Sulla Gazzetta Ufficiale del
9 maggio 2006 è stata pubblicata l’ordinanza del Ministero
della Salute che regola la conservazione delle cellule
staminali da cordone ombelicale. Il provvedimento “vieta
l’istituzione di banche per la conservazione di sangue
da cordone ombelicale presso strutture sanitarie private
anche accreditate ed ogni forma di pubblicità alle stesse
connesse”.
Nel contempo apre alla conservazione “per uso autologo
o dedicato a consanguineo con patologia in atto, ove si
renda necessario, è consentita previa presentazione di
motivata documentazione clinico-sanitaria, e non comporta
oneri a carico del donatore”. Se quest’ultima apertura
è un passo in avanti rispetto alla totale chiusura che
vigeva fino ad oggi, i limiti di questo provvedimento
sono tali e tanti, che crediamo sia giunto il momento
di prendere in seria considerazione la sua abrogazione
in toto, sia di questa apertura all’autologa che del divieto
per le banche private.
Perché abrogare il tutto?
1 - L’apertura
all’uso autologo, così come decisa, è un grosso limite
alle innovazioni della ricerca scientifica: un settore
in continua evoluzione che potrebbe scoprire altri usi
di questo sangue per altre patologie, non indicate nelle
motivazioni del deposito autologo; oppure il deposito
autologo non sarebbe deciso perché non ancora conosciuto
l’uso per patologie non considerate guaribili in quel
momento.
2 - il
divieto per le banche private, visto il flop registrato
in questi anni da quelle pubbliche (donare il sangue del
cordone è una sorta di impresa titanica in non poche regioni
italiane), significa solo impedire di fatto la diffusione
di questa pratica, a maggior ragione dopo che siamo usciti
da quella situazione precedente che consentiva solo la
donazione “altruista” (il che fa presupporre una maggiore
disponibilità alla conservazione da parte delle partorienti).
Quello che chiediamo non è una decisione stellare, ma
ciò che di fatto succede già in diversi Paesi Ue, negli
Usa e nel resto del mondo. Si tratta solo di decidere
se questa concreta possibilità di curare malattie genetiche
altrimenti impossibili, debba continuare ad essere solo
un tentativo da esperire in strutture ospedaliere al di
fuori dei nostri confini nazionali, oppure una buona possibilità
per usare cervelli e strutture italiane che ne sarebbero
benissimo all’altezza.
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A
cura di: |
Vincenzo Donvito Presidente dell’Aduc
Associazione per i diritti degli Utenti e Consumatori
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