Non dobbiamo dimenticare come l’area industriale di Venezia sia la realtà produttiva maggiormente significativa a livello nazionale e, proprio per questo, non possiamo cedere alla tentazione, certamente popolare, di decretarne la morte. Se Porto Marghera muore da un giorno all’altro significa gettare un velo di assoluta incertezza
sul futuro ambientale e sociale di un’intera regione.
Chi riqualificherebbe, in termini ambientali e paesaggistici, tutto il comparto se le aziende,
come in parte è già accaduto, decidessero di andarsene?
E chi riqualificherebbe ed assorbirebbe
i lavoratori rimasti a casa?
Sono domande che meritano profonde
riflessioni e che non possono rimanere
inevase.
Anche in questo caso è necessario stabilire
un punto di equilibrio tra le esigenze
di riqualificazione industriale,
quelle di mantenimento dei livelli
occupazionali, quelle delle grandi multinazionali
che operano in questo sito e
quelle del territorio.
Un modello, quindi, di sviluppo sostenibile
da applicare a quella che, senza
ombra di dubbio, è l’area industriale
più discussa e delicata d’Italia.
Negli ultimi sei mesi abbiamo lavorato
con assoluta determinazione a tamponare
una vera e propria emergenza
tanto improvvisa quanto drammatica:
la scelta di una delle più grandi industrie
presenti a Porto Marghera, la
Dow Chemical, di delocalizzare gli
impianti.
Una crisi di prima grandezza che ha
messo a repentaglio centinaia di posti
di lavoro e che, senza l’intervento di
tutti gli Enti Veneziani e del Governo,
rischiava di innescare un vero e proprio
effetto domino.
La multinazionale, infatti, produceva
un componente chimico essenziale per
tutto il ciclo produttivo del
Petrolchimico; in assenza di quello
tutte le altre industrie presenti rischiavano
di chiudere o di delocalizzare le sostenibile
da applicare a quella che, senza
ombra di dubbio, è l’area industriale
più discussa e delicata d’Italia.
Negli ultimi sei mesi abbiamo lavorato
con assoluta determinazione a tamponare
una vera e propria emergenza
tanto improvvisa quanto drammatica:
la scelta di una delle più grandi industrie
presenti a Porto Marghera, la
Dow Chemical, di delocalizzare gli
impianti.
Una crisi di prima grandezza che ha
messo a repentaglio centinaia di posti
di lavoro e che, senza l’intervento di
tutti gli Enti Veneziani e del Governo,
rischiava di innescare un vero e proprio
effetto domino.
La multinazionale, infatti, produceva
un componente chimico essenziale per
tutto il ciclo produttivo del
Petrolchimico; in assenza di quello
tutte le altre industrie presenti rischiavano
di chiudere o di delocalizzare le
produzioni facendo perdere il posto di
lavoro a migliaia di persone e lasciando
al proprio destino un’intera provincia
condannandola ad un futuro di degrado
territoriale e di profondo inquinamento.
L’impegno di tutti, il senso di responsabilità
delle Aziende e l’azione continua
dei Sindacati, hanno consentito di arginare
la falla prodotta, ma al tempo stesso hanno rallentato quel fondamentale
lavoro di ridisegno complessivo dell’area.
Porto Marghera può confermarsi polo
produttivo di assoluta importanza, può
divenire la piattaforma logistica del
Nord Est, può investire sulle nuove
tecnologie, sul terziario avanzato e può
contenere al proprio interno produzioni
chimiche pulite e compatibili.
Elemento prodromico ad una conversione
industriale complessiva ed efficiente
è il completamento delle bonifiche
delle aree dismesse e l’escavo dei
canali in modo da consentire, anche,
un ulteriore sviluppo dell’attività di
cantieristica, oggi vero punto di
forza, grazie a Fincantieri, del comparto
produttivo veneziano.
Quello che dobbiamo compiere
tutti assieme, inoltre, è un profondo
salto culturale, l’abbattimento
di una barriera pregiudiziale
che rischia di vanificare
ogni nostro sforzo: quella per la
quale
Porto Marghera sarebbe
ormai un’area compromessa ed
inutile, senza soluzioni.
Saremo anche in parte utopisti,
ma stiamo lavorando con assoluta
determinazione per garantire
un futuro a
Porto Marghera.
Un
futuro che, poi, coincide per forza
di cose con quello del Nord Est, un
territorio sempre più cerniera con
l’Europa e l’Oriente. Proprio qui,
infatti, si incrociano i grandi corridoi
transfrontalieri che modificheranno
profondamente la nostra idea di
mondo così come è oggi.
Dobbiamo, quindi, cambiare passo e
cominciare a considerare come governare
questi grandi processi ormai inarrestabili:
subirli significherebbe sacrificare
completamente il territorio, i cittadini
e la nostra possibilità di crescita e
sviluppo.
Da una nuova
Porto Marghera, da
queste grandi opere infrastrutturali
possono nascere significative opportunità
per tutto il Paese; proprio per questo
siamo chiamati a non lasciarci
andare a soluzioni apparentemente
semplici o di pura opposizione, ma di
additare una visione di ampio respiro e
capace di prospettiva.
Un passaggio, questo, prima di tutto
culturale. Troppo grande, è per molti, avanzato,
ricerca,
chimica pulita:
questa la
Porto
Marghera che tentiamo
di costruire, pezzo per pezzo,
con impegno e fatica.
Un polo produttivo, moderno e di
eccellenza inserito in un contesto
metropolitano ampio nel quale i cittadini
possano avere a disposizione sempre
più possibilità di istruzione, socializzazione,
impiego e qualità del vivere.
Una scommessa importante che non
può, assolutamente, non essere giocata
sino in fondo.