La pratica del doping, intesa come assunzione di sostanze
in grado di migliorare artificiosamente la prestazione
fisica, è ormai considerata dall’opinione pubblica una
realtà diffusa, ormai radicata nel costume contemporaneo,
al pari delle altre forme di abuso (farmaci, alcool, fumo,
ecc.) che tristemente caratterizzano la società moderna.
Una problematica che coinvolge non solo atleti di fama,
ma molto spesso ragazzi giovani, convinti di poter meglio
risolvere i problemi più svariati della vita con un aiuto
“chimico”: un espediente che come può portare velocemente
al successo e causare nel contempo danni irreparabili
al fisico e soprattutto alla psiche.
In particolare il doping rimanda a due ordini differenti
di questioni, configurandosi da un lato come ovvia frode
sportiva - in quanto modificazione artificiale delle energie
e quindi delle prestazione - e dall’altro come abitudine
gravemente nociva alla salute e all’equilibrio psicofisico.
Questa “ambivalenza” del doping ne condiziona, diversificandole,
le modalità con le quali viene controllato e combattuto.
Nello sport l’interesse preminente è che l’atleta, professionista
o meno, non usi mezzi fraudolenti per ottenere il risultato,
mentre per lo Stato e la comunità civile la preoccupazione
primaria deve riguardare prima di tutto la tutela della
salute di ogni cittadino che pratichi sport.
Appare logico quindi che l’aspetto della violazione della
leale competitività sia tutelato da leggi sportive e che
nelle leggi dello Stato prevalga la tutela sanitaria delle
attività sportive. Va tra l’altro rimarcato che si è giunti
a stabilire gli elementi distintivi del fenomeno doping
attraverso un percorso basato non sulla valutazione dell’effettiva
azione farmacologica di un determinato composto ma sulla
possibilità di identificarlo nel materiale biologico e
quindi grazie ai contributi provenienti dalle ricerche
analitiche per l’identificazione delle sostanze proibite
e quindi in fase di anti-doping.
Una documentazione della gravità della problematica è
data dalle dichiarazioni rese da alcuni allenatori ed
atleti negli anni sessanta e settanta, non solo in riferimento
all’indiscriminato uso di sostanze chimiche della più
svariata natura ma anche alla frequentazione di veri e
propri laboratori di ricerca per aumentare le risorse
atletiche in modo fraudolento, lo stesso atleta professionista
si immedesima spesso nelle “politiche farmaceutiche” delle
proprie società sportive di appartenenza.
Nel ribadire l’inconfutabile importanza dei valori prioritari
della salute dell’atleta e della lealtà dello sport, si
rimane fiduciosi che la lotta al doping cominci a conseguire
dei buoni risultati.
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A
cura di |
Prof.
Veniero Gambaro |
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