Francesca non ha
un controllo volontario del
corpo se non parzialmente all’arto
inferiore destro e del capo.
Francesca è nata così, una paralisi
cerebrale infantile con forti
distonie.
Ogni persona, quotidianamente
compie delle scelte, si muove,
comunica, usa le cose che servono
per soddisfare i bisogni della
vita quotidiana, in una parola
vive. Marco e Francesca, sono
esempi di come una persona
disabile può compiere normali
attività e relazionarsi se supportato
da una adeguato intervento
che comprende una corretta
riabilitazione, un corretto intervento
della rete sociofamiliare e
una corretta individuazione di
ausili.
Marco, quando apre gli occhi,
trova la luce accesa perché l’orologio
funge anche da timer per
l’impianto elettrico delle luci
della sua stanza. Quando soffia
nel sensore, egli comanda al letto
elettrico di sollevargli la schiena
per metterlo
in posizione
seduta. Lo stesso
sensore attiva anche l’accensione
e lo spegnimento della TV, che
guarda in attesa dell’arrivo della
moglie che lo vestirà dopo aver
preparato la colazione ai loro
figli.
Francesca riesce a tenere gli
occhi fissi sul video del proprio
Personal Computer, gli involontari
movimenti del capo non le
permetterebbero di riuscirci
perchè sono bloccati da uno
specifico poggiatesta.
Con il movimento della gamba,
unica azione volontaria ripetibile,
Francesca tocca un sensore
posto vicino al suo piede che
aziona sullo schermo un programma
a scansione che le permette
di scrivere, disegnare, ed
eseguire il suo compito di matematica.
Sia Marco che Francesca,
quel giorno faranno molte altre
cose: lui andrà al lavoro, lei giocherà
con gli amici. Immersi fra
gli altri e aiutati dalla tecnologia.
Cercare di migliorare l’ambiente
che lo circonda adattandolo alle
proprie esigenze, soddisfacendo i
propri bisogni, diminuendo la
fatica, è la missione del genere
umano, una missione mai
raggiunta pienamente, un obiettivo
in continuo superamento.
L’ambiente è stato snaturato, se
vogliamo, alterato, perché così
come era, appariva inospitale e
inadatto, non è quindi solo la
persona disabile a incontrare
ostacoli, ma il genere umano
nella sua totalità. Se volessimo
sintetizzare questo concetto,
estremizzando come sempre
accade in tali circostanze, potremo
affermare che non è il disabile
a non essere “adatto” a
questo ambiente, è l’ambiente a
non essere stato modificato a
sufficienza per accogliere tutti.
Paradossalmente la prospettiva
che la persona con disabilità si
trova davanti non è molto diversa
da quella della persona senza
disabilità, ciascuno infatti una
volta sentito un bisogno cerca
uno strumento, un mezzo, una
soluzione per soddisfarlo e per
fare ciò ha adottato la soluzione
più raggiungibile, economica e
funzionale elaborando feed-back
se non può direttamente vedere
o controllare l’azione dello strumento,
del mezzo, della soluzione.
I continui progressi tecnologici
possono e devono essere utilizzabili
per rendere meno disabile
una persona che, affetta da qualche
malattia, ha perso le sue normali
abilità.
Per far questo si adottano due
strategie fondamentali:
- migliorare il recupero delle funzioni
fisiologiche attraverso trattamento
riabilitativo per ottenere
il maggior recupero possibile;
- compensare le funzioni perse
attraverso altre parti del corpo
funzionanti e attraverso l’utilizzo
di ausili in generale e gli ausili
tecnologici per i casi particolarmente
gravi.
Le nuove tecnologie e la
riabilitazione
Presso l’Ospedale di Riabilitazione
di Trevi la ricerca sull’utilizzo
delle nuove tecnologie in
campo riabilitativo è iniziata oltre
10 anni fa. All’inizio degli anni
novanta sono stati studiati gli
RGO (Reciprocator Gait
Orthosis), ausili tecnologici che
permettono al paziente paraplegico
(cioè senza più l’utilizzo
degli arti inferiori) di stare in
piedi e camminare come un
robot. Questo primo studio se
da un lato costituiva un elemento
di entusiasmo nel ridare la
funzione del cammino a coloro
che l’avevano persa, dall’altro ci
ha permesso di rivedere in
modo critico l’approccio al problema
(Massucci, Brunetti et al.
1996; Franceschini, Baratta et al.
1997).
In particolare l’utilizzo
effettivo dell’ausilio era relativo
sia per le difficoltà di “vestirlo”
che per l’autonomia negli spostamenti
che effettivamente forniva.
La carrozzina permetteva spostamenti
veloci e garantiva maggiore
autonomia, per cui questo
ausilio particolarmente sofisticato
veniva utilizzato solo per stare
in piedi e fare qualche passo da
parte di persone selezionate,
mentre la maggior parte l’abbandonava.
L’attenzione verso le nuove tecnologie
è continuato con lo sviluppo
di un guanto per il controllo
di ambienti virtuali e per
interfacciare la mano con il computer.
Tutto questo per il miglioramento
della riabilitazione dell’arto
superiore sfruttando le
potenzialità del computer. Lo sviluppo
di questo guanto è nato
dalla collaborazione dell’Ospedale
di Riabilitazione di Trevi e
l’Istituto PERCRO della Scuola
Superiore Sant’Anna di Pisa
(http://www-percro.sssup.it).
In una prima fase è stata valutata
l’affidabilità del guanto attra-
verso una serie di esperimenti.
Evidenziate le peculiarità e i limiti,
in collaborazione con
l’Università di Perugia è stato sviluppato
un sistema per cui il
computer valuta la correttezza
del movimento della mano e dà
informazioni per la correzione
(bio-feedback). In questo modo
il paziente può esercitarsi, anche
senza l’aiuto del terapista, per
migliorare la funzionalità della
mano. Questo sistema è particolarmente
usato per malattie del
sistema nervoso centrale come
ictus, traumi cranici e sclerosi
multipla.
Il Centro Orientamento
Ausili Tecnologici
L’utilizzo delle nuove tecnologie,
ancorché affascinante, rischia di
rimanere fine a se stesso se non
indirizzato verso le reali esigenze
della persona disabile. La maggior
parte dei fallimenti dell’applicazione
delle nuove tecnologie
nasce proprio dalla mancanza di
un’accurata valutazione e applicazione
secondo specifiche indicazioni
per la riabilitazione o per
l’ausilio.
Da questa esigenza è nato il
Centro Orientamento Ausili
Tecnologici (COAT) che ha lo
scopo di valutare e orientare
verso la scelta di ausili tecnologici
sia durante il programma riabilitativo
per ottimizzare il recupero
funzionale, che per fornire
ausili per il miglioramento dell’autonomia.
Il COAT è costituito da un gruppo
di operatori con diverse
competenze che nel corso degli
anni hanno trovato un linguaggio
comune e sta cercando di trovare
soluzioni possibili ai problemi
delle persone disabili.
Il gruppo interdisciplinare è
costituito da una o più figure
mediche, una o più fisioterapisti,
una psicologa, una logopedista,
un ingegnere elettronico e uno
informatico.
La parte “visibile” dell’operato
del COAT si esplica nell’attività
di consulenza alle persone
disabili, ai loro familiari, agli operatori
che si occupano a vario
titolo della persona disabile. Ad
un primo contatto telefonico
segue un appuntamento per il
quale è richiesta la presenza di
quanti vivono, operano e lavorano
con la persona con lo specifico
problema: familiari, operatori
sanitari, sociali, della scuola e/o
volontari.
Alla prima consulenza si raccoglie
un’accurata anamnesi, si valuta
il paziente e si acquisiscono
informazioni da parte del paziente
e di coloro che vivono con lui.
Successivamente comincia il
lavoro “invisibile”, quello cioè
della ricerca della soluzione più
idonea, funzionale, praticabile ed
economica. Negli appuntamenti
che seguono si mostrano le soluzioni
pensate e si fanno provare.
Tutto sembrerebbe molto semplice,
quasi come recarsi in una
sartoria di lusso dove una squadra
di sarti ti prende le misure, fa
domande sul perché e per come
e per quali usi servirà il vestito e
alla fine te lo fornisce bello, pronto
e su misura. La realtà è un
pochino più complessa. Anche la
sartoria, per quanto rinomata e
“griffata”, se vuole che l’abito sia
“quello giusto” ha bisogno di fare
prove, aggiustare, scucire, ricucire
e rimodellare. Ecco, esattamente
come il COAT prima di prescrivere
l’ausilio. Perché un concetto
deve essere alla base del lavoro
e condiviso da tutti, utente finale,
figure che ruotano intorno e
operatori del COAT: l’ausilio
viene prescritto laddove soddisfi
un bisogno reale, l’utente sia
motivato ad usarlo, sia una scelta
condivisa e inserita nel contesto.
Ma perché una struttura così
specifica?
Non possiamo dare risposte da
“catalogo”, quelle l’utente le ha
spesso già sperimentate in
maniera deludente; rimanendo
all’esempio del vestito è per lo
stesso motivo per cui poco successo
rispetto al mercato totale
hanno gli acquisti per corrispondenza.
Chi di noi, avendo la possibilità
di provarlo acquisterebbe
un abito a scatola chiusa vedendolo
solo su catalogo o in televisione?
Pochi, e quanti di noi
avendone la possibilità si farebbero
tagliare un abito su misura
di colore, stoffa e foggia desiderata?
La risposta è pleonastica, la
maggior parte di noi invece si
reca in un negozio, si prova l’abito
o gli abiti che sono più di suo
gusto e in base all’uso, alla taglia,
al colore, e al prezzo decide se
acquistarlo o meno.
Ma il lavoro del COAT non finisce
con la sola "consegna" dell'ausilio:
siamo all'inizio di un percorso
che porterà al perfezionamento
e all'adozione dell'ausilio
per gli scopi prefissati. Una volta
individuate le figure chiave intorno
alla persona (familiari, assistenza
domiciliare, insegnanti…)
si mettono in condizione di
poterla assistere ed aiutare nell'utilizzo
del sistema di ausilio:
l'addestramento all'utilizzo dell'ausilio
vale quasi come l'ausilio
stesso. Questo processo può
durare anche diversi mesi e
richiedere una serie di contatti e
"aggiustamenti" dell'ausilio (posizione
dei sensori, forza di attivazione,
feedback…) al fine di perfezionare
e personalizzarne l'uti-
lizzo. Per questo è fondamentale
l'analisi del contesto sociofamiliare
che sarà di supporto a questo
lavoro di addestramento e
soprattutto la qualità della motivazione
espressa dalla persona
stessa protagonista dell'adozione
dell'ausilio. Il COAT, la tecnologia
e l'assistenza possono essere un
supporto alla volontà della persona:
il signor Marco e Francesca
non avrebbero mai raggiunto
una maggiore autonomia senza
una motivazione importante e
duratura nel tempo: compito del
gruppo di lavoro è anche quello
di monitorare gli aspetti psicologici
legati all'adozione del sistema
di ausilio e cercare di proporre
tappe intermedie, elementi di
gratificazione/motivazione, correzioni
al fine di facilitare il processo.
Teleassistenza e
teleriabilitazione
Si parla quindi di "processi" sia
nella riabilitazione che nell'adozione
di un ausilio: piuttosto che
ad eventi puntuali come la consulenza
propriamente detta, ci si
riferisce a percorsi che durano
nel tempo e si estendono nello
spazio coinvolgendo una serie di
soggetti che fanno parte del
contesto di vita della persona
disabile. In questo senso la possibilità
di una continua assistenza e
collegamento con il centro di
competenza, sia esso l'Ospedale
di Riabilitazione oppure il COAT,
risulta essenziale. Tale esigenza
deve poter essere coniugata con
la gestione delle risorse interne
ed i costi di servizio. A questo
proposito è in atto presso
l'Ospedale di Trevi il progetto HCAD
- Home-Care Activity
Desk-co-finanziato dalla Comunità
Europea (www.hcad.net): lo
scopo è quello di mettere a
punto e sperimentare nuove
modalità di riabilitazione "a
distanza", ma pur sempre sotto
controllo e monitoraggio del
gruppo di lavoro dell'ospedale.
Tale sistema consente una integrazione
degli strumenti tipici
della terapia occupazionale con
un sistema elettronico in grado
di registrarne e monitorarne l'utilizzo
da parte della paziente. Un
sistema di oggetti sensorizzati
consente di conoscere le "perfomance"
tipiche nell'effettuazione
dello specifico esercizio, mentre
una telecamera permette di
avere una visione della postura e
del tipo di movimento esercitato
durante l'esercizio. Il sistema è in
grado quindi di connettersi con il
Centro di Riabilitazione per l'aggiornamento
dei dati e soprattutto
per la realizzazione di un
collegamento in video-conferenza
tra il medico/terapista, il
paziente ed suoi familiari, al fine
di mettere a punto le migliori
strategie per il recupero delle
funzioni, per un supporto psicologico,
per consigli ed accorgimenti
utili al miglioramento dell'autonomia
e della qualità della
vita quotidiana nel proprio
ambiente domestico.
L'adozione di tale tecnologia
consentirà un'anticipata dimissione
di pazienti senza comprometterne
il percorso riabilitativo e
soprattutto con un maggior
grado di supporto nei confronti
dei familiari e dell'assistenza
domiciliare in genere. Il paziente
non viene quindi più "perso di
vista" dall'equipe, ma rimane ad
essa collegato e da essa assistito
attraverso una soluzione efficiente
sul piano dei costi e delle
risorse umane impiegate.
La reale sfida di questo progetto
è quindi non tanto sul piano dell'appropriatezza
tecnologica (le
singole tecnologie sono note ed
in parte già in uso), quanto la sua
rispondenza rispetto alle reali
necessità di assistenza della persona
tenendo presente le sue
necessità sia sul piano riabilitativo
che su quello umano.
|