UNA GRANDE SFIDA

art4Ad oggi sono circa 1380 e 780 rispettivamente i bambini e gli adolescenti che ogni anno in Italia si ammalano di tumore maligno. L’obiettivo della ricerca è riuscire a sviluppare strategie terapeutiche innovative e di qualità, sicure ed efficaci.
Intervista a Franca Fagioli - Direttore Oncoematologia Ospedale Infantile Regina Margherita di Torino

Le patologie più frequenti nei bambini (0-14 anni) sono le leucemie, seguite da tumori cerebrali, linfomi, neuroblastomi, sarcomi, tumori ossei e renali; negli adolescenti (15-19 anni) i linfomi di Hodgkin, seguiti da carcinomi della tiroide, leucemie, tumori a cellule germinali, linfomi non-Hodgkin, melanomi, tumori cerebrali, sarcomi delle parti molli, tumori ossei, tumori renali e tumori epatici. Grazie alla ricerca biologica e clinica e all’uso di protocolli cooperativi nazionali ed internazionali sempre più efficaci, la probabilità di guarigione in oncoematologia pediatrica, che negli anni ’70 era inferiore al 40%, supera attualmente l’80%.

La cura della Leucemia Linfoblastica Acuta ne è esempio paradigmatico in quanto rappresenta uno dei più importanti successi della ricerca scientifica medica. Un ruolo fondamentale è da attribuire alla definizione della “malattia minima residua” quale criterio per modificare la chemioterapia in termini di aumento o diminuzione sulla base della risposta alla terapia. Questo innovativo approccio terapeutico “personalizzato” nella cura della LLA ha permesso non solo di migliorare i risultati del trattamento, ma anche di minimizzare il rischio di mortalità, morbidità e di effetti a lungo termine.

Sebbene i continui notevoli progressi in campo medico, organizzativo e assistenziale siano ben evidenti, rimane ancora una grande sfida da affrontare: diminuire ulteriormente il numero dei pazienti che non riesce a guarire e ridurre gli effetti secondari delle terapie in uso; infatti ancor oggi circa il 20% dei bambini con diagnosi di neoplasia muore a causa della malattia e circa il 40% dei guariti presenta effetti tardivi.


Qual è l’obiettivo della ricerca scientifica?
L’obiettivo della ricerca è riuscire a sviluppare strategie terapeutiche innovative e di qualità, sicure ed efficaci e di aumentarne l’accesso ai pazienti pediatrici con recidiva multipla di malattia: oggi infatti in Europa si stima che meno del 10% di questi pazienti abbia accesso a nuovi farmaci. Attualmente stiamo attraversando un’era caratterizzata dal fervido sviluppo di nuove molecole, guidata dalle più recenti conoscenze sulle basi molecolari della patologia tumorale e sempre più indirizzata a colpire selettivamente i più rilevanti targets intra/extracellulari. È infatti fondamentale approfondire gli aspetti bio-molecolari (genomici, proteomici, metabolomici) caratteristici dei tumori pediatrici per poter sviluppare nuove strategie terapeutiche, mirate a colpire uno specifico meccanismo d’azione (MoA) o alterazioni caratteristiche di ogni singolo paziente in modo da utilizzare terapie sempre più personalizzate.


Quali sono oggi le terapie più innovative?
Tra i nuovi farmaci l’immunoterapia costituisce sicuramente una prospettiva promettente e con un profilo di tossicità ridotto. Le cellule indotte da citochine (CytokineInduced Killer, CIK), ovvero linfociti T espansi in laboratorio e caratterizzati da un’intensa attività antitumorale, rappresentano un’innovativa strategia nell’ambito dell’immunoterapia oncologica. Anche la terapia genica CAR-T (acronimo di Chimeric antigen receptor T cell) rappresenta una delle strategie più innovative e promettenti nel trattamento di patologie oncologiche in adulti e bambini ed è oggetto di numerose sperimentazioni in tutto il mondo, i cui risultati hanno portato pochi mesi fa la Food and Drug Administration (FDA) ad approvare il primo farmaco a base di CAR-T sviluppato dall’industria farmaceutica. Si tratta di un meccanismo terapeutico che ha dimostrato straordinaria potenza antineoplastica, ma anche alcuni problemi di tossicità. I linfociti del paziente vengono modificati affinché una volta re-infusi diventino veri e propri killer anti-tumorali trasformandosi così in una sorta di farmaco immunologico personalizzato. Sono terapie che attualmente vengono utilizzate in stati avanzati di malattie e che devono essere somministrati in reparti molto attrezzati e con grande esperienza perché la grande potenza e velocità di azione dei linfociti T re-infusi può creare reazioni severe nell’organismo dei pazienti.

Di fondamentale importanza è anche sostenere lo sviluppo e l’accessibilità ai nuovi farmaci in ambito pediatrico attraverso un lavoro che si sviluppa su diversi fronti: da un lato risolvendo le problematiche ancora esistenti in ambito regolatorio e dall’altro implementando aspetti più propriamente legati alla ricerca clinica grazie a investimenti nella biologia e nella ricerca preclinica, all’utilizzo di disegni di studio innovativi, nonché all’ideazione e alla messa in atto di nuovi modelli di cooperazione.


La Struttura Complessa di Oncologia Pediatrica del Presidio Infantile Regina Margherita, AOU Città della Salute e della Scienza Torino è una realtà di eccellenza ormai riconosciuta a livello nazionale ed internazionale. Come opera e come è composta?
Il servizio tratta circa 150 pazienti ogni anno e fornisce assistenza oncologica lungo il percorso della malattia dalla diagnosi alla transizione ai centri dell’adulto e funge da centro di riferimento per il trattamento e la cura dei pazienti provenienti dal Piemonte e dalla Valle d'Aosta. La diagnosi e il trattamento vengono effettuati in base a protocolli nazionali e internazionali in collaborazione con l'Unità di Ricerca e Sperimentazione Clinica (URSC) che coordina più di 60 sperimentazioni cliniche sperimentali dalla Fase I alla Fase III in diverse aree, quali: malattie infantili onco-ematologiche, trapianto di cellule staminali ematopoietiche, terapia cellulare, malattie metaboliche rare e terapia di supporto. L’URSC ha ottenuto la certificazione richiesta dall'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) per condurre gli studi clinici di Fase I. La Struttura è composta oltre che dall’URSC e dalla Cell Factory che si occupa della medicina rigenerativa, da un Ambulatorio, un Day Hospital, un Centro Trapianti Cellule Staminali e un Reparto di degenza che ospita i pazienti e le loro famiglie costretti a lunghe ospedalizzazioni e trattamenti intensivi. Particolare attenzione è rivolta alla qualità dell’ambiente delle diverse Unità, che è uno degli elementi fondamentali per ridurre o prevenire il trauma da ricovero del bambino.


Il trapianto di midollo osseo: quali sono le patologie trattate e di che intervento si tratta?
Il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche è una strategia terapeutica complessa che consiste nella sostituzione del tessuto da cui originano tutte le componenti cellulari del sangue (globuli bianchi, globuli rossi e piastrine) di un paziente con lo stesso tessuto prelevato da un donatore sano; l'obiettivo è quello di trattare disordini a carattere sia oncologico sia genetico che interessano l’apparato ematopoietico ed immunitario come leucemie, linfomi, difetti di sintesi dell’emoglobina, immunodeficienze e patologie autoimmuni. Al fine di realizzare questa procedura il soggetto nei giorni precedenti il trapianto riceve un trattamento chemio e radioterapico finalizzato all’eliminazione del proprio sistema emopoietico malato che viene chiamato regime di condizionamento. Il trapianto vero e proprio consiste nell’infusione endovenosa delle cellule staminali ematopoietiche prelevate, o direttamente dal midollo osseo mediante aspirazione o dal sangue periferico mediante una procedura chiamata staminoaferesi, dal donatore al ricevente. In entrambi i casi la donazione non comporta un deterioramento della funzione emopoietica per il donatore in quanto il tessuto emopoietico possiede la capacità di rigenerarsi autonomamente in tempi abbastanza brevi. Una terza opzione di trapianto è rappresentata dall’infusione di un’unità di sangue di cordone ombelicale precedentemente congelata e stoccata presso apposite banche; quest’ultima, contenendo anch’essa un elevato numero di cellule staminali ematopoietiche, rappresenta una fonte alternativa di cellule staminali ematopoietiche. La selezione del donatore o dell’unità di sangue cordonale avviene andando a valutare la compatibilità immunologica determinata su base genetica con il ricevente; per questo vengono dapprima studiati come potenziali donatori i fratelli del paziente, che sono coloro che possono presentare il maggior grado di compatibilità, e successivamente interrogate le banche dati che raccolgono i donatori volontari non consaguinei.


Come si evita la malattia da rigetto?
A ridosso dell’infusione delle cellule staminali ematopoietiche il ricevente inizia una terapia con farmaci immunosoppressori al fine di ridurre il rischio che le cellule del donatore, una volta trasferite all’interno del suo organismo, diano luogo a quella reazione che consiste nell’aggressione da parte del sistema immunitario del donatore nei confronti degli organi del ricevente, che viene comunemente chiamata malattia da trapianto contro l’ospite o graft verus host disease (GvHD). Una volta che le cellule del donatore vengono infuse nel ricevente, attraverso la circolazione raggiungono le cavità del midollo osseo e lì dopo circa 2-3 settimane iniziano a proliferare permettendo al soggetto di recuperare la capacità di produrre le cellule del sangue. Successivamente, per un arco temporale variabile ma che si estende per alcuni mesi, il paziente prosegue la terapia immunosoppressiva, che viene sospesa una volta stabilito uno stato di pacifica convivenza fra cellule del donatore e cellule del ricevente; il paziente gradualmente riprende una vita normale proseguendo solo controlli finalizzati al monitoraggio della patologia di base e alle possibili tossicità tardive determinate dalle terapie praticate.


Come si concretizza il programma di cooperazione internazionale con ATMO?
Presso la Struttura Complessa di Oncologia Pediatrica del Presidio Infantile Regina Margherita della AOU Città della Salute e della Scienza di Torino dal 2006, anno in cui è iniziata la collaborazione con ATMO, ad oggi sono stati complessivamente accolti 100 pazienti (83 hanno effettuato un trapianto di cellule staminali emopoietiche, 13 non avevano indicazione a trapianto per differenti motivi, ma sono stati comunque presi in carico e 4 sono in fase di valutazione di idoneità al trapianto). I primi pazienti risultavano perlopiù affetti da patologie oncologiche mentre successivamente sono stati anche accolti pazienti affetti da patologie congenite (anemie congenite, emoglobinopatie, immunodeficienze) curabili mediante trapianto. Inoltre, sempre grazie alla collaborazione di ATMO con l’equipe trapiantologica diretta dal prof. Salizzoni (SC Chirurgia Generale II, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino) nella primavera del 2015 è stato possibile eseguire il primo caso al mondo di trapianto di fegato seguito da trapianto di midollo osseo per un paziente affetto da una patologia interessante entrambi gli organi. Ma offrire una concreta speranza di guarigione a queste famiglie non sarebbe possibile senza il grande lavoro di tutti: volontari, mediatori culturali, educatori e insegnanti, oltre a tutti coloro che fanno parte dell’equipe sanitaria.



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