Per “cellule staminali” umane si intende comunemente indicare le cellule non specializzate che hanno due caratteristiche: la capacità di autorinnovamento (ossia di moltiplicazione senza differenziazione) e la capacità di dare origine (mediante una divisione) a cellule “progenitrici” (con capacità limitata di proliferazione) da cui discendono popolazioni di cellule “figlie” o linee cellulari altamente differenziate e specializzate (nervose, muscolari, ematiche, epiteliali ecc.).
Tali capacità cambiano in base
all’origine delle cellule e allo stadio di
sviluppo dell’organismo da cui si
estraggono: le cellule staminali
embrionali derivate dall’embrioblasto
sono totipotenti, mentre quelle
derivate da stadi più avanzati
dell’embrione, le cellule fetali e le
cellule adulte sono pluripotenti. Se le
prime hanno la capacità di rinnovarsi
in modo illimitato e di specializzarsi
in ogni tipo di tessuto o organo, le
seconde non hanno capacità di
rinnovarsi in modo illimitato e
producono solo alcuni tipi di tessuti,
non tutti. Una delle frontiere che si
sta tentando di aprire è quella della
“clonazione terapeutica”, ossia la
produzione di embrioni per trasferimento
di nucleo di cellule di un
soggetto in un ovocita denucleato, da
cui ottenere cellule staminali embrionali
per finalità terapeutiche sul soggetto
da cui sono state prelevate le cellule
somatiche (tecnica che provocherebbe
la distruzione dell’embrione così prodotto).
Tali cellule oltre ad essere
totipotenti avrebbero anche le stesse
caratteristiche genetiche del soggetto
su cui si applicherebbe la terapia (cellule
staminali embrionali autologhe).
L’annuncio di nuove possibili, ma in
taluni casi non concretamente verificate
prospettive terapeutiche (quali, testare
efficacia e tossicità dei farmaci, studiare
meccanismi biologici dello sviluppo
di certe patologie, produrre tessuti e
organi per trapianti), hanno aperto e
continuano ad aprire nuovi interrogativi
di natura etica, che hanno
ampiamente coinvolto anche la
discussione bioetica della società civile. La questione oggi bioeticamente
centrale nell’ambito del dibattito
sull’uso delle cellule staminali riguarda
l’utilizzazione delle cellule staminali
embrionali: si tratta di cellule che
derivano dalla regione interna
dell’embrione prima del suo impianto
nella parete dell’utero; dotate di
elevata capacità di proliferazione,
sono totipotenti, in grado, di principio,
di dare origine a tutti i tipi cellulari
dell’organismo; se isolate e cresciute
in vitro (con tecniche costose) possono
mantenere inalterate le loro proprietà
per anni (ciò significa che da poche
cellule è possibile ottenerne centinaia
di milioni con le stesse caratteristiche
e potenzialità). Il punto su cui è
indispensabile porre attenzione è il
fatto che a fronte di una possibile utilità
per lo studio dei meccanismi della
proliferazione e differenziazione dei
tessuti, ad oggi, non vi sono studi che
abbiano ottenuto un risultato sul
piano dell’impiego terapeutico.
La discussione sulla possibilità dell’uso
delle cellule staminali embrionali
umane è strettamente connesso al
dibattito sullo statuto dell’embrione
umano.
Sia che l’embrione sia prodotto
appositamente con tecnologie riproduttive
o con la tecnica del trasferimento
di nucleo, sia che si usino
embrioni soprannumerari congelati
(anche non impiantabili), il problema
bioetico rimane lo stesso: per ottenere
cellule staminali embrionali, mediante
questa tecnica, si deve distruggere
l’embrione umano, per scopi di ricerca,
per una possibile futura terapia.
Non
si discute sugli scopi, indubbiamente
eticamente non solo accettabili ma
anche lodevoli, lo scopo di incrementare
la ricerca e di trovare nuove modalità
terapeutiche per curare malattie fino
ad oggi inguaribili: si deve invece
discutere sui mezzi (ossia sulla
distruzione di embrioni umani),
oltretutto per una possibile prospettiva
terapeutica.
Si possono “sacrificare”
embrioni umani per consentire un
progresso delle conoscenze scientifiche
in ambito terapeutico? Si possono
sopprimere embrioni umani esistenti
per curare, forse, malattie di altri individui futuri?
Chi nega la personalità
all’embrione umano, chi non lo ritiene
degno intrinsecamente di tutela e
meritevole di protezione, di fatto,
ammette, seppur con toni diversi (più
estremi o più sfumati) la possibilità di
disporre della vita dell’essere umano
nelle primissime fasi del suo sviluppo.
Ammettere la disponibilità dell’embrione
umano significa legittimare la
strumentalizzazione dell’embrione,
giungendo anche alla posizione più
radicale di ritenere lecita la produzione
di embrioni a solo scopo sperimentale
distruttivo: è questo l’orizzonte di
pensiero che ritiene legittimo l’uso
indiscriminato di cellule staminali
embrionali umane. Precisamente, è la
posizione di chi ritiene lecito produrre
embrioni, anche mediante clonazione
terapeutica, al solo scopo di ottenere
cellule staminali embrionali umane
con la conseguente distruzione
dell’embrione prodotto.
La bioetica d’ispirazione libertaria e
utilitarista ritiene leciti questi interventi,
sulla base del prevalere del valore
della libertà della ricerca e dell’utilità
della scienza sul dovere debole di
protezione della vita umana iniziale,
di cui si nega la soggettività personale.
Anche ammesso che all’embrione
fosse dovuto un qualche grado di
tutela, essa sarebbe comunque subordinata
al dovere di tutela del malato
che potrebbe avere benefici dal sacrificio
dell’embrione.
È intermedia la
posizione di chi ritiene di poter
utilizzare solo embrioni congelati
non impiantabili, ossia in stato di
abbandono e non più destinabili
all’impianto e a condizione che siano
consapevolmente donati dalle donne
o dalle coppie. Si tratta di una
soluzione transitoria che usufruirebbe
di una situazione di fatto esistente
(ossia l’esistenza di embrioni soprannumerari,
a seguito delle tecnologie
riproduttive, congelati non impiantati e non più impiantabili), e che è spesso
interpretata come atto di solidarietà e
di altruismo. Tale legittimazione
sarebbe comunque subordinata
all’accertamento della ragionevole
impossibilità di impianto, dell’informazione
corretta e completa di chi
dovrà decidere e del consenso, escludendo
ogni forma di compenso e di
riserva sulla destinazione delle linee
cellulari che eventualmente verranno
prodotte. La posizione di chi ritiene
che l’embrione sia sin dalla fecondazione
una soggettività personale, ritiene
gravemente illecita la sperimentazione
su cellule staminali di embrioni
umani (sia che siano prodotti appositamente,
sia che siano congelati,
soprannumerari e non impiantabili).
Anche l’uso di embrioni congelati
non impiantati è ritenuto, in questa
prospettiva, illecito, perché si tratta
comunque della soppressione diretta
e intenzionale di embrioni vivi (che
vengono scongelati per la produzione
di cellule staminali): la distruzione di
embrioni è un male in sé, indipendentemente
dalle finalità dell’atto (le
finalità buone non giustificano i
mezzi, oggettivamente malvagi). Il
diritto alla vita dell’embrione deve
avere pari dignità rispetto al diritto
del malato di essere curato. Anche
l’argomento di chi ritiene che si possano
usare gli embrioni congelati non
impiantabili in quanto altrimenti
andrebbero distrutti o comunque
morirebbero spontaneamente, non è
ritenuto convincente essendo insostenibile
l’equiparazione tra “uccidere” e
“lasciare morire”. Gli stessi argomenti
che giustificano la proibizione
morale di creare embrioni umani a
solo scopo sperimentale valgono
anche per la proibizione dell’uso di
embrioni esistenti. Del resto, la eventuale
ammissione dell’uso di embrioni
umani congelati ne incentiverebbe
l’uso strumentale: al contrario, la tutela dell’embrione umano auspica
una regolamentazione sulla fecondazione
assistita che delimiti il numero
di embrioni prodotti per impianto, al
fine di evitarne la produzione in
eccesso. In questo senso risulta ambigua
la stessa denominazione “clonazione
terapeutica”: si tratta piuttosto di una
clonazione sperimentale riproduttiva,
in quanto produce un embrione
umano, che non è finalizzata alla
terapia dell’embrione prodotto
(semmai alla sua distruzione), bensì
alla ricerca sperimentale o semmai
alla terapia del soggetto da cui sono
prelevate le cellule somatiche.
Per quanto riguarda l’uso delle cellule
staminali derivate da feti abortiti, si
registra un sostanziale accordo
nell’ambito del dibattito attuale. Il
problema di cui si discute non è la
liceità o meno dell’interruzione di
gravidanza sul piano giuridico
(ammessa nella legislazione italiana
entro il primo trimestre di gravidanza,
legge n. 194 del 1978), ma semmai
sul piano etico: l’interruzione di
gravidanza costituisce un problema
bioetico (in relazione al conflitto tra
l’autonomia della donna e il valore
della vita del feto), ma non direttamente
connesso alla questione in
esame, semmai è un problema
indiretto, precedente. Il problema
bioetico di cui si discute è la liceità
dell’uso delle cellule staminali di feti
abortiti per fini di studio, ricerca e
terapia.
La liceità dell’uso è generalmente
ammessa (considerata analogabile
al prelievo di organi da cadavere),
purché sia subordinata al consenso,
libero e informato, della donna;
all’accertamento di assenza di una
causalità, collaborazione o complicità
tra chi effettua l’aborto e chi pratica il
prelievo delle cellule staminali dai feti
abortiti; alla non commerciabilità e
brevettabilità di tali cellule.
Inoltre va
verificato che la necessità di reperire cellule staminali fetali non costituisca
una incentivazione all’atto abortivo e
che la motivazione umanitaria del
prelievo non costituisca una forma di
implicita legittimazione dell’aborto
volontario.
Le cellule staminali fetali
possiedono caratteristiche intermedie
tra quelle embrionali e quelle adulte:
si tratta di cellule pluripotenti, di cui
le potenzialità proliferative e differenziative
non sono ancora scientificamente
certe, necessitando di ulteriori
studi.
Ciò che va bioeticamente sottolineato
è che la proibizione della sperimentazione
su cellule staminali embrionali
non significa bloccare la ricerca biotecnologica
(in ambito medico e
farmacologico), che oltretutto non
ha, ad oggi, portato risultati
documentabili: rimane la possibilità
dell’uso di cellule staminali umane
adulte. E’ recente la scoperta
comprovata scientificamente della
possibilità di utilizzare cellule
staminali provenienti da adulti per
la ricerca con finalità terapeutica;
ma anche la possibilità di prelevare
cellule staminali da cordone ombelicale
creando banche di cellule autologhe
per ogni neonato, utilizzabili, anche
dopo decenni, per eventuali patologie
insorte.
Si tratta di un percorso che
necessita di ulteriori studi scientifici,
con difficoltà organizzative ed economiche,
ma che si prospetta di
estremo interesse. Gli sviluppi
dell’ingegneria genetica e della biologia
molecolare consentiranno di
fare nuovi passi avanti: la ricerca sta
già progredendo in tal senso. Si
intravede la flessibilità, la versatilità
e la ampia possibilità di prestazioni
(verosimilmente non diversa dall’uso
delle cellule staminali embrionali)
anche delle cellule staminali di adulti.
Le cellule staminali adulte hanno
una capacità riparativa (consentono
il mantenimento dei tessuti e la loro riparazione in seguito a danni): si
pensava che fossero tessuto-specifiche,
ossia specializzate a generare tessuti
solo in modo specifico, ma ne è stata
mostrata la loro plasticità.
Le potenzialità
terapeutiche e la previsione
della percorribilità e fecondità della
ricerca in questa direzione, ritenuta
scientificamente competitiva rispetto
alla ricerca su embrioni, portano a
considerare legittima e doverosa tale
applicazione. La discussione bioetica
si trova concorde nel ritenere lecita
la possibilità di cercare in tessuti
umani di individui adulti cellule
staminali pluripotenti (nel midollo osseo, nel cervello, nel mesenchima
di vari organi, nel sangue del cordone
ombelicale), capaci di dare origine a
più tipi di cellule, in maggioranza
ematiche, muscolari e nervose. Il
prelievo deve avere una finalità
terapeutica e non solo sperimentale,
deve presupporre il consenso informato,
soprattutto se si tratta di un prelievo
di tipo invasivo; in ogni caso il
prelievo non deve mettere in pericolo
la salute del paziente che si intende
curare con tale metodologia.
La posizione del CNB
Il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) è intervenuto sull’argomento
con due pareri che hanno affrontato
la questione in una prospettiva interdisciplinare
e pluralista: il Parere
sull’impiego terapeutico delle cellule
staminali (27 ottobre 2000) e il
Parere su ricerche utilizzanti embrioni
umani e cellule staminali (11 aprile
2003).
Il CNB registra posizioni comuni
rispetto al divieto della clonazione
riproduttiva e alla liceità dell’uso di
cellule staminali da feti abortiti e da
adulto per esclusivi fini di ricerca e
terapia; registra invece posizioni
articolate rispetto all’uso delle cellule staminali embrionali umane.
E’
comune l’affermazione della illiceità
di produzione di embrioni (per
clonazione) a solo scopo sperimentale
e della illiceità della commercializzazione
e brevettazione di cellule staminali
umane. Alcuni ritengono lecita la
derivazione di cellule staminali a
scopi terapeutici dagli embrioni
soprannumerari non impiantabili
(previo consenso della donna o coppia);
tale posizione è motivata dall’intento
solidaristico di fare il possibile “per
aiutare quanti oggi patiscono gravi
sofferenze perché colpiti da malattie
di grande impatto sociale e ancora difficilmente curabili”; altri membri
del Comitato dichiarano gravemente
illecito anche l’uso di embrioni
congelati non impiantabili.
Il documento
comunque mette in guardia
sull’eccesso di ottimismo rispetto ai
vantaggi terapeutici offerti dall’uso
delle cellule staminali, al fine di non
incentivare un eccesso di speranza
nell’opinione pubblica e ritiene
opportuno sottolineare che i risultati
terapeutici devono essere resi accessibili a
tutti coloro che ne possono usufruire,
senza discriminazioni di censo, istruzione,
genere, ma solo sulla base di
valutazioni oggettive cliniche.