Fin dagli inizi della storia della biologia
si era ovviamente postulata
l’esistenza di cellule primitive dell’organismo
(come le cellule germinali),
capaci di dare origine ad un organismo
completo con tutti i suoi organi e
sistemi.
Fu però soltanto la scoperta
negli anni ’60 che nel midollo osseo di
topi sottoposti ad irradiazione letale
esistevano cellule capaci di rigenerare
tutti gli elementi figurati del sangue
(globuli rossi e bianchi, piastrine e
lifociti), assicurando così il salvataggio
degli animali altrimenti condannati,
che si potè, per così dire, identificare
un set ben definito di cellule staminali,
a cui fu assegnato il nome di “cellule
staminali emopoietiche”.
Si vide poi che tali cellule erano
presenti anche nel midollo osseo umano, e partirono quindi i primi
“trapianti midollari” che tante vite
dovevano salvare: si trattava del primo
intervento terapeutico “ studiato” a
base di cellule staminali. *
Apparve però subito evidente come vi
fossero diverse fonti di cellule
staminali, dotate a loro volta di
proprietà ben differenti e quindi con
diverse possibilità di utilizzo. Vediamo
quindi brevemente quali sono i principali
tipi.
1) Anzitutto vi sono le cellule della
cosiddetta linea germinale, maschile
e femminile, rispettivamente
spermatogoni ed oociti, che però già
differiscono fra di loro in quanto i
primi vengono prodotti nei
mammiferi in pratica per tutta la
durata della vita, mentre i secondi (gli oociti) vengono prodotti in un
numero finito dopo la nascita e non
oltre tale epoca (nonostante qualche
recente osservazione al contrario nel
topo).
2) Vi sono poi le cellule staminali
embrionali, che prendono origine
dalla massa interna di una primissima
formazione embrionale, la blastocisti,
che si forma 5-6 giorni dopo la fertilizzazione
(vedi fig. 1). Le cellule
della blastocisti, chiamate cellule ES,
sono le vere candidate per la formazione
di ogni tipo di cellula
dell'organismo ed in effetti si sono
ottenute linee cellulari permanenti,
murine ed anche umane, nelle quali
non solo si mantengono per infiniti
passaggi le medesime caratteristiche biologiche, ma dalle quali è possibile
ottenere, mediante aggiunta di
particolari fattori stimolanti, cellule
differenziate di vario tipo.
3) Vi sono poi un grandissimo numero
di cellule staminali commissionate,
vale a dire capaci, o che si ritenevano
capaci, di originare un solo tipo di
organo o tessuto maturo, ad es.
globuli del sangue, neuroni, cellule
muscolari, ecc. In realtà si è assistito
in anni recenti, alla dimostrazione
che molte di queste cellule, dette
“somatiche” per distinguerle dalle
cellule embrionali, possiedono la
capacità, grazie ad opportuna
stimolazione, di dare origine a cellule
e tessuti del tutto differenti da quelle
che si presupponevano specifiche
per quel dato tipo di “percorso”. Si
sono viste ad esempio cellule staminali
emopoietiche dare origine a
cellule mature di tipo muscolare o
addirittura del sistema nervoso,
fenomeni che vennero battezzati di “trans-differenziazione” per indicare
appunto la proprietà di saltare da un
cammino differenziativo ad un
altro. E' chiaro come tale scoperta
abbia non solo scosso le stesse
fondamenta delle nostre conoscenze
in merito, ma, come vedremo,
abbia posto le basi per una vivace
controversia circa le possibili
applicazioni delle cellule staminali
umane.
4) Fra le cellule staminali somatiche
occupano un posto particolare le
cellule del cordone ombelicale, che
si possono appunto raccogliere al
momento della nascita e che sono
presenti in gran numero in tale
sede. Questi elementi si sono dimostrati
anzitutto assai efficienti come
progenitori emopoietici e quindi di
possibile impiego nei trapianti per
malattie del sangue, ma sembrano
suscettibili di trasformazione anche
in altri tipi cellulari, per quei
fenomeni di trans-differenziazione prima accennati: si è giunti pertanto
a fondare delle Banche di cellule
staminali di sangue ombelicale, che
vengono conservate per un eventuale
impiego sia nel soggetto stesso di
origine, sia anche per soggetti differenti
che si dimostrino compatibili
in base ai test immunologici.
Un interessante sviluppo si è poi avuto
recentemente in laboratori del nostro
paese con la separazione di cellule
staminali placentari, ottenute anche
queste alla nascita e che sembrano
suscettibili di trasformazione, anche
loro, in una serie di altri tipi cellulari.
Come si vede, abbiamo una vasta
gamma di cellule staminali, sulle quali
si è esercitato l’ingegno dei ricercatori
per i loro possibili impieghi terapeutici.
(Non possiamo qui prendere in
considerazione le cosiddette “cellule
staminali tumorali” che sembrano
capaci di riprodurre e mantenere in
permanenza il tessuto maligno di certe
neoplasie: è chiaro come esse presentino solo un interesse di studio).
Trapianti di cellule staminali emopoietiche
Consolidati
1) emopatie maligne (leucemie, linfomi, ecc.)
2) Malattie congenite da deficit immunitario
3) Anemie aplastiche
4) Talassemie ed anemia a cellule falciformi
Sperimentali
1) Malattie auto-immuni (lupus sistemico, sclerodermia, ecc.)
2) Osteopetrosi congenita
3) Trapianti “in utero” per gravi sindromi genetiche
4) Terapia anti-neoplastica: trapianto-contro-tumore
5) Tentativi di terapia genica (mediante cellule staminali munite di geni appropriati)
Di speciale interesse è il trapianto in utero, reso possibile dai progressi nella diagnosi
pre-natale, che viene prospettato per casi di malattie congenite, nei quali le
cellule da donatore abbiano un vantaggio indiscutibile sulle cellule fetali (ad es. nella
sindrome da severa immuno-deficienza combinata, o SCID); già sperimentato anche in
casi di “osteogenesi imperfetta”. |
* Solo a titolo di curiosità si possono citare
tentativi di trapianto di tessuti, come quelli con
lembi di cute umana, praticati in tempi più
lontani: vedi il famoso episodio descritto da
Winston Churchill, che nel 1898, durante
operazioni belliche nel Sudan, fu indotto a
donare un frammento di cute ad un altro
Ufficiale rimasto ferito; il trapianto ebbe successo
e l’illustre donatore definiva la relativa
cicatrice come il più nobile souvenir della sua
vita…
Applicazioni terapeutiche
Tra le applicazioni delle cellule
staminali in ambito medico bisogna
anzitutto distinguere le forme di
trattamento ormai consolidate dai
tentativi o semplicemente dalle
semplici congetture che si sono moltiplicate
negli anni recenti, creando
imbarazzanti e spesso non giustificate
attese.
Tra le modalità ormai entrate nell’uso
un posto principe è occupato dai
trapianti di cellule staminali emopoietiche,
che vengono utilizzati per una varietà di forme morbose, anche non
ematologiche, e per i quali è ormai
disponibile un’ampia casistica ben
documentata. In questo caso occorre
ovviamente superare la barriera di
isto-compatibilità, vale a dire la struttura
antigenica di ciascun individuo,
barriera che, insuperabile fra individui
non correlati fra di loro, tende a minor
chiusura man mano che aumenta la
somiglianza immunologica fra donatore
e ricevente, ad es. fra consanguinei di
primo grado: il trapianto con massima
capacità di attecchimento è ovviamente
fra gemelli identici.
Tuttavia è in
notevole aumento la frequenza di
trapianti fra individui non consanguinei
grazie alla istituzione di Registri
Internazionali nei quali si raccolgono i
dati immunologici di potenziali
donatori volontari: può quindi
capitare che, per fortunata circostanza,
un paziente trovi un donatore
compatibile in un Paese lontano.
Le fonti di cellule staminali di questo tipo sono sostanzialmente tre: il
midollo osseo, il sangue periferico e,
in misura crescente, le cellule del
cordone ombelicale. In tutti questi
casi le cellule staminali sono una
esigua minoranza in mezzo alle cellule
più mature e devono pertanto essere
selezionate e concentrate in modo da
poter disporre di un numero sufficiente
di staminali stesse: ecco quindi la
necessità di un “arricchimento” del
materiale di partenza: ciò si ottiene
mediante metodiche sofisticate (ad es.
separazione magnetica oppure per
fluorescenza) assai utili per una buona
raccolta. Un ulteriore aiuto si può poi
ottenere amplificando in vitro, per
qualche giorno di coltura, il compartimento
staminale mediante aggiunta di
fattori stimolanti la proliferazione: tale
metodica è particolarmente usata per
il sangue ombelicale, che ovviamente è
disponibile in modesta quantità, ma
che può essere ampiamente arricchito
di cellule staminali con questa
metodica e quindi successivamente impiegato per il trapianto. Numerose
sono le patologie nelle quali si usano
i trapianti emopoietici (vedi tabella 1).
Per brevità, ricordiamo soltanto come
i risultati nel primo gruppo siano assai
confortanti, (ad esempio percentuali
elevate di sopravvivenza dopo 5 anni
nei casi di leucemie acute e mieloide
cronica) mentre per il secondo gruppo
le opinioni non siano uniformi. Nello
specifico, la terapia genica richiede
una particolare cautela, per la possibilità
di provocare effetti indesiderati.
Cellule staminali neurali
Anche in questo campo vi è un
crescente fervore di attività da quando
si sono scoperti i mezzi per selezionare,
amplificare e differenziare le cellule
staminali neurali, ottenute da fonti
diverse sia embrionali, come le cellule
ES prima citate, sia da tessuti adulti
come alcune zone cerebrali ove esse si
annidano di preferenza.
Lavorando su queste basi (e ricordiamo
il notevole contributo di vari ricercatori dell’Università di Milano) si
sono sperimentati gli effetti della
somministrazione di tali cellule in
modelli murini: una interessante osservazione
ha rilevato, fra l’altro, l’importanza
dei contatti fra cellula e cellula,
poiché la semplice immissione di cellule
esogene è capace di promuovere la
proliferazione spontanea di cellule
“endogene” in riposo, moltiplicando
così l’azione riparatrice di strutture
alterate.
Ciò si è visto ad esempio in
modelli animali di una malattia come
la Sclerosi Laterale Amiotrofica, (il
famoso morbo di Gehrig degli atleti)
nella quale si è osservata una ripresa del
numero dei neuroni motori funzionanti.
La ricerca si dirige in direzione di
molte malattie nervose invalidanti,
come la Sclerosi multipla (S.M.), nella
quale l’iniezione di cellule staminali
embrionali in modelli di encefalomielite
autoimmune del topo, un modello
tipico di S.M., provoca un aumento di
quelle cellule deputate alla produzione
di mielina, la guaina protettiva dei neuroni e che viene a mancare in questa
malattia, con i gravissimi sintomi che
ne conseguono.
Di grande interesse
anche le ricerche nel morbo di
Parkinson, caratterizzato da mancanza
di una sostanza, la dopamina, nei
neuroni di certe strutture specifiche e
che si manifesta con i noti sintomi di
rigidità, tremore e instabilità posturale:
già da vari anni si sono compiuti
tentativi terapeutici anche su pazienti
mediante immissione di cellule
contenenti dopamina ottenute da
cervelli fetali, con risultati contrastanti.
Più recentemente ci si è orientati su
cellule embrionali (ed anche di midollo
osseo), da cui per differenziazione in
vitro si possono derivare elementi
dopaminergici che vengono trapiantati
in modelli sperimentali di morbo di
Parkinson: risultati incoraggianti
provengono, ad es., dai laboratori del
Karolinska Institute di Stoccolma.
Un caso speciale di uso di cellule differenziate
derivanti da cellule embrionali
è quello delle cellule retiniche, proposte per il trattamento di una gravissima
malattia dell’occhio, la “degenerazione
maculare” e che sembrano avere il previlegio
di non provocare fenomeni di rigetto.
Figura 1:
Evoluzione dell’embrione fertilizzato nei
primi 5-6 giorni:
il pacchetto cellulare in basso, la
blastocisti, è destinato a svilupparsi in un
individuo completo, mentre le cellule di contorno,
“trofoblasti”, formano il sostegno dell’embrione.
(da: Eridani, Sgaramella e Cova, CYTOTECHNOLOGY,
2004)
Cellule staminali mesenchimali
Numerose sono poi le ricerche in altri
campi, su cui non possiamo soffermarci.
E’ tuttavia impossibile non accennare
ai tentativi di rigenerare fibre muscolari
ed in particolare in quel tessuto muscolare
che è il miocardio: qui il motivo di
interesse è dato anche dal tipo di cellule
che vengono generalmente impiegate,
vale a dire quelle cellule mesenchimali
indifferenziate ottenute da varie fonti
non embrionali quali il midollo osseo e
addirittura il rivestimento dell’arteria
aortica fetale: le ricerche sperimentali
hanno ormai ampiamente dimostrato
come queste cellule, opportunamente
trattate in vitro, possano trasformarsi in
cellule cardiache pulsanti e se ne prospetta
l’uso per la riparazione di lesioni
da infarto miocardico. In ambito
muscolare puro, numerose ricerche sono volte a rigenerare le fibre
distrutte nella Distrofia Muscolare di
Duchenne.
In realtà queste cellule “adulte“ hanno
dimostrato una tale versatilità in coltura
da poterne prospettare l’uso in situazioni
assai diverse: basti pensare che si è
potuto trasformarle, oltre che in cellule
muscolari, in cellule progenitrici
dell’osso, del fegato, del tessuto adiposo,
del tubulo renale e così via. Si apre così
il problema della “plasticità” delle cellule
staminali somatiche, che, sebbene non
possano gareggiare con la versatilità
delle cellule embrionali, sembrano tuttavia
capaci di un impiego molto più
largo di quello sinora immaginato.
Uno sguardo al futuro
Ecco dunque un vastissimo terreno
di indagine futura, con pressanti
interrogativi:
1) In qual misura possiamo servirci di
cellule staminali embrionali, con i
problemi etico-sociali che vengono
sollevati dal loro uso? La legislazione nei vari Paesi varia enormemente,
con differenze che vanno dal divieto
assoluto di ricerca su cellule embrionali
a possibilità di impiego di embrioni
altrimenti inutilizzati fino alla creazione
di cellule embrionali a puro scopo
di ricerca.
2) Fino a che punto si riuscirà a tradurre
in uso pratico la plasticità di cellule
già adulte, ma capaci di differenziarsi?
3) Si riuscirà a sfruttare estesamente le
cellule di tessuti fetali, che per
quanto “somatiche” mantengono
un notevole potenziale evolutivo?
4) È possibile usare senza timori cellule
staminali come “vettori” di terapia
genica, per sostituire geni difettosi o
mancanti?
Ci attendono anni di appassionanti
ricerche per dare un risposta a questi
interrogativi: non per nulla si è
ammesso ad una recente riunione della
FDA americana che le cellule staminali
siano “l’arma terapeutica più complicata
che si possa immaginare”.