Alcuni grandi studi clinici
hanno dimostrato che un intervento sullo stile di vita,
la riduzione di almeno il 5% del peso corporeo, la riduzione
del consumo di grassi, l’aumento del consumo di vegetali,
un esercizio fisico moderato, è in grado di ridurre
di oltre il 50% l’incidenza di nuovi casi di diabete
di tipo 2. Dati sui quale riflettere.
Cos’è
il diabete mellito
Il termine “diabete mellito” descrive un disordine metabolico
ad eziologia multipla caratterizzato da iperglicemia
cronica con alterazione del metabolismo dei carboidrati,
provocato da difetti della secrezione insulinica o dell’azione
insulinica o di entrambe. Le conseguenze a lungo termine
della malattia interessano molti organi e conducono
all’insorgenza di complicanze tipiche come la retinopatia,
la nefropatia e la neuropatia. Le persone con diabete
presentano inoltre, rispetto alla popolazione generale,
un rischio più elevato per le malattie cardio e cerebrovascolari.
La classificazione
Nel 1997 l’American Diabetes Association e l’Organizzazione
Mondiale della Sanità hanno assegnato ad esperti internazionali
il compito di rivedere i criteri classificativi del
diabete mellito in vigore dal 1979. Senza addentrarci
nella complessità della nuova classificazione, possiamo
individuare 3 grossi “tipi” di diabete: il diabete di
tipo 1, il diabete tipo 2, il diabete gestazionale.
Il diabete mellito di tipo 1 è dovuto
alla distruzione delle betacellule pancreatiche che
producono l’insulina e di solito conduce alla deficienza
insulinica assoluta. Questa forma è quella che più frequentemente
insorge nei bambini e negli adolescenti. Il diabete
di tipo 1 è una malattia cronica autoimmune che si sviluppa
gradualmente nel corso di mesi/anni. Questa malattia
riconosce una predisposizione genetica legata al sistema
immunitario. Non si conosce il modo attraverso il quale
agiscono questi geni “diabetogeni”. Su questa base genetica
si inserisce uno stimolo scatenante ambientale che innesca
il meccanismo autoimmunitario che porta alla distruzione
delle betacellule pancreatiche. Poco si conosce anche
riguardo a questi fattori predisponenti. Dal punto di
vista clinico questo tipo di diabete porta alla completa
distruzione della betacellula ed è indispensabile iniziare
il trattamento insulinico per la sopravvivenza.
Il diabete mellito di tipo 2 è la forma
più diffusa di diabete nell’adulto ed è una classe eterogenea
nella quale sono presenti differenti varietà cliniche
con caratteristiche che vanno da forme con prevalente
difetto della secrezione insulinica a forme con prevalente
insulinoresistenza. E’ il più diffuso tipo di diabete
e la sua prevalenza aumenta con l’età, con la coesistenza
dell’obesità e della sedentarietà. Il diabete mellito
di tipo 2 può decorrere per un lungo periodo in maniera
asintomatica e non necessita di trattamento insulinico
per la sopravvivenza. La componente genetica è più forte
in questo tipo di diabete; infatti la concordanza nel
diabete tipo 2 è di circa il 100% nei gemelli identici
(mentre è solo del 50% per gemelli identici nel tipo
1). La genetica di questo tipo di diabete non è ancora
chiarita ma sono stati identificati numerosi geni responsabili.
Dal 25 al 50% dei diabetici di tipo 2 riferisce un familiare
con diabete. Nella patogenesi di questa malattia, molto
forte è la componente ambientale. L’obesità, la vita
sedentaria agiscono come fattori scatenanti.
Il diabete mellito gestazionale (DMG)
è una condizione di alterata tolleranza glucidica che
insorge o viene diagnosticata per la prima volta in
gravidanza. Si devono tener distinti dal DMG i casi
di diabete già diagnosticati prima della gravidanza.
Il DMG interessa circa il 4% di tutte le gravidanze
e comporta un rischio per il bambino e per la madre.
Devo dire che nei miei studi curricolari mi sono avvicinato
anche all'attività Fisioterapica, dato che nell'attività
neuropsichiatrica infantile si affrontano anche i problemi
delle Paralisi Cerebrali Infantili e di altre difficoltà
motorie.
La diagnosi
Alla nuova classificazione del diabete mellito si è
unita la modifica dei criteri diagnostici, considerata
opportuna alla luce delle numerose indagini epidemiologiche
condotte nell’ultimo decennio, che hanno precisato i
livelli glicemici maggiormente predittivi per l’insorgenza
di complicanze croniche. È possibile diagnosticare la
malattia attraverso tre differenti modalità:
1.sintomi classici di diabete (sete,
poliuria, dimagrimento, alterazioni della vista) con
il riscontro di una glicemia “casuale” uguale o superiore
a 200 mg/dl (a qualsiasi ora, indipendentemente dal
pasto);
2.glicemia a digiuno uguale o superiore a 126
mg/dl (digiuno di almeno 8 ore);
3.glicemia 2 ore dopo carico orale di glucosio
(75 grammi) uguale o maggiore a 200 mg/dl; qualsiasi
valore alterato di glicemia deve essere confermato in
un altro giorno. Come abbiamo visto la diagnosi di diabete
non dovrebbe mai essere posta sulla base di un singolo
campione di glicemia anormale: è essenziale il riscontro
di un secondo valore anomalo, sia a digiuno che dopo
un carico di glucosio. Differente è il caso della diagnosi
del diabete nei bambini, e in genere, la diagnosi del
diabete di tipo 1. Questo tipo di diabete si manifesta
con sintomi gravi, glicemia elevata, glicosuria e chetosi
o chetoacidosi. La terapia insulinica deve essere subito
iniziata.
Per la diagnosi di DMG è indispensabile effettuare una
curva da carico orale di 100 grammi di glucosio tra
la 24esima e la 28esima settimana gestazionale. Questo
test può essere anticipato da un pre-screening che prevede
l’utilizzo di un carico di 50 grammi di glucosio. Fattori
predisponenti per DMG (età avanzata, familiarità per
diabete, obesità, storia di un precedente DMG, figli
macrosomici, precedenti aborti spontanei) prevedono
un anticipo dello screening già al primo trimestre.
Quando
fare i controlli?
Per ogni persona che sa di essere diabetica ce n’è quasi
un’altra che non sa di esserlo. A volte la diagnosi
viene posta solo dopo che sia stata identificata una
complicanza cronica. Dalle nuove indicazioni sulla diagnosi
di diabete mellito scaturisce anche un nuovo segnale
per quanto riguarda la diagnosi precoce del diabete
mellito: il controllo della glicemia (o se “dubbia”
la curva da carico) andrebbe effettuato ogni 3 anni
in tutti i soggetti con età superiore ai 45 anni, senza
fattori di rischio specifici; in presenza di fattori
di rischio specifici invece (familiarità, obesità, ipertensione
arteriosa, dislipidemia) il controllo andrebbe effettuato
almeno 1 volta l’anno.
Il diabete e le complicanze croniche
Le complicanze croniche del diabete sono il risultato
di due tipi di lesioni fondamentali: microangiopatiche
(ai piccoli vasi) e macroangiopatiche (ai grossi vasi).
Benché una componente genetica abbia una parte di responsabilità
nell’insorgenza delle complicanze, moltissimi studi
hanno dimostrato che il fattore causale essenziale è
l’iperglicemia, trovando così conferma che un buon controllo
del diabete riduce l’incidenza delle complicanze croniche.
Le complicanze microangiopatiche riguardano gli occhi
(retinopatia), i reni (nefropatia), i nervi (neuropatia).
La retinopatia diabetica è la principale
causa di cecità in soggetti in età lavorativa, sia in
Italia che in altri paesi industrializzati. I sintomi
correlati a questa complicanza spesso sono minimi, compaiono
tardivamente, a lesioni avanzate. La paura di perdere
la vista è la paura principale delle persone con diabete.
Grande importanza riveste la diagnosi precoce della
malattia, che può essere adeguatamente trattata con
la fotocoagulazione retinica: è quindi fondamentale
estendere lo screening della retinopatia diabetica attraverso
l’esame del fondo dell’occhio a tutti i soggetti a rischio.
Nei paesi in cui questo screening è stato applicato
a livello di tutta la popolazione, come in Islanda e
in Svezia, è stata riscontrata una netta riduzione dell’incidenza
di nuovi casi di cecità secondaria a diabete.
La nefropatia diabetica, anch’essa
silente per molti anni, ha un impatto economico e sociale
importantissimo. Il diabete è ormai la prima causa di
insufficienza renale con necessità di dialisi o di trapianto
renale negli USA, Europa, Giappone. Il numero di diabetici
che entrano in dialisi è in continuo aumento anche in
Italia, dove si calcola che attualmente oltre il 10%
della popolazione dializzata sia affetta da diabete.
Questi dati sono estremamente allarmanti, soprattutto
alla luce delle evidenze scientifiche che dimostrano
come un buon controllo del diabete e uno stretto controllo
della pressione arteriosa possano ridurre in modo consistente
il rischio di questa complicanza.
La neuropatia diabetica può provocare
dolore e parestesie e predispone allo sviluppo di ulcere
del piede, coinvolge numerosi organi e apparati (vescica,
tratto gastrointestinale, apparato cardiovascolare,
funzione sessuale maschile) alterandone la regolazione
e la funzionalità.
Complicanze cardiovascolari
Queste complicanze rappresentano la causa più
importante di morbilità e mortalità associate al diabete.
Dal 60 all’80% delle persone affette da diabete muoiono
a causa di malattie cardiovascolari, che costituiscono
anche la causa più frequente di ricovero in ospedale
e quindi di spesa sanitaria. Le complicanze cardiovascolari
sono da 2 a 4 volte più frequenti nelle persone con
diabete rispetto a quelle senza diabete di pari età
e sesso. Per questo motivo la lotta alle malattie cardiovascolari
è stata identificata come l’elemento più importante
per ridurre l’impatto sociale, clinico ed economico
del diabete.
La normalizzazione delle glicemie, pur essendo un fattore
importante, da solo non è sufficiente a ridurre il rischio
cardiovascolare: diventa allora indispensabile combattere
i più importanti fattori di rischio, come l’ipertensione,
l’ipercolesterolemia, il fumo di sigaretta, la vita
sedentaria, l’obesità. Un dato importante su cui riflettere,
se consideriamo che meno del 20% dei diabetici ha valori
pressori ben controllati, è che la percentuale di fumatori
diabetici non differisce da quella della popolazione
generale.
Complicanze agli arti inferiori
Queste complicanze sono fortemente invalidanti non solo
per gli elevati costi sociali, ma anche per il grande
impatto sull’aspettativa e sulla qualità di vita. La
cancrena e l’ulcera rappresentano le manifestazioni
più gravi e sono le dirette responsabili delle amputazioni.
Si calcola che il 50% dei soggetti sottoposti ad amputazione
non traumatica sia affetto da diabete. La presenza di
complicanze agli arti inferiori si associa inoltre a
una mortalità più elevata. Le devastanti conseguenze
delle complicanze agli arti inferiori possono essere
prevenute nella maggior parte dei casi attraverso un’adeguata
educazione ai pazienti.
Un contributo importante alla riduzione delle amputazioni
può derivare dalla diffusione degli ambulatori specializzati
nella cura del piede. E’ documentato come il rischio
di ulcere sia 3 volte più elevato nei soggetti che non
abbiano ricevuto un’adeguata educazione alla cura del
piede.
Il trattamento non farmacologico del diabete
La dieta è stata la prima terapia del diabete mellito;
le prime raccomandazioni dietetiche risalgono ai tempi
dell’antico Egitto, ancora oggi rimane il primo e spesso
il più importante provvedimento per la cura del diabetico
di tipo 2. Circa il 90% dei diabetici di tipo 2 è obeso.
La prevalenza di diabete è 3 volte più alta nei soggetti
obesi rispetto alla popolazione non-obesa.
I principali scopi che la terapia alimentare
della persona con diabete si prefigge sono quelli di:
- mantenere i valori glicemici il più possibile vicini
ai valori normali per prevenire l’insorgenza delle complicanze
microvascolari
- normalizzare il quadro lipidico per la prevenzione
delle complicanze macrovascolari
- mantenere il peso corporeo ottimale (o ottenere una
riduzione in caso di eccesso)
- assicurare livelli pressori utili alla prevenzione
cardiovascolare
- nel diabete di tipo 1 garantire un apporto energetico
ottimale in sincronia con il regime insulinico praticato
e con lo stile di vita.
Grande importanza assume la capacità di gestire
la terapia insulinica in funzione della quantità di
carboidrati e di calorie assunte
- nel diabete di tipo 2 stimolare la modifica dello
stile di vita volto ad ottenere una riduzione ponderale
e mantenerla nel tempo. Accanto alla dieta l’esercizio
fisico ha un ruolo molto importante: l’aumento dell’attività
fisica è correlato ad una minore incidenza di diabete
mellito di tipo 2, ne ritarda la comparsa e può far
diventare normotolleranti i soggetti con alterata tolleranza
glucidica. L’esercizio fisico non solo determina un
miglioramento del quadro glicometabolico e della glicemia,
ma assume un vero e proprio significato terapeutico
riducendo il rischio cardiovascolare.
La terapia farmacologica:
la terapia orale e l’insulina Non esiste ancora una
terapia che agisca sulla causa del diabete. La terapia
del diabete rimane quindi quella che corregge l’iperglicemia,
attraverso la dieta, l’esercizio fisico, l’impiego di
farmaci che portano ad un aumento della secrezione insulinica
o della sua azione.
I farmaci orali vengono utilizzati per i diabetici di
tipo 2 mentre per i diabetici di tipo 1 la terapia insostituibile
è rappresentata dall’insulina.
Oggi esistono in commercio numerosi prodotti orali,
che appartengono essenzialmente a 2 categorie: i secretagoghi
dell’insulina e gli insulino-sensibilizzanti.
Questi farmaci hanno differenti meccanismi di azione
e sono più indicati per alcuni tipi di pazienti rispetto
ad altri.
I farmaci orali secretagoghi dell’insulina stimolano
direttamente la secrezione dell’insulina da parte delle
betacellule pancreatiche.
I vari prodotti presenti sul mercato si differenziano
dal punto di vista clinico per la loro “potenza” d’azione
e per la loro rapidità e durata d’azione. I farmaci
orali “insulinosensibilizzanti” hanno degli effetti
indiretti sui valori glicemici, non agendo direttamente
sul pancreas ma agendo a livello periferico, riducendo
la produzione epatica di glucosio, aumentando l’utilizzazione
periferica dello zucchero da parte del tessuto muscolare
e tessuto adiposo.
Uno dei vantaggi di questi farmaci è quello di mantenere
o addirittura ridurre il peso corporeo, per questo motivo
questi farmaci sono indicati nei diabetici di tipo 2
obesi.
La terapia con insulina
La scoperta dell’insulina risale al 1921 e la prima
somministrazione di insulina per uso terapeutico avvenne
l’11 gennaio del 1922 ad un ragazzo di 14 anni affetto
da quello che oggi chiamiamo diabete di tipo 1, che,
dopo le prime somministrazioni mostrò un drammatico,
quasi miracoloso miglioramento.
L’insulina nativa è un ormone proteico che viene degradato
dagli enzimi proteolitici e quindi non può essere assorbito
dalla mucosa gastrica. L’insulina attualmente in commercio
è disponibile in preparati iniettabili che si differenziano
sostanzialmente per la differente rapidità e durata
d’azione. In Italia oggi utilizziamo insulina “umanizzata”
resa cioè identica a quella umana grazie a tecnologie
di ingegneria genetica.
La terapia insulinica è l’unica terapia in grado di
ottenere un buon controllo del diabetico di tipo 1,
ma viene spesso effettuata dal diabetico di tipo 2 in
cui la terapia orale perda efficacia. Esistono però
numerosi problemi legati a questa terapia, che deve
essere somministrata per via iniettiva, spesso in multiple
iniezioni quotidiane, per ottenere buoni risultati.
Prima di tutto esiste una difficoltà di accettazione:
iniettare giornalmente, più volte al giorno un farmaco,
per tutta la vita, è dura. Inoltre possono esistere
oggettive difficoltà nella somministrazione in soggetti
anziani, che vivono da soli, non autosufficienti. Per
questo motivo sempre maggiore interesse rivestono le
vie alternative di somministrazione insulinica. Queste
nuove vie su cui si sta sperimentando riguardano fondamentalmente
la via inalatoria con assorbimento polmonare, attraverso
un dispositivo aerosol.
Tuttavia sono necessari studi prolungati nel tempo per
poter confermare la reale sicurezza ed efficacia della
terapia insulinica attraverso queste nuove formulazioni.

Il trapianto: terapia nei pazienti con diabete
di tipo 1
Attualmente il trapianto di pancreas endocrino,
inteso come sole isole di Langherans (quelle che producono
l’insulina) o come organo nel suo complesso (pancreas
in toto) è l’unica procedura in grado di consentire
la normalizzazione delle glicemia, in assenza di insulina
esogena.
La storia dei trapianti di pancreas è iniziata a metà
degli anni sessanta negli Stati Uniti e da allora migliaia
di pazienti diabetici ne hanno usufruito in tutto il
mondo. La maggior parte di questi pazienti ha ricevuto
anche un rene (trapianto combinato pancreas-rene) per
la concomitante presenza di insufficienza renale cronica.
Il pancreas può essere trapiantato anche in soggetti
che sono già portatori di un trapianto di rene funzionante
(trapianto di pancreas dopo rene).
Si può effettuare anche un trapianto di pancreas isolato.
Esistono dei precisi criteri per essere inclusi nelle
liste di trapianto. Questi criteri prendono in considerazione
il tipo di diabete (tipo 1), l’età del soggetto, la
presenza di complicanze e la motivazione emotiva e psicologica.
Il candidato deve essere conscio che il trapianto necessiterà
di una terapia immunosoppressiva per tutta la vita,
e che questa porta ad una maggiore suscettibilità alle
infezioni e ad un maggior rischio di tumori.
Sempre maggiore frequenza sta assumendo nel mondo il
trapianto delle sole isole di Langherans, che ha il
vantaggio della semplicità della tecnica e della riduzione
dei rischi operatori. Si ottiene in laboratorio un preparato
di isole che si iniettano, dopo cateterizzazione di
un vaso di pertinenza del circolo portale, nel fegato.
Tuttavia, per ottenere un adeguato preparato di isole
è necessario lavorare su più pancreas ottenuti da donatori
diversi.
Solo poco più del 10% dei soggetti operati mantiene
a distanza di 12 mesi dal trapianto una condizione di
insulino-indipendenza. In studi più recenti i successi
sono stati maggiori, utilizzando migliori tecniche di
purificazione delle isole, ma il numero di pazienti
trattati è ancora molto esiguo e sono necessarie ulteriori
validazioni cliniche. Inoltre in confronto ai potenziali
riceventi, il numero dei donatori è comunque assolutamente
insufficiente. Un obiettivo ideale consiste nel trovare
una fonte di cellule producenti insulina in modo fisiologico,
da poter trapiantare senza ricorrere alla terapia immunosoppressiva.
Oggi la ricerca si basa essenzialmente sull’uso della
terapia genica e si dirige verso l’utilizzo di cellule
staminali, (anche da embrioni animali) e verso la creazione
di linee cellulari producenti insulina (da beta cellule
umane o provenienti da animali trangenici o da cellule
umane non beta e modificate in modo da produrre insulina).
Per una reale applicabilità clinica si dovranno però
attendere ancora molti anni.
Prevenire l’epidemia del terzo millennio: è
possibile
Oggi in Italia ci sono circa 2 milioni di diabetici,
che diventeranno 5 milioni nel 2025. Ogni anno si registrano
circa 100.000 nuovi casi, e non finisce qui, perché
il 30% delle persone con diabete non sa di esserlo.
Questo dato allarmante non riguarda esclusivamente il
nostro paese: secondo l’OMS nei prossimi 10 anni si
assisterà ad una triplicazione dei casi, a livello mondiale,
rendendo così la malattia diabetica l’epidemia del terzo
millennio. Nel mondo ci sono circa 150 milioni di persone
con diabete e, in assenza di interventi, questo numero
raddoppierà nel 2005. Di questi 300 milioni oltre il
95% sarà costituito da diabetici di tipo 2.
Queste cifre allarmanti devono farci riflettere: la
prima considerazione è quella riguardante il costo sociale
della malattia, che è molto elevato e che avrà importanti
ripercussioni sul sistema sanitario. La seconda considerazione
è quella sul costo personale della malattia, per le
sue caratteristiche così fortemente legate al vissuto
personale del paziente, per le sue ripercussioni sulla
famiglia, gli affetti, le relazioni sociali, il mondo
del lavoro. Il diabete è una malattia cronica che porta
a complicanze potenzialmente invalidanti.
Ma senza aspettare l’evoluzione naturale della malattia,
sin dal momento della diagnosi, la persona (e con lui
la sua famiglia) vive una rivoluzione che modificherà
le sue abitudini: l’alimentazione potrà modificarsi,
potrà cambiare l’orario dei pasti, il compito dell’autocontrollo
potrà richiedere a volte un impegno troppo pesante.
L’incontro quotidiano con aghi e siringhe potrà diventare
fonte di ansia e di rifiuto e così anche la paura di
avere ipoglicemie. Si temono cambiamenti nel lavoro,
eventuali discriminazioni, difficoltà nella possibilità
di avere il rinnovo della patente o di stipulare un’assicurazione.
Persino andare in palestra o in vacanza può diventare
un problema. Alcuni grandi studi clinici hanno dimostrato
come un intervento sullo stile di vita sia in grado
di ridurre di oltre il 50% l’incidenza di nuovi casi
di diabete di tipo 2. La riduzione di almeno il 5% del
peso corporeo, la riduzione del consumo di grassi, l’aumento
del consumo di vegetali, un esercizio fisico moderato
(anche una passeggiata) di almeno 30 minuti al giorno,
hanno portato dopo 3 anni ad una riduzione del 58% dell’incidenza
di diabete nel gruppo in trattamento rispetto al gruppo
di controllo.
Pertanto tutti, specialisti, operatori sanitari del
team di cura, medici di famiglia, legislatori, dovrebbero
lavorare per un’opera di sensibilizzazione per la prevenzione
del diabete di tipo 2, individuando i soggetti a rischio
e proponendo loro l’adozione di uno stile di vita salutare,
investendo risorse per l’educazione nella scuola per
ridurre l’obesità infantile, impostando corrette campagne
di educazione alimentare, lavorando insieme alle aziende
del settore alimentare per incidere sul costume della
popolazione, non solo per quello che riguarda l’alimentazione,
ma anche per ciò che concerne l’abitudine al fumo e
l’attività fisica.
Per approfondire l’argomento:
Trapianti di isole:
- Shaphiro J. Eighty years after insulin: parallels
with modern islet transplantation. CMAJ 2002; 167:1398-1400
- Hirshberg B, Rother KI, Digon BJ et al. Benefits and
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using steroidsparring immunosuppression: the National
Institutes of Health experience. Diabetes Care 2003;
26:3288-3295
- Robertson RP, Kendall D. Islet tranplantation 2003:
questions about its future. Curr Opin Endocrinol Diabetes
2003; 10:128-132
- Robertson R.P. Islet transplantation as a treatment
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350: 694-705
Vie alternative di somministrazione insulinica
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of administration as an approach to improve insulin
therapy: update on dermal, oral, nasal and pulmonary
insulin delivery. Cuu Pharm Des. 2001 7: 1327-1351
- Owens DR, Zinman B, Bolli G. Alternative routes of
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- Royle P,Waugh N, McAuley L, McIntyre L, Thomas S.
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Syst Rev 2003; CD003890
- Selam JL. Inhaled insulin for the treatment of diabetes:
projects and devices. Expert Opin Pharmacother, 2003;
4: 1373-1377
Prevenzione del diabete di tipo 2
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in the incidence of type 2 diabetes with lifestyle intervention
or metformin . N. Engl. J Med 2002; 346: 393-403
- Tuomilehto J, Lindstrom J, Eriksson JC, et al. Finnish
Diabetes Prevention Study Group: prevention of type
2 diabetes mellitus by changes in lifesyle among subjects
with impared glucose tolerance . N.Engl. J Med 2001;
344: 1343- 1350 Una “fotografia” italiana del diabete
- AMD Associazione Medici Diabetologi - Rapporto sociale
diabete 2003 - Pacini editore Ottobre 2003
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