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Se ci rendiamo conto che le strategie di intervento per la perdita di peso non sono facili né da insegnare né da imparare, dobbiamo concentrare molto la nostra attenzione sulle strategie di intervento per la prevenzione del sovrappeso e dell’obesità, che come è intuitivo devono essere rivolte primariamente alla popolazione dell’età evolutiva. La prevenzione dell’obesità degli adulti comincia quindi con la prevenzione dell’obesità infantile.
Al contrario di quanto si credeva in passato, l’obesità è una vera e propria malattia. L’organo adiposo, costituito da vari tipi di tessuti adiposi e di cellule di sostegno, diventa vittima dell’eccessivo accumulo di grassi al suo interno e questo provoca una serie di reazioni biologiche che creano delle complicanze, anche gravi, in altri organi ed apparati. Ad ulteriore conferma del fatto che ci troviamo di fronte ad una malattia occorre ricordare che il grado di obesità si definisce grazie all’uso dell’Indice di Massa Corporea (IMC), che si calcola dividendo il peso corporeo espresso in Kg per l’altezza espressa in metri al quadrato (IMC = Kg/m2). Le soglie di normalità <25, di sovrappeso tra 25 e 30 e di obesità >30 sono state definite attraverso l’aumento di mortalità di una popolazione generale per quelle fasce di IMC. Da questo emerge chiaramente come l’obesità sia una vera e propria malattia che, con l’aumentare della sua gravità (cioè l’aumento dei valori di IMC) produce delle gravi complicanze che riducono la qualità e la quantità della vita nei soggetti affetti.

Entrando, quindi, nel merito delle cause che producono questa malattia vi è subito da dire che queste sono molteplici e complesse: da una parte possono esistere delle alterazioni dei sistemi cerebrali di regolazione della fame e della sazietà, mentre dall’altra si osservano delle modificazioni dei meccanismi responsabili della dispersione del calore e del consumo di energia.

Per ambedue le componenti della malattia le alterazioni hanno sempre una base genetica, ma spesso da sola questa non basta ed occorre che modificazioni dello stile di vita concorrano in manie“ ra importante allo sviluppo della malattia.
Riducendo la cosa in termini molto semplici possiamo dire che iperalimentazione e sedentarietà concorrono in pari misura a generare la malattia in soggetti geneticamente predisposti.

Sulla base di queste premesse è evidente che i modelli di intervento dovranno essere contemporaneamente focalizzati sia alla lotta alla sedentarietà che alla rieducazione nutrizionale. Tradizionalmente la medicina ufficiale ha affrontato il problema del dimagrimento focalizzando l’attenzione sugli aspetti alimentari e sono stati sviluppati vari tipi di approcci dietetici che, in turno, hanno prospettato dei risultati miracolistici, ma che si sono dimostrati efficaci solo nel breve o medio termine. La prescrizione di una restrizione alimentare di per sé, senza una reale aderenza del paziente al programma, propone un modello di sacrifici e rinunce che il paziente in realtà non accetta e questo lo porta all’abbandono del regime alimentare proposto per tornare alle precedenti abitudini alimentari. Inevitabilmente il paziente riprende il peso perduto e spesso si ritrova anche più grasso di quanto non fosse prima dell’inizio della dieta. Il ripetere più volte questi cicli di inibizione – disinibizione porta alla così detta “Sindrome da oscillazione del peso”, comunemente chiamata effetto yo-yo, che genera dei reali danni all’organismo.

Il primo è rappresentato dalla diminuzione della massa magra (prevalentemente la massa muscolare) in quanto, quando si ingrassa aumenta la massa grassa e quando si dimagrisce solo per effetto di una restrizione alimentare si perde sia muscolo che grasso; quando poi si ingrassa nuovamente aumenta solo la massa grassa: ne consegue che un paziente con Sindrome da oscillazione del peso si ritroverà alla fine dei vari cicli con molta più massa grassa e molto meno tessuto muscolare.

La conseguenza di questa carenza di muscolo si traduce in una riduzione del metabolismo perché il muscolo è la principale sede del consumo energetico. L’altro aspetto negativo dell’effetto yo-yo è costituito dal fatto che i pazienti si confrontano con la inutilità di questi interventi e sviluppano una sensazione di auto-inefficacia e di fallimentarità, che sono i presupposti di uno stato di infelicità cronica, la quale a sua volta può portare alla depressione. Sulla base di questi risultati siamo arrivati alla conclusione che un programma di perdita di peso si deve basare principalmente su un potenziamento dell’attività fisica dei pazienti obesi che generalmente sono di indole molto sedentaria. Non bisogna quindi limitarsi a dare delle indicazioni generiche sul tipo di esercizio da fare, ma occorre entrare nel dettaglio delle decisioni che il paziente deve prendere, aiutandolo a fare delle scelte che tengano conto della disponibilità di tempo, della disponibilità economica e degli aspetti di socialità e piacevolezza.

L’esercizio fisico deve essere di tipo aerobico, cioè non così intenso da provocare un affanno che costringa la persona a fermarsi, di lunga durata (40-60 minuti) e ripetuto almeno 4-5 volte alla settimana, meglio se tutti i giorni. Così facendo si seleziona quella classe di fibre muscolari a più elevato metabolismo che permettono di indurre una perdita di peso più sostanziosa. All’esercizio fisico deve essere associata una dieta moderatamente ipocalorica, bilanciata, che ricalchi lo schema della dieta mediterranea, quindi occorre fare uso abbondante di verdura e frutta, scegliere porzioni contenute di pane, pasta ed analoghi carboidrati complessi, ma preferibilmente integrali, prediligere pesce e legumi, fare uso moderato di carni bianche, latte e yogurt quotidianamente, condire con poco olio di oliva a crudo.

Le carni rosse, i formaggi stagionati ed i salumi devono essere consumati sporadicamente, così come il burro, i dolci e gli alcolici. È evidente che più attività fisica riusciamo a fare e minore sarà l’entità della restrizione calorica necessaria; in questo modo si aumenta il livello di piacevolezza dell’intervento e sarà più probabile che il paziente cambi il proprio stile di vita in maniera permanente, sottraendosi all’effetto yo-yo. Bisogna peraltro ricordare che le tecniche per aiutare il paziente a mantenere la motivazione sono complesse e richiedono molto tempo e dedizione, assieme ad una preparazione specifica da parte dell’operatore. Se ci rendiamo conto che le strategie di intervento per la perdita di peso non sono facili né da insegnare né da imparare, dobbiamo perciò concentrare molto la nostra attenzione sulle strategie di intervento per la prevenzione del sovrappeso e dell’obesità, che come è intuitivo devono essere rivolte primariamente alla popolazione dell’età evolutiva.

I bambini devono stare meno ore davanti alla televisione, devono dedicare meno tempo ai videogiochi, mentre devono praticare tutti i giorni un’attività sportiva per almeno un’ora, meglio se due. Le stesse regole qualitative per l’alimentazione che sono state descritte per gli adulti valgono ovviamente anche per i bambini, con l’ulteriore raccomandazione di evitare snacks sia dolci che salati, perché ricchi di acidi grassi saturi che sono nocivi alla salute. La prevenzione dell’obesità degli adulti comincia dunque con la prevenzione dell’obesità infantile, ma soggetti incaricati della educazione all’incremento dell’attività fisica e della corretta alimentazione devono essere in primo luogo i genitori, che sono i primi educatori, e solo in seconda battuta gli insegnanti, che devono prendere su di sé dei compiti educativi più globali. È evidente che i medici esperti del settore possono svolgere solo un ruolo di consulenti della fase educativa in quanto le decisioni tecniche ed organizzative sono primariamente politiche. In conclusione la prevenzione e la terapia dell’obesità è sicuramente non facile e costosa dal punto di vista sociale e sanitario, ma ridurre la prevalenza dell’obesità nella popolazione del futuro consentirà dei risparmi notevoli al sistema sanitario, perché le complicanze dell’obesità sono molteplici, gravi ed invalidanti.






 
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A cura di

Di Carlo Maria Rotella
Presidente Società Italiana dell’Obesità – Professore Ordinario di Eudocrinologia dell’Università di Firenze


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