ed affidabilità coinvolte in scenari di questo tipo.
Inoltre, il paradigma man-in-the-loop, che prevede un ruolo centrale per l’operatore umano nella gestione delle operazioni di controllo, è irrinunciabile dal punto di vista dell’utente, anche al fine di evitare indesiderate dipendenze psicologiche.
Ciò che si desidera conseguire è un ausilio alla navigazione, atto a semplificare il controllo della carrozzina elettrica, come alternativa all’uso di interfacce di controllo che, allo stato attuale dello sviluppo tecnologico, non garantiscono accessibilità soddisfacente ad una percentuale rilevante di utenti con gravi limitazioni fisiche e/o cognitive [3].
Dalle considerazioni precedenti emerge l’importanza di sistemi uomo-macchina in cui sia l’operatore umano che la macchina hanno un qualche grado di controllo sull’uscita del sistema.
Si parla al riguardo di sistemi a controllo condiviso. La condivisione del controllo può assumere molte forme [7].
Si parla di trasformazione del compito quando il sistema esegue parte del compito insieme all’utente, semplificandone l’esecuzione. Ne costituisce un esempio l’insieme degli accorgimenti e delle tecniche di filtraggio dei segnali provenienti da un joystick, atti a nascondere al sistema di regolazione della velocità gli effetti delle vibrazioni e del tremore dell’arto dell’utente.
Si parla invece di partizione del compito, quando il sistema esegue parte del compito indipendentemente dall’utente, il quale può così concentrarsi su altre parti di esso (un esempio potrebbe essere rappresentato da un riflesso di obstacle avoidance che non intervenga nelle correzioni di direzione necessarie alla prevenzione della collisione imminente, ma che si limiti ad informare l’utente della criticità della situazione analizzata, determinando nel contempo la riduzione della velocità di avanzamento).
Infine si parla di allocazione del compito, quando il sistema di controllo automatico esegue il compito nella sua interezza, con l’utente nel ruolo di supervisore.
In base alle considerazioni precedenti, a noi interessano in particolare, nel contesto di questo lavoro, le modalità di trasformazione e partizione del compito.
L’obiettivo dichiarato è conseguire il miglioramento della mobilità di utenti che presentino limitazioni fisiche, sensoriali, cognitive, quindi a disagio nell’operare con carrozzine elettriche standard, mediante “trasferimento” di talune funzioni di guida ad un sistema di controllo automatico.
Per quanto detto, trasferimento non significa delega.
Anzi, assumiamo che l’utente detenga il controllo degli elementi decisionali, e che nessuna azione sia intrapresa senza che l’utente possa, in qualunque momento lo desideri, assumere il ruolo di master.
Inoltre, occorrerebbe, idealmente almeno, che la risposta del sistema risulti sempre facilmente comprensibile, a suggerire l’esistenza di un rapporto one-to-one tra stato del dispositivo di ingresso e stato del sistema, e che le alterazioni di risposta prodotte dal sistema di navigazione non risultino eccessive, non producano cioè deviazioni e rallentamenti troppo bruschi rispetto al cammino desiderato, ciò evidentemente al fine di aumentare sicurezza e comfort di guida: a tale fine, anche l’eventuale ritorno di informazione sensoriale direttamente sull’utente (mediante display visivi, uditivi, anche tattili) deve essere compatibile con le capacità cognitive di fruire efficacemente di essa.
Un approccio possibile per l’implementazione di un riflesso di obstacle avoidance è rappresentato in Fig.3.
Tralasciando l’anello di controllo più interno relativo alla regolazione elettronica di velocità di cui abbiamo già parlato, qui vediamo un anello esterno, governato essenzialmente dalla percezione visiva e vestibolare, ed un anello intermedio, che provvede, attraverso l’informazione fornita da una apposita routine di obstacle avoidance a “filtrare” l’informazione di velocità e di direzione impartita dall’utente (vedi capitolo “Memorie comportamentali a breve termine e riflessi motori”).
Questa struttura di controllo è implementabile in un modulo di tipo add-on che, qualora inserito,intercetti i segnali dal joystick e provveda ad una eventuale modifica degli stessi prima che essi raggiungano gli ingressi dei servo-amplificatori.
Il modulo software di navigazione potrebbe risiedere, in relazione anche alle capacità di calcolo richieste per il suo corretto funzionamento, in un computer di controllo, in grado di gestire da un lato l’acquisizione dei dati dai sensori di navigazione allocati a bordo (ad esempio telecamere, trasduttori ad ultrasuoni, all’infrarosso, bumper tattili, encoder ottici incrementali, non necessariamente in mutua esclusione…), dall’altro la loro elaborazione, secondo quanto previsto dal metodo di obstacle avoidance, e la combinazione dell’uscita della routine stessa con i comandi utente; lo stesso modulo di navigazione potrebbe trasmettere i dati sintetizzati alla scheda di controllo assi, per il pilotaggio degli attuatori e la generazione del movimento desiderato.
Al computer di controllo potrebbero infine essere richieste la sintesi e la presentazione della mappa di navigazione, o di altre informazioni utili per l’utente, su un apposito display.


Esempi applicativi

A titolo esemplificativo, discutiamo adesso brevemente le caratteristiche essenziali di due siste- mi che, in qualche misura, si configurano agli estremi della piramide delle funzionalità mostrata in Fig.2. In un sistema loop-steering [8], di cui esistono anche versioni commerciali, l’assunzione di base è che l’utente non sia in condizioni di pianificare un percorso, e che si possa, in ragione dell’impiego del sistema in condizioni ambientali particolarmente controllate, predeterminare le caratteristiche di un percorso (da una stanza all’altra in un appartamento, per esempio).
Generalmente sensori ottici o magnetici sono disposti a bordo del sistema, al fine di percepire una “traccia” disposta sul pavimento, ad esempio una striscia di materiale riflettente o di ferrite.
In linea di principio, il comportamento motorio del sistema è semplice: percepita la traccia, viene eseguito il compito di inseguimento del percorso. Interruzioni della traccia, presenza di ostacoli o di biforcazioni del percorso determinano l’arresto del sistema.
Il limite principale dei sistemi loop-steering è rappresentato dalla necessità di strutturare fortemente l’ambiente, e dal fatto di dover lavorare sempre in condizioni particolarmente controllate per mantenere l’integrità della traccia dal punto di vista sensoriale.
Il grado di condivisione del compito corrisponde al livello tipico di un sistema autonomo: l’utente può solamente predeterminare alcuni parametri del compito di navigazione, quali ad esempio la velocità di percorrenza.
L’evoluzione più elegante ed interessante dei sistemi loopsteering è rappresentato da sistemi le cui attività di navigazione consistano nella capacità di “seguire” un percorso arbitrariamente definito, grazie all’attività di sistemi sensoriali in grado di risolvere il problema della localizzazione in posizione/orientazione della carrozzina robotica anche in ambienti caratterizzati da modesti livelli di strutturazione[6]. figura 4 - Carrozzina robotica OMNI
Il sistema in Fig.4 è invece un esempio di carrozzina robotica, con elevate caratteristiche di manovrabilità, conseguite in virtù dell’uso delle cosiddette ruote omnidirezionali, così definite per il fatto di poter eseguire movimenti di traslazione nella direzione del loro asse. Il prototipo in figura è stato sviluppato nell’ambito del progetto TIDE TP1097 Office wheelchair with high manoeuvrability and navigational intelligence for people with severe handicap (OMNI) [4].
L’adozione di queste ruote, in combinazione con opportuni algoritmi per la gestione della cinematica del mezzo, consente di eseguire movimenti di rotazione sul posto e di traslazione in tutte le direzioni; il dispositivo di ingresso è un’interfaccia a comando manuale proporzionale (joystick).
La parte hardware del sistema di navigazione è costituita da un anello di trasduttori ultrasonici disposti lungo il perimetro del veicolo, per la rilevazione di ostacoli a distanze comprese tra 20 cm e 2 m, e di un anello di trasduttori all’infrarosso, per la rilevazione di ostacoli a distanze non superiori a 50 cm.
Semplici operazioni di strutturazione dell’ambiente, ad esempio l’apposizione di strisce di materiale riflettente su elementi, quali i battenti delle porte, possono estendere la portata dei trasduttori all’infrarosso fino a 1.5 m.
In virtù di tali strutturazioni e grazie all’adozione di tecniche algoritmiche di integrazione sensoriale, è possibile sintetizzare mappe di navigazione a risoluzione spaziale maggiore di quelle conseguibili con il solo uso dei trasduttori ultrasonici, usati nella quasi totalità delle carrozzine robotiche sin qui sviluppate.
Il sistema di controllo adotta un’architettura a controllo condiviso, in cui la selezione del grado di partizione del compito tra operatore umano e macchina è gestita dall’utente.
Diversi sono i modi operativi implementati: riflesso di stop ad elevata priorità, per ostacoli rilevati a distanze critiche, inferiori a 20 cm; riflessi di obstacle avoidance, con riduzione di velocità, con e senza correzione direzionale; specifiche routine sono inoltre disponibili, per la gestione delle operazioni di doorway passage, e di wall following.
Le operazioni di doorway passage risultano assai semplificate per effetto della politica di integrazione sensoriale precedentemente menzionata, in particolare l’identificazione dell’apertura della porta, altrimenti resa assai problematica dalla modesta risoluzione spaziale offerta dai trasduttori ultrasonici.
Il riflesso di obstacle avoidance aiuta la guida della carrozzina robotica attraverso il vano-porta, contribuendo alla riduzione del numero di collisioni con i battenti e dell’effort di controllo da parte dell’utente.
Le operazioni di wall following consentono l’attraversamento di un corridoio senza necessità di aggiustamenti continui da parte dell’utente per mantenere l’allineamento con le pareti; in questo modo operativo, l’informazione proveniente dai trasduttori laterali è utilizzata per il mantenimento di una distanza fissa dal muro, l’informazione proveniente dai trasduttori frontali è utilizzata invece per gestire la riduzione di velocità e lo stop in avvicinamento ad un ostacolo.
Le evidenze sperimentali raccolte durante la fase di test del sistema OMNI con utenti disabili hanno sostanzialmente confermato quanto riportato nella letteratura specializzata, al riguardo di analoghe sperimentazioni condotte su altri prototipi di carrozzine robotiche.
I test di valutazione descritti in [7], [9], basati peraltro sul reclutamento di soggetti normali, sono probabilmente i più completi, tra quelli attualmente reperibili nella letteratura specializzata.
Essi hanno riguardato la misura di alcuni parametri, quali il numero totale di collisioni, la percentuale di compiti di navigazione completati con successo, il tempo e la velocità media di percorrenza, la cosiddetta clearance, vale a dire la distanza media dagli ostacoli.
In generale, i sistemi di navigazione tendono, a parità di numero di collisioni, ad evidenziare un tempo di percorrenza maggiore, una clearance maggiore, una velocità inferiore, anche se spesso la differenza rispetto al caso in cui il sistema di navigazione non venga utilizzato è al limite della significatività statistica.
Ciò non deve sorprendere, infatti, quando al sistema di controllo, o a componenti di esso, vengono delegati compiti, anche parziali, di controllo, la reazione del sistema di navigazione deve essere sempre improntata ad una certa “prudenza”, in relazione alle esigenze di sicurezza da soddisfare; ciò si riflette, evidentemente, nella tendenza, ad esempio, a ridurre la velocità e ad aumentare la clearance.
Nel caso di utenti con gravi limitazioni funzionali, tali atteggiamenti “prudenti” del sistema di navigazione sono però compensati ampiamente dal fatto di avere la possibilità, altrimenti negata, di completare con successo i compiti di navigazione desiderati, aumentando nel contempo la sicurezza e il comfort di guida.


Considerazioni conclusive

In questo articolo sono state illustrate e discusse alcune tendenze della ricerca nel settore della mobilità funzionale, miranti all’utilizzazione di metodologie e tecnologie di ispirazione robotica per l’integrazione di sistemi di navigazione in carrozzine elettriche standard, di ausilio all’utente nel rendere le attività di comando/controllo più sicure, confortevoli ed efficienti.
Poiché si tende a implementare i sistemi di navigazione come moduli di tipo add-on, utilizzando componenti standard di costo relativamente contenuto, appare concreta la prospettiva di medio termine che sia possibile produrre una nuova generazione di ausili intelligenti per la mobilità, in grado di coniugare costi contenuti e funzionalità più sofisticate rispetto agli ausili per la mobilità di attuale generazione.
Sebbene la transizione al mercato dei prototipi risultanti dalle attività di ricerca e sviluppo attualmente in essere possa presumersi lenta, si ritiene importante sottolineare che le tendenze descritte sono destinate ad andare incontro alle esigenze di tutti coloro che, per la gravità delle loro limitazioni funzionali, trovano difficile, se non impossibile, utilizzare i sistemi attualmente disponibili.


Riflessi motori e memorie comportamentali a breve termine
figura 1A - clicca per ingrandire
Descriviamo in breve l’approccio cosiddetto comportamentale all’implementazione di un riflesso di obstacle avoidance, vedi Fig.1A, a prescindere dai dettagli relativi allo specifico metodo utilizzato nella costruzione della mappa di navigazione. Fondamentale in tale approccio è la definizione di comportamento [10]: un comportamento può essere definito in termini di una coppia stimolo-risposta, in cui lo stimolo percettivo riflette l’attività dei sensori di navigazione, atta a fornire l’informazione necessaria per la selezione di una particolare risposta motoria.
La sintesi del comportamento richiede pertanto la definizione di un legame funzionale tra domino dello stimolo e dominio degli atti motori.
Solitamente, un atto motorio elementare è suddiviso in due componenti: intensità (ad esempio, la velocità di avanzamento verso l’ostacolo, che può dipendere dalla distanza percepita dall’ostacolo stesso) e orientazione (repulsione da uno stimolo nocivo, attrazione verso uno stimolo desiderato), a sua volta dipendente dall’intensità dello stimolo percettivo, dalle proprietà dinamiche del robot e dai vincoli imposti dalle sue proprietà cinematiche sui movimenti che è possibile generare.
L’atto motorio elementare può essere scelto da un set predeterminato di atti possibili, ad esempio stop (IF distanza effettiva è minore della distanza minima tollerabile THEN stop), ovvero l’atto motorio elementare può avere caratteristiche proporzionali all’intensità dello stimolo percettivo.
Un approccio tipico in tal caso è rappresentato dalla costruzione di una mappa di navigazione dove la presenza di ostacoli si traduce, in termini vettoriali, in forze di repulsione, di intensità e direzione opportune, applicate al robot.
Gli atti motori elementari in risposta alle percezioni sensoriali del robot sono calcolate alla massima velocità consentita dai sistemi di acquisizione sensoriale, aspetto questo di particolare importanza quando l’ambiente risulti “dinamico” (ad esempio, nel caso di ostacoli in movimento) e i sensori presentino limitazioni in precisione e risoluzione.
L’accuratezza di una mappa di navigazione dipende in modo cruciale dalla possibilità di mantenere un’elevata correlazione della rappresentazione con il mondo esterno, in relazione al grado di persistenza temporale e di consistenza in senso statistico dell’informazione contenuta nella mappa stessa: l’attività sensoriale è infatti sempre caratterizzata da un certo grado di incertezza; inoltre la conoscenza acquisita può divenire rapidamente obsoleta. Infine, la correlazione della rappresentazione con il mondo esterno è connessa alla possibilità di mantenere un’accurata conoscenza della posizione del robot in movimento all’interno del mondo (problema della localizzazione).
La memoria comportamentale è così un meccanismo buffer di esperienze sensoriali, organizzate in modo da mantenere consistenza spaziale e temporale, a carattere eminentemente transitorio.
Generalmente, tali memorie utilizzano rappresentazioni discrete dello spazio circostante il robot; all’interno di ciascuna cella di tali rappresentazioni viene integrata in senso statistico l’informazione spaziale raccolta dai sensori di navigazione – ad esempio trasduttori ultrasonici, o, come nel caso del sistema OMNI, all’infrarosso – secondo un processo che prevede, in successione, rilievo sensoriale – aggiornamento della mappa di navigazione in relazione allo spostamento del robot tra rilievi sensoriali successivi – fading temporale dell’informazione relativa alla probabilità di occupazione della cella.


Il filtro di navigazione, infine, obbedisce ad opportune politiche di coordinazione dei comportamenti motori, il riflesso di obstacle avoidance da un lato e l’intenzione di movimento espressa dall’utente dall’altro.
Il modus operandi del filtro di navigazione è basato sull’assunto che il metodo di obstacle avoidance debba intervenire nella modifica dell’atto motorio elementare proposto dall’utente nel senso di assecondarne intensità e direzione quanto più possibile, in relazione alla disposizione percepita degli ostacoli nella direzione di avanzamento del veicolo.
Ciò corrisponde al tentativo di “fondere” i risultati dell’analisi percettiva delle caratteristiche ambientali, compiuta sia dall’utente, sia dal sistema di navigazione, al fine di identificare le regioni libere da ostacoli nelle quali è possibile indirizzare il movimento del veicolo.
In tal modo, è di fatto l’utente a controllare gli elementi decisionali, mentre il contributo del sistema di controllo automatico avviene nel senso di correggere le decisioni dell’utente, senza con ciò introdurre alterazioni nella risposta motoria complessiva che risultino non intuitive e difficili da apprendere da parte dell’utente.
Le considerazioni precedenti riguardano in particolare l’orientazione della risposta motoria; correzioni più energiche possono riguardare invece l’intensità delle risposta motoria complessiva, allorché, ad esempio, si tenti l’approccio a ostacoli vicini con velocità di avanzamento eccessive (riflesso di stop).

Bibliografia

[1] Cooper R.A.:“Intelligent control of power wheelchairs”, IEEE Engineering in Medicine and Biology Magazine, vol. 14, n. 4, pp. 423-431, 1995.

[2] Brown K.E., Iñigo R.M., Johnson B.W.:“Design, implementation, and testing of an adaptable optimal controller for an electric wheelchair”, IEEE Trans. on Industry Applications, vol. 26, no. 6, pp. 1144-1157, 1990.

[3] Fehr L., Langbein E., Skaar S.B.: “Adequacy of power wheelchair control interfaces for persons with severe disabilities: a clinical survey”, J. Rehabilitation Research and Development, vol. 37, no. 3, pp. 353-360, 2000.

[4] Borgolte U., Hoelper R., Hoyer H., Heck H., Humann W., Nedza J., Craig I., Valleggi R., Sabatini A.M.: “Intelligent control of a semi-autonomous omnidirectional wheelchair”. Proceedings of the 3rd International Symposium on Intelligent Robotic Systems, pp.113-120, Pisa, Italy, July 10-14, 1996.

[5] Mittal V.O.,Yanco H.A., Aronis J.M., Simpson R.C. (Eds.), “Assistive Technology and Artificial Intelligence – Applications in Robotics, User Interfaces and Natural Language Processing”, Lecture Notes in Computer Science, vol. 1458, Springer-Verlag, 1998.

[6] Yoder J.D., Baumgartner E.T., Skaar S.B.: “Initial results in the development of a guidance system for a powered wheelchair”, IEEE Trans. Rehabilitation Engineering, vol. 4, no. 3, pp. 143-151, 1996.

[7] Simpson R.C., Levine S.P.: “Automatic adaptation in the NavChair assistive wheelchair navigation system”, IEEE Trans. Rehabilitation Engineering, vol. 7, no. 4, pp. 452-463, 1999.

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[9] Levine S.P., Bell D.A., Jaros L.A., Simpson R.C., Koren Y., Borenstein J.: “The NavChair assistive wheelchair navigation system”, IEEE Trans. Rehabilitation Engineering, vol. 7, no. 4, pp. 443-451, 1999.

[10] Arkin R.C.: Behavior-based robotics, The MIT Press, Cambridge MA, U.S.A., 1998.

 
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