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Editoriale

Per la globalizzazione dei diritti Di Luigi Angeletti

Dalla disabilità alla diversa abilità

La parola alle Strutture Sanitarie

La parola alle Associazioni

La parola alle Aziende

Spazio Riabilitazione

La parola ai Medici

Premio Sapio per la Ricerca Italiana 2004

Conosciamo...



 
Gli studi dimostrano un incremento della disabilità direttamente proporzionale all’avanzare dell’età. Molti anziani non sono più capaci di spostarsi da un luogo all’altro, uscire da casa per passeggiare o fare shopping, andare a teatro o in banca, frequentare parenti e amici e non sono pochi quelli che non riescono più a muoversi senza aiuto, a lavarsi e vestirsi da soli.
La inattività fisica determina delle alterazioni a carico dell’apparato cardiocircolatorio, respiratorio, muscolare e scheletrico, e la stessa inattività può essere negli anni responsabile del manifestarsi di altre patologie; per questo numerosi studi dimostrano che una buona attività fisica riduce il rischio di disabilità nell’anziano.

Papa Giovanni Paolo II il 3 dicembre del 2000 affermava: “anzitutto il diritto che ha ogni uomo e ogni donna disabile, in qualunque Paese del mondo, ad una vita dignitosa. Non si tratta solo di soddisfare determinati bisogni, ma più ancora di vedere riconosciuto il proprio desiderio di accoglienza e di autonomia. E’ necessario che l’integrazione diventi mentalità e cultura, e al tempo stesso che i legislatori e i governanti non facciano mancare a questa causa il loro coerente sostegno”.

Nel mese di aprile 2002 è stata presentata la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e Salute (ICF) basata sulla integrazione di due modelli finora opposti, medico e sociale, e l’approccio utilizzato diventa il tipo “biopsicosociale”. L’obiettivo centrale della nuova impostazione culturale e scientifica dettata dalla ICF è quello del funzionamento della persona. Quindi prima di tutto si nega in radice la distinzione tra disabile e sano, ma si affronta la problematica della Salute come assieme di funzionamenti, ottimali o meno, della persona, per tutte le persone intendendole da questo punto di osservazione come sane.

L’ICF è una classificazione delle caratteristiche della salute delle persone all’interno del contesto delle loro situazioni di vita individuali e degli impatti ambientali. E’ l’interazione fra caratteristiche di salute e i fattori contestuali a produrre la disabilità. Il 2003 viene dichiarato dall’Unione Europea come l’Anno del Disabile, atto ad organizzare, promuovere e spingere quante più iniziative possibili a favore di quella classe spesso “emarginata” dalla società odierna, ma altrettanto importante. Nel 2002 viene redatta la “dichiarazione di Madrid”.

La dichiarazione asserisce che:
• la disabilità appartiene alla dimensione dei diritti umani;
• le persone disabili vogliono pari opportunità e non beneficenza;
• discriminazione ed esclusione sociale sono il risultato delle barriere erette dalla società;
• le persone disabili costituiscono una cittadinanza invisibile;
• le persone disabili costituiscono un gruppo differenziato;
• l’inclusione sociale è il risultato non solo della non discriminazione, ma anche delle azioni positive. La dichiarazione invita fortemente i Paesi dell’Unione a rivedere le proprie legislazioni ed a favorire una reale integrazione dei cittadini disabili in tutti i settori della vita privata, sociale ed economica. Sembrava, viste le brillanti premesse, che il 2003 avrebbe segnato la svolta epocale e che, finalmente, i disabili non sarebbero più stati considerati come degli assistiti, ma come soggetti titolari di diritti e doveri e che come tali avrebbero trovato nella nostra società le condizioni adeguate per esercitare tali diritti e compiere tali doveri.

La discriminazione nei confronti dei disabili richiede infatti un’azione vasta e capillare, perché sono varie le circostanze della vita quotidiana che spesso non permettono a milioni di europei una piena integrazione sociale: dall’occupazione alla scuola, dai trasporti alla cultura. Il nostro obiettivo è di sensibilizzare e favorire un maggior impegno per l’integrazione del disabile a tutti i livelli, in base ad una condivisione dei grandi obiettivi di fondo.

Così si esprimeva Romano Prodi nel 2002; la situazione, però non si è evoluta esattamente nella direzione indicata ma evidenti progressi si sono realizzati.


La situazione
La grande novità è rappresentata dalla presa di coscienza che prima del “contenitore” (il servizio, la risposta, l’intervento) si debba porre al centro e al cuore del sistema la difesa della persona con la propria dignità e il suo diritto a rimanere nella propria comunità, a contatto con le proprie reti familiari e sociali. La “persona al centro” significa che non solo è oggetto del sistema di prestazioni e risposte, ma anche soggetto che collabora, partecipa, sceglie il processo di inclusione sociale, anche laddove la gravità della compromissione del quadro clinico o comportamentale fosse di notevole entità.

Quindi è necessario inserire la persona in un contesto che renda facilmente fruibili gli ambiti quotidiani in cui si articola il suo essere: abitazione, servizi, scuola, lavoro e riabilitazione. Per quanto riguarda l’aspetto riabilitativo le Linee Guida (Decreto Ministro Sanità, 7 maggio 1998) intendono quali “attività” sanitarie di riabilitazione gli interventi valutativi, diagnostici e terapeutici e le altre procedure finalizzate a portare il soggetto affetto da menomazioni a contenere o a minimizzare la sua disabilità ed il soggetto disabile a muoversi, camminare, parlare, vestirsi, mangiare, comunicare e relazionarsi efficacemente nel proprio ambiente familiare, lavorativo, scolastico e sociale. Allo scopo di rispondere ad esigenze così precise è stato elaborato il Progetto Individuale – previsto e descritto all’art. 12 della L. 328/00 – che è parte integrante dei livelli essenziali di assistenza che lo Stato deve garantire su tutto il territorio nazionale.

La normativa nazionale vigente consente di potere rideterminare il valore e la portata del Progetto Individuale, definendolo, più utilmente, Progetto Globale di Presa in Carico della Persona con Disabilità.

Questo progetto viene successivamente integrato dal DPCM 14.02.2001, da cui si evince che:
• lo Stato ha chiaramente indicato il diritto della persona con disabilità (e di chi lo rappresenta) di potere disporre di uno strumento che riunisca in un unico ambito progettuale le indicazioni diagnostiche e i piani di intervento riferiti sia agli aspetti sanitari che sociali;
• non essendoci alcuna limitazione riferita alle diverse fasi della vita, se ne deduce che tale strumento deve essere considerato dinamico, impostato e gestito in modo da seguire l’evoluzione dei bisogni e delle risposte per l’intero arco della vita della persona;
• la valutazione del bisogno, al fine della definizione della tipologia e natura delle prestazioni, deve essere condotta mediante condizioni organizzative e professionali all’insegna della multidisciplinarità, ricercando, altresì, il coinvolgimento della persona e del proprio contesto (familiare e sociale).

In assenza di definizioni statali il Progetto Globale di Presa in Carico può essere definito, procedurato e codificato a livello Regionale. Le idee, le prospettive fanno ben sperare, ma purtroppo, ancora oggi, il processo di integrazione e facile fruibilità dei servizi sembra lontano da divenire una realtà quotidiana.


La disabilità
Gli studi dimostrano un incremento della disabilità direttamente proporzionale all’avanzare dell’età. Spostarsi da un luogo all’altro, uscire da casa per passeggiare o fare shopping, andare a teatro o in banca, frequentare parenti e amici, sono lussi che non tutti possono permettersi. Purtroppo molti anziani non ne sono più capaci e non sono pochi quelli che non riescono più a muoversi senza aiuto, a lavarsi e vestirsi da soli.

Il concetto di disabilità racchiude realtà diverse e difficilmente codificabili (da persone autonome, con difficoltà minima a persone che necessitano di assistenza per qualsiasi passaggio posturale).

In ambito geriatrico sono stati individuati tre principali aree dello stato funzionale: le attività basilari della vita quotidiana (mangiare, alzarsi dal letto, andare in bagno, curare la propria igiene, pieno controllo di minzione e defecazione, camminare attraverso una piccola stanza, vestirsi) (Activities of daily living, ADL - Katz S. et al, 1963); le attività strumentali (utilizzare il telefono, i mezzi di trasporto, assumere i farmaci, gestire il proprio denaro, lavare, fare le pulizie di casa, cucinare) (In strumentale activities of daily living, IADL - Lawton M.P., Brody E.M., 1969) e quelle avanzate (le attività sportive, i viaggi, le attività sociali e lavorative) (Advanced activities of daily living o AADL - Reuben D.B. et al., 1990).

Dal momento che le attività basilari sono apprese per prime nel corso dello sviluppo e sono essenziali nella vita di tutti i giorni la loro compromissione rappresenta la forma più grave di disabilità. D’altra parte nella società contemporanea anche la perdita della capacità di compiere le IADL ha delle importanti ripercussioni negative, dal momento che limita la possibilità dell’anziano di vivere da solo, rendendo necessaria la disponibilità di un’assistenza o il trasferimento in una residenza per anziani.

La perdita della autosufficienza può verificarsi con due modalità. Nel caso della disabilità catastrofica una persona del tutto autosufficiente (o comunque in discrete condizioni) può trovarsi “di colpo” ad essere dipendente in tutto o quasi. Un esempio classico è quello dell’ictus cerebrale che trasforma d’improvviso una persona normale in una persona dipendente. La seconda modalità è la disabilità progressiva, inavvertitamente (senza quasi accorgersene) si scendono i gradini della scala, perdendo così lentamente la capacità di svolgere le attività che caratterizzano le nostre giornate, sia quelle, inizialmente, non fondamentali e poi anche quelle che ci consentono una vita dignitosa.

La propria autonomia è un bene prezioso che va conservato; per contrastare la perdita dell’autosufficienza è necessario sforzarsi in ogni modo di fare da soli, senza vergognarsi e studiando strategie che ci consentano di raggiungere l’obiettivo, seppure con modalità diverse da quelle più comunemente usate. La persona con difficoltà non è disabile fino a che sfrutta diverse abilità, lo diventa nel momento in cui non è in grado di gestire le proprie attività. A questo proposito non è un caso che qualche anno fa la “Comunità Europea” istituì il progetto “Diverse abilità” consistente nello stanziamento di fondi per l’inserimento dei disabili nel mondo del lavoro. Nel caso di disabilità motoria, fortunatamente, è possibile servirsi di molte opportunità fornite dalla tecnologia: dalle più semplici, quali bastoni speciali, tripodi, deambulatori, a quelle più sofisticate come sedie a rotelle elettriche, protesi particolari ecc.

Quindi, mai demordere; soprattutto non avvilirsi ed abituarsi a vivere con le proprie difficoltà e ricordare che ci sono persone che malgrado gravi handicap, hanno continuato a svolgere vita attiva. Fondamentale è il ruolo della valutazione. Al momento ci si avvale di 2 metodi: uno basato sull’utilizzo di questionari che rilevano le informazioni fornite dall’anziano stesso o da una persona a lui vicina, il secondo consiste nell’osservare l’individuo mentre effettua prove standardizzate, in particolare per le attività basilari della vita quotidiana, come mangiare, vestirsi, salire e scendere le scale, ecc…

La disabilità si raggiunge attraverso un processo lento le cui tappe importanti spesso vengono sottovalutate. Un’interessante ipotesi per spiegare l’aumento del rischio di disabilità nell’anziano è quella formulata alcuni anni fa da due studiosi, Buchner e Wagner, secondo i quali è la comparsa di fragilità, intesa come compromissione contemporanea della funzione di più organi ed apparati, ad essere responsabile dell’instaurarsi della disabilità (Buchner D.M.,Wagner E.H., 1992).

Si può affermare che le cause dell’instaurarsi della fragilità siano: invecchiamento, malattie e stile di vita scorretto. Il binomio fragilità-disabilità è responsabile di scadente qualità della vita e conseguente scarsa motivazione; lo stato funzionale viene compromesso e la dipendenza da altre persone scatena l’instaurarsi di una serie di reazioni a catena che portano spesso ad un quadro di depressione importante. Le patologie che più frequentemente causano compromissione dello stato funzionale sono: l’ar trosi, la cardiopatia ischemica, l’ictus, il diabete, la frattura di femore, la broncopneumopatia cronica ostruttiva, la demenza, le malattie che riducono la vista e la depressione. Caratteristica di queste situazioni è la scarsissima attività fisica realizzata dal soggetto, che spesso trascorre lunghe ore seduto.

La inattività fisica determina delle alterazioni a carico dell’apparato cardiocircolatorio, respiratorio, muscolare e scheletrico, e la stessa inattività può essere negli anni responsabile del manifestarsi di altre patologie quali, ad esempio osteoporosi ed ipertensione. Alla luce di quanto finora esposto non sorprende che numerosi studi abbiano dimostrato che una buona attività fisica riduca il rischio di disabilità nell’anziano.

Gli esercizi che si sono rivelati opportuni e necessari sono stati quelli proposti controresistenza allo scopo di incrementare la massa e forza muscolare. Allo scopo di ridurre il rischio “cadute” particolarmente efficaci si sono rivelate anche le strategie per il controllo ed il miglioramento dell’equilibrio. E’ importante che il paziente venga informato che i vantaggi dell’attività fisica svaniscono rapidamente ed è quindi importante che venga praticata in maniera costante e regolare.


Il sistema dei servizi
La popolazione invecchia e questo fenomeno è particolarmente rilevante nei paesi industrializzati.

Questa realtà implica la necessità di organizzare un sistema di servizi socio-assistenziali per gli anziani comprendente:
• assistenza domiciliare e assistenza domiciliare integrata;
• centro diurno sociosanitario;
• servizio di telesoccorso o telecontrollo;
• sostegni economici familiari (complementare al servizio domiciliare e al centro diurno);
• residenze sanitarie assistenziali e case di riposo. Le RSA La Residenza Sanitaria Assistenziale (RSA) è un presidio sanitario extraospedaliero volto all’accoglimento, alle cure ed al recupero funzionale e sociale dei soggetti non autosufficienti non curabili a domicilio. E’ inoltre funzionalmente collegata ai presidi ospedalieri delle AA.SS.LL. e, per quanto necessario, dove è possibile, si avvale delle consulenze specialistiche, dei servizi diagnostici, nonché della farmacia ospedaliera per i farmaci, il materiale, i presidi sanitari e di medicazione.

L’anziano va nella RSA perché è solo o vive una situazione socioambientale e sociale particolare e il suo medico di famiglia rimarrà sempre il primo interlocutore. Il principale requisito di qualità è che il servizio offerto sia pensato sulla base delle caratteristiche di ogni singolo ospite, ad esempio il comfort strutturale come le stanze che devono avere spazi adeguati ed ambienti idonei alle consuetudini di vita odierne, con valorizzazione degli spazi di vita dei singoli ospiti, ma anche dei rapporti interpersonali sia degli ospiti , sia degli operatori e familiari, così da creare un vero luogo di vita per quelle persone che trascorrono una parte della loro vita assieme.

La qualità della vita degli ospiti viene migliorata anche tramite l’inserimento di figure professionali sempre più aggiornate: accanto alla figura riabilitativa si approfondisce quella dell’animazione con l’appoggio di operatori esperti in musicoterapia, arteterapia, danza terapia, teatroterapia. Tipologia dei soggetti assistibili: la RSA ospita gli ultrasessantacinquenni provenienti da strutture ospedaliere, dal domicilio, da residenze protette e/o strutture sociali di accoglienza collettiva, che necessitano di assistenza continuativa, affetti da polipatologia diagnosticata e documentata.

La RSA fornisce prestazioni sanitarie consistenti in:
• controllo medico generico e specialistico
• assistenza infermieristica
• terapia fisica e fisiokinesiterapia
• terapia occupazionale.

Prestazioni sociosanitarie consistenti in:
• nursing tutelare
• socializzazione
• assistenza alberghiera.

Le patologie che consentono l’avvio alla RSA riguardano in particolare:
• anziani affetti da esiti non stabilizzati di patologie neurologiche, internistiche, muscolari e osteo-articolari
• turbe psico-organiche gravi dell’età senile
• patologie cronico-invalidanti
• patologie terminali. L’ammissione del paziente in RSA è subordinata alla valutazione dell’Unità di Valutazione Geriatrica territoriale, che provvederà a comunicare direttamente all’utente e ai familiari, e ai responsabili di reparto, l’accettazione del caso.


Conclusioni
Parole, discorsi, progetti di legge, studi, dimostrazioni, rivendicazioni, lotte per l’abbattimento delle barriere (il più delle volte mentali piuttosto che architettoniche) e finalmente dopo tanto penare il 2003 “Anno europeo del disabile”; quante aspettative e speranze riposte in questo evento. In Francia hanno pensato ad un sistema di finanziamento della disabilità chiedendo un contributo a tutti i cittadini, mentre in Italia si è pensato bene di rimandare il problema sull’argomento della disabilità al 2005!!

Oggi nel 2004, la situazione non appare cambiata, la disinformazione è sempre presente, i vari decreti sembrano essere rimasti lettera morta, gli iter burocratici lunghissimi e le difficoltà sempre in agguato. Ma tutti i buoni propositi? Ciò che sembra fiorire sono le attività da parte dei volontari, ma può un esercito animato solo da tanto amore e dedizione, sopperire a carenze istituzionali? Forse con il senno di poi, si potrebbe dire “2003 Odissea del disabile”. Se è vero, come ci è stato sempre insegnato, che le difficoltà temprano e rendono più forti, l’esercito di coloro che sfruttano “diverse abilità” è destinato ad una continua vittoria. Purtroppo la situazione non è così rosea e lineare come è stata descritta.

Vivere oggi in questa società per chi ha difficoltà derivanti da patologie è veramente una lotta: ci si deve battere contro l’ignoranza, la mancanza totale di senso civico, la assenza di infrastrutture, la latitanza delle figure istituzionalmente preposte, i lunghi ed estenuanti iter burocratici, l’umiliazione di dover costantemente documentare la propria disabilità e la delusione di veder spesso disattese le proprie legittime richieste.

Questa è la vera disabilità catastrofica: dover lottare ogni giorno, quanto e più dei colleghi “normalmente abili”, per ottenere il diritto ad una vita dignitosa nel rispetto della persona.
 
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A cura di
Quinzio Granata
Direttore Sanitario - Casa di Cura
S. Raffaele Nomentana,
Tosinvest Sanità
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