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Immagine: Titolo Dimenticare Marghera

Numerose Unità del Dipartimento di Oncologia Sperimentale e Laboratori della Fondazione IRCCS - Istituto Nazionale dei Tumori, sono attualmente impegnate nell’isolamento e caratterizzazione di progenitori/cellule staminali da tumori clinici e linee stabilizzate di carcinomi intestinali, ovarici, mammari, polmonari e da melanomi cutanei. Le conoscenze acquisite rivelano prospettive promettenti per la ricerca oncologica.



Nei tessuti adulti normali, il mantenimento della popolazione cellulare si deve ad una piccola frazione di cellule, le cellule staminali, che si dividono asimmetricamente autorinnovandosi e dando origine a progenitori cellulari che, dopo un numero limitato di divisioni, producono cellule differenziate tessuto-specifiche, non più in grado di dividersi. E’ ampiamente accertato che i tumori sono entità eterogenee per quanto riguarda il potenziale proliferativo, fenotipico e tumorigenico, e recentemente si è dimostrato che esiste, all’interno della massa neoplastica, una frazione numericamente esigua di cellule (1-2% dell’intera popolazione tumorale) che è la sola in grado di rigenerare il tumore in vivo, mentre popolazioni di cellule più differenziate mancano di questa proprietà.

Tali cellule sono simili alle cellule staminali per alcune caratteristiche, quali l’autorinnovamento, lo stato indifferenziato, la multipotenzialità (ovvero la capacità di generare cellule mature appartenenti a diversi stipiti cellulari). In base a queste e ad altre evidenze sperimentali si è così giunti a ritenere che il tumore origini da una cellula staminale adulta, anziché da una qualsiasi cellula somatica, oppure da una cellula che riacquisisce caratteristiche di staminalità, e in tale contesto lo sviluppo della neoplasia viene ad essere considerato un’organogenesi aberrante originata e sostenuta da cellule staminali mutate, denominate cellule staminali tumorali.

La dimostrazione formale della presenza di una frazione di cellule autorinnovantesi che, seppur esigua, è in grado di rigenerare il tumore, si è inizialmente avuta nella leucemia mieloide acuta grazie alla disponibilità di sistemi sperimentali per l’identificazione dei fenotipi caratterizzanti i differenti stipiti cellulari e alla dimostrazione della capacità di ripopolazione delle cellule staminali leucemiche in idonei modelli murini. Recentemente sono state messe a punto condizioni sperimentali per l’isolamento e la propagazione di cellule staminali/progenitori anche nei mielomi e in numerose neoplasie solide.

Utilizzando tecniche impiegate per l’isolamento di cellule staminali da tessuto normali (basate su un approccio prospettico - quale l’isolamento in base all’espressione di marcatori di superficie o alla capacità di escludere il colorante vitale Hoechst 33342, o funzionale – quale la crescita clonale in vitro come sfere non adese) si è così giunti alla dimostrazione dell’esistenza di cellule che presentano alcuni dei caratteri di staminalità nei tumori del sistema nervoso centrale, nei carcinomi della mammella, della prostata, dell’ovaio, del colon, della testa e collo, del polmone, della tiroide e del pancreas, negli epatocarcinomi e nei melanomi maligni. Tali cellule – diversamente dalla popolazione cellulare di origine – presentano un elevato potenziale tumorigenico poiché in grado di dar origine a tumore quando inoculate nell’animale a concentrazioni molto basse.

Si è inoltre dimostrato che la frazione con caratteristiche di staminalità è quantitativamente modesta, e che la restante popolazione cellulare è destinata a differenziamento e senescenza. Mentre cellule staminali normali e tumorali condividono molte caratteristiche molecolari e funzionali, la regolazione dell’autorinnovamento cellulare attraverso i pathways di Wnt, BMI-1, Notch, Hedgehog, operativo e strettamente controllato nelle cellule staminali normali, è del tutto alterata nelle cellule staminali tumorali e la conoscenza delle alterazioni molecolari che lo sostengono (e che già caratterizzano molte neoplasie solide e sistemiche nelle quali assumono spesso un significato prognostico) viene ad essere cruciale per l’identificazione di bersagli molecolari per interventi terapeutici potenzialmente altamente selettivi.

Gli attuali trattamenti, disegnati principalmente contro le cellule proliferanti, sono infatti indirizzati ad una riduzione dell’intera massa tumorale e non necessariamente ad un annientamento della frazione staminale/tumorigenica caratterizzata – per contro – da una elevata espressione di proteine appartenenti alla famiglia dei trasportatori di membrana ABC (che favoriscono l’efflusso cellulare di farmaci e sono coinvolti nella resistenza a farmaci quali paclitaxel, cisplatino, 5-fluoruracilee, mitoxantrone, methotrexate, antracicline, etoposide, alcaloidi della vinca, camptotecine, topotecan, imatinib), da alterazioni nei meccanismi di riparazione del DNA, dalla presenza di fattori citoprotettivi, quali attivazione di telomerasi ed elevata espressione di fattori anti-apoptotici, e da una relativamente modesta velocità di crescita a fronte di un elevato potenziale proliferativo.

Il trattamento, pertanto, malgrado provochi una significativa riduzione della massa tumorale (attualmente considerata indicatore di risposta clinica e, conseguentemente, di sopravvivenza del paziente) può lasciare del tutto inalterata la frazione di cellule staminali tumorali, in grado quindi di proliferare e rigenerare la neoplasia sia a livello locale sia a distanza. Per l’eradicazione del tumore è ipotizzabile sia anche necessario bersagliare direttamente la cellula staminale tumorale/progenitore tumorigenico (Figura 1).

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Figura 1. Efficacia delle terapie antitumorali in relazione alla presenza di
“cellule staminali tumorali”: i trattamenti convenzionali potrebbero ridurre la
massa tumorale senza eradicare le “cellule staminali tumorali”, mentre farmaci
che selettivamente colpiscono queste ultime potrebbero per contro non ridurre significativamente la massa tumorale che tuttavia non è più in grado di rigenerare
il tumore. L’associazione tra le due strategie terapeutiche potrebbe fornire i
risultati migliori per l’eradicazione della malattia.


A tale scopo sono in corso studi per identificare le alterazioni molecolari che sostengono in maniera funzionalmente non ridondante l’autorinnovamento delle cellule ad elevato potenziale tumorigenico e per disegnare e validare a livello preclinico molecole che interferiscano su tali bersagli molecolari. Per quanto riguarda la cellula staminale della ghiandola mammaria, recenti evidenze depongono per una sua negatività recettoriale e per la presenza di recettori per estrogeni (ER) nei progenitori e nelle cellule più differenziate.

Il momento dello stadio di differenziamento del lineage cellulare al quale corrisponde la trasformazione neoplastica viene ad essere determinante per la storia clinica della neoplasia (Figura 2).

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Figura 2. Relazione tra stadio di differenziamento del lineage cellulare e tipologia
del tumore.


Infatti, se la trasformazione neoplastica insorge nella cellula staminale, senza recettori per estrogeni, è verosimile che il tumore sarà di tipo basale, indifferenziato, a prognosi sfavorevole e poco responsivo alle terapie ormonali.

Per contro, un tumore generato da cellule ben differenziate, apparterrà verosimilmente al sottotipo luminale A, caratterizzato da buona prognosi ed elevata probabilità di risposta al trattamento ormonale. Ovviamente, al progenitore parzialmente differenziato corrisponderà un tumore con un comportamento clinico e biologico estremamente eterogeneo.

Sono attualmente disponibili le prime evidenze sperimentali che dimostrano l’efficacia di nuovi agenti terapeutici sull’autorinnovamento di cellule staminali/ progenitori normali. Tuttavia, lo stato attuale delle conoscenze depone per una situazione decisamente più complessa di quanto non appaia dagli incoraggianti risultati preliminari, a livello dell’identificazione sia di marcatori di staminalità, sia di nuovi bersagli per farmaci innovativi, sia di un modello peculiare per studiare in vitro/in vivo nuove modalità terapeutiche.

Infatti, come ottimamente messo in evidenza in uno Special Workshop Report recentemente pubblicato nel 2006 su Cancer Research (Clarke MF, et al. Cancer Res 2006;66:9339-44):

1. la definizione di cellula tumorale staminale è squisitamente operativa (cellula in grado di autorinnovarsi e dar luogo a stipiti cellulari differenti, in grado di rigenerare continuativamente un tumore);

2. l’isolamento e la propagazione di cellule staminali/progenitori è estremamente difficile – in mancanza di marcatori che chiaramente identificano la staminalità come nel caso di leucemie e tumori cerebrali – nei tumori solidi e si basa essenzialmente su saggi funzionali in vivo e su condizioni sperimentali non propriamente fisiologiche;

3. la crescita in vivo richiede una complessa standardizzazione e tempi di crescita molto lunghi, ovvero condizioni difficilmente utilizzabili per uno screening farmacologico su larga scala;

4. per contro, un saggio in vitro deve essere
a) standardizzato e riproducibile,
b) quantitativo,
c) altamente specifico,
d) sufficientemente sensibile,
e) rapido.

Oltre a queste condizioni, ancora largamente da mettere realmente a punto nella pratica di laboratorio, restano ancora molti quesiti, sia speculativi sia tecnici, a cui rispondere prima di poter valutare quanto le conoscenze sulla biologia delle cellule staminali/progenitori di cellule tumorali possano contribuire ad una diagnosi precoce, ad una miglior risoluzione prognostica e allo sviluppo di molecole mirate contro alterazioni molecolari associate alla staminalità tumorale. Tuttavia, le più recenti pubblicazioni aventi come oggetto informazioni acquisite dalla caratterizzazione molecolare e dal profilo di radiosensibilità di cellule staminali/progenitori isolate da tumori clinici così come da linee cellulari stabilizzate da carcinoma mammario, avallano una possibile applicabilità clinica a medio termine di questo modello sperimentale.

Infatti, il profilo di espressione genica derivato da cellule con caratteristiche di staminalità isolate da 6 tumori clinici, seppur indicativo di alterazioni nei geni di invasività piuttosto che in quelli coinvolti nell’autorinnovamento, si dimostra predittore di sopravvivenza globale e libera da malattia non solo su casistiche di carcinoma mammario, ma anche su neoplasie di differente istologia, quali il carcinoma polmonare e prostatico e il medulloblastoma.

Inoltre, esistono preliminari dimostrazioni formali, ottenute da mammosfere propagate in vitro, che tali cellule sono relativamente più radioresistenti della popolazione da cui sono state isolate, ma mostrano una spiccata sensibilità a farmaci contro specifici bersagli molecolari. Questa linea di ricerca è oggetto di studio da parte di numerose Unità del Dipartimento di Oncologia Sperimentale e Laboratori della Fondazione IRCCS - Istituto Nazionale dei Tumori, attualmente impegnate nell’isolamento e caratterizzazione di progenitori/ cellule staminali da tumori clinici e linee stabilizzate di carcinomi intestinali, ovarici, mammari, polmonari e da melanomi cutanei.

Le conoscenze acquisite dai diversi gruppi nel corso dell’ultimo triennio hanno confermato la possibilità di isolare cellule ad elevato potenziale tumorigenico da tumori clinici e linee stabilizzate e di caratterizzarne la sensibilità a farmaci anche innovativi, mettendo per contro in evidenza l’estrema criticità e instabilità del modello sperimentale e la necessità di un suo continuo monitoraggio, anche a livello genetico.