Se una persona è costretta
a stare immobile a letto o seduta per un periodo prolungato,
inevitabilmente il suo organismo ne soffre.
Il corpo umano, infatti, è continuamente in movimento:
in qualsiasi situazione, anche quando stiamo apparentemente
fermi, piccoli spostamenti di posizione permettono di
variare i punti su cui ci appoggiamo, trasferendo il peso
del corpo da una parte all’altra della nostra superficie
corporea.
Se stiamo – per una qualsiasi ragione- immobili
per lungo tempo, complicazioni frequenti sono quelle respiratorie
e vascolari, ma sono le complicazioni cutanee e dei tessuti
molli sottocutanei a rappresentare il fenomeno più
evidente e, spesso, più grave.
Nei punti del corpo sottoposti
ad una elevata compressione prolungata compaiono con una
velocità a volte sorprendente (poche ore, lo spazio
di una sola notte) arrossamenti, vescicole, abrasioni
che si trasformano in brevissimo tempo in vere e proprie
spaccature della pelle e dei tessuti sottostanti (muscoli,
grasso) sino ad intaccare persino la parte ossea: le “PIAGHE
DA DECUBITO”.
Chi ha avuto un’esperienza diretta di questa gravissima
patologia conosce quanto repentino e drammatico possa
essere l’instaurarsi di una piaga in una persona
allettata e quanto difficile sia il processo di guarigione:
in poche settimane, a volte in una manciata di giorni,
un semplice, apparentemente innocuo ma subdolo arrossamento
persistente, che non scompare se si esercita una debole
compressione con un dito, diventa una ferita inarrestabile
nel suo ampliarsi e conquista zone sempre più vaste
e più profonde senza che alcun intervento sembri
avere efficacia.
Il sentimento di impotenza che origina una piaga da decubito
è tale che essa è stata, da sempre, considerata
“sentinella della morte”: “…ormai
è alla fine, gli sono già venute le piaghe…”.
Ora sappiamo bene che non è così e sappiamo
che una “piaga da decubito”, lungi dall’essere
un’ineluttabile segnale dell’aggravarsi di
una patologia, nella grande maggioranza dei casi è
il sintomo vergognoso di colpevole ignoranza e di inadeguata
assistenza di una persona “a rischio” perché,
nella grande maggioranza dei casi, le piaghe da decubito
possono essere efficacemente prevenute.
Sappiamo anche che la piaga, spesso, non rappresenta solo
il segno dell’aggravamento, ma ne è o ne
diviene la causa stessa; è una ferita aperta attraverso
la quale il paziente perde in continuazione sostanze vitali
e che permette l’ingresso di germi ed agenti patogeni
che, in una reazione a catena, provocano infezioni, setticemia,
depauperamento generale sino alla morte: in una persona
affetta da piaghe da decubito il tempo di degenza ospedaliera
aumenta da quattro a sei volte ed il rischio di mortalità
aumenta sino a quattro volte, tanto che essa è
stata definita “una delle più gravi complicanze
che possono colpire il paziente anziano, generalmente
quando è allettato”.
Sappiamo che non è una “malattia rara”
ma che, in assenza di adeguati interventi e comportamenti
preventivi, l’incidenza di piaghe da decubito in
pazienti genericamente a rischio si attesta intorno al
30/35% ma sappiamo anche che interventi e comportamenti
preventivi, apparentemente semplici ma consapevolmente
e puntualmente attuati possono far scendere tale incidenza
al di sotto del 3%.
Perché allora una patologia così devastante
e che è relativamente facile prevedere e prevenire
è ancora così drammaticamente presente nelle
persone costrette, in ospedale o a casa, ad un allettamento
prolungato?
Forse perché viene così intimamente ed intuitivamente
collegata ad inadeguatezza dell’assistenza che,
rappresentando quasi una testimonianza del fallimento,
viene istintivamente coperta da un velo di reticenza che
tende, quasi, a nasconderne l’esistenza.
La conoscenza di come e perché si sviluppa una
lesione da decubito, di come e perché è
possibile ed importante prevenirla, di come affrontarne
il trattamento è il primo strumento per aiutare
tanto le persone a rischio quanto chi assiste quotidianamente
una persona con problemi di immobilità, creando
contemporaneamente nei possibili fruitori degli ausili
di prevenzione una curiosa, competente e vigile attenzione.
Si tratta di un segmento di mercato, infatti, ancora molto
immaturo, nel quale le proposte più fantasiose,
anche se non efficaci, possono trovare (e trovano) spazio
incontrastato.
Cosa sono le lesioni da decubito e perché
si formano?
Per spiegare più facilmente il meccanismo di formazione
delle lesioni da decubito è importante parlare
dell’organo che viene per primo colpito da questa
patologia: la pelle.
É l’organo più grande del nostro corpo
e svolge molte importanti funzioni: provvede al mantenimento
della temperatura del nostro corpo ed è una valida
barriera per germi e liquidi.
La pelle è attraversata in ogni punto da vasi sanguigni
piccolissimi, arteriosi e venosi.
Il sangue che arriva attraverso quelli arteriosi porta
ossigeno e nutrimento alle cellule che compongono la pelle,
mentre il sangue che ritorna al cuore, attraverso i vasi
venosi, porta con sé tutte le scorie.
Anche il più piccolo tratto della pelle ha bisogno
di questo equilibrio, altrimenti si mette a repentaglio
la vita stessa delle cellule.
E lo stesso bisogno esiste a livello dei tessuti che si
trovano tra la pelle e l’osso, i muscoli e il grasso.
Quando una persona resta troppo a lungo nella stessa posizione,
la pressione che viene esercitata dalle prominenze ossee
sulla pelle e sulle parti molli ostacola la circolazione
del sangue; ciò provocherà una mancanza
di ossigeno e di nutrimento ed un accumulo di scorie nelle
cellule.
Questa situazione può portare in breve tempo alla
loro morte, che si manifesta con la formazione di spaccature
e lesioni sempre più profonde ed estese se non
viene velocemente rimossa la causa che le ha provocate.
Più la pressione si prolungherà nel tempo,
dunque, più la lesione sarà vasta e profonda.
A volte queste lesioni vengono definite “crateri”
proprio per la loro profondità e ampiezza. Sono
spesso dolorose ed impiegano solo poche ore a formarsi
ma necessitano mesi di trattamento intensivo per guarire.
Più una persona sarà debilitata e malnutrita,
più sarà facile che le lesioni si formino.
Più sarà limitata la mobilizzazione, più
aumenteranno i rischi.
Come possiamo allora evitare tutto ciò? Prima di tutto evitare che la compressione che
viene esercitata sulla parte del corpo che si appoggia
al materasso o al sedile, per esempio, sia elevata o venga
mantenuta per un periodo prolungato sempre sullo stesso
punto.
Quindi il primo, più importante atto di prevenzione
deve consistere nel ridurre l’intensità e
la durata della compressione.
Come?
Facendo appoggiare la persona su un supporto morbido,
in cui le parti del corpo affondino senza mai essere compresse,
permettendo così sempre una buona circolazione
del sangue e facendo in modo che la posizione (e di conseguenza
i punti di appoggio) venga cambiata il più frequentemente
possibile. Inoltre, è importante mantenere la pelle
asciutta, pulita e ben idratata, perché sia in
grado di reagire positivamente alle eventuali aggressioni.
Anche una nutrizione adeguata, che mantenga tutti i tessuti
(muscoli e pelle) tonici ed elastici e fornisca le sostanze
adeguate a mantenere vitali le capacità di difesa,
è un aiuto molto importante.
1. Diminuire l’intensità e la durata della
pressione
2. Aumentare il movimento
3. Mantenere la pelle pulita e idratata
4. Nutrire adeguatamente il paziente.
Come valutare il rischio che corre il paziente?
Non tutte le persone, anche se costrette a letto o su
una sedia per un periodo prolungato, hanno lo stesso livello
di rischio.
È facile immaginare che una persona in stato di
incoscienza, e quindi incapace di percepire il disagio
o il dolore provocato su una parte del corpo da una compressione
elevata o protrattasi troppo a lungo, avrà un rischio
maggiore di una persona vigile; così come il rischio
sarà più alto nei pazienti con una mancanza
di sensibilità di una parte del corpo, come ad
esempio nei casi di lesioni midollari, o in persone assolutamente
incapaci di muoversi autonomamente.
Riportiamo qui una traccia molto diffusa per una facile
valutazione, che ci può aiutare a capire quali
rischi corre il paziente che stiamo assistendo.
Se il punteggio ottenuto sommando le singole valutazioni
è maggiore di 16, il Paziente è a basso
rischio.
Se il punteggio è fra 16 e 12, il paziente è
a medio rischio.
Se il punteggio è minore di 12, il paziente è
ad alto rischio.
Per esempio:
assistiamo un paziente in buone condizioni fisiche (4
punti), che però è apatico (3 punti), costretto
a letto (1 punto), con una mobilizzazione molto limitata
(2 punti) e un’incontinenza doppia (1 punto); sommando
il punteggio otteniamo 11.
Questo significa che stiamo assistendo un paziente ad
alto rischio di sviluppare lesioni da decubito.
1. Diminuire l’intensità e la durata
della pressione.
Le “superfici o supporti” – materassi
e cuscini, gli oggetti cioè su cui il corpo si
appoggia – possono essere la causa di lesioni quando
inadeguati o il più efficace strumento di prevenzione
quando adatti.
“Le superfici di supporto rappresentano lo strumento
terapeutico più importante per il controllo della
prevenzione. Oltre a ridurre la pressione, esse riducono
anche le forze di frizione e di taglio, controllano l’umidità
e inibiscono la crescita batteriologica. Queste superfici
[...] sono in grado di accelerare il processo cicatriziale
delle ulcere da pressione, e di prevenire l’insorgere
di nuove lesioni”.
Questo è quanto viene affermato dall’AISLEC,
una delle più importanti associazioni italiane
che si occupa di lesione da decubito.
Primo mezzo per prevenire l’insorgere delle piaghe
è, quindi, un materasso o un cuscino in cui il
corpo affondi bene, in modo da distribuire il peso su
una superficie più ampia possibile e che riesca
a neutralizzare l’effetto di “compressione”
tra ossa e supporto.
Quando il supporto -materasso o cuscino- è efficace?
Quando la persona appoggiata sopra non lo comprime mai
fino a farlo diventare compatto e, quindi, tra il corpo
ed il supporto sottostante resta sempre uno spazio di
morbidità, di elasticità.
Esistono dei sistemi molto sofisticati per rilevare le
pressioni di contatto, ma a casa si può adottare
un metodo empirico, semplice ma abbastanza efficace.
Basta mettere una mano sotto le parti del corpo più
sporgenti, tra la pelle e la superficie di contatto, e
sentire se il supporto sotto (materasso o cuscino), mantiene
ancora una buona elasticità o è arrivato
alla sua massima compressione.
Dove questo avviene, dove cioè il supporto –
cuscino o materasso – non è in grado di ammortizzare
adeguatamente lo schiacciamento causato dal peso del corpo,
lì il rischio di lesione è altissimo.
Un buon supporto, inoltre, non deve aggravare le altre
cause di lesione, come ad esempio, il rischio della macerazione
dei tessuti causato dal ristagno di umidità: la
traspirabilità è, infatti, un altro importante
elemento di efficacia.
Come sono fatti allora i materassi ed i cuscini
antidecubito?
Un materasso o un cuscino può essere definito “antidecubito”
quando riesce a ridurre le cause principali che possono
provocare la lesione in una persona a rischio.
Abbiamo visto che le cause principali di una lesione da
decubito sono costituite da:
- una forte e prolungata compressione esercitata sulla
pelle e sui tessuti molli sottostanti (muscoli e grasso)
che, occludendo i capillari che portano nutrimento ed
ossigeno, ne provocano la progressiva cancrena;
- la macerazione, causata dall’umidità (sudore,
feci, urine) che rende la pelle meno resistente;
- gli sfregamenti e gli stiramenti provocati da movimentazioni
della persona a posture non appropriate.
Un materasso o un cuscino “antidecubito” è
tanto più efficace quanto più è in
grado di ridurre queste situazioni che causano la nascita
di una lesione.
Il materiale utilizzato per questi ausili deve, quindi,
essere:
- morbido: in grado di non “schiacciare” sotto
il peso del corpo le parti su cui la persona appoggia;
- traspirante: capace di disperdere l’umidità
emanata dal corpo;
- deformabile: in grado di modificarsi seguendo gli spostamenti
della persona e riducendo, così, i rischi causati
da attriti e forze di stiramento. …e i materiali
che meglio racchiudono tutte queste caratteristiche sono:
gli espansi, purché abbiano caratteristiche di
elasticità e di morbidezza adeguati; le fibre cave
siliconate (attenzione! E’ molto importante che
non si tratti di una comune fibra di poliestere, ma la
fibra deve essere CAVA e SILICONATA, per avere la giusta
elasticità e morbidezza); l’aria, purché
questa sia gestita con involucri adatti e non risulti
mai troppo compressa.
Molta importanza hanno anche le fodere, che devono consentire
a materassi e cuscini di mantenere le loro proprietà.
Un supporto (cuscino o materasso) è tanto più
efficace quanto più:
- riduce la compressione
- contrasta la macerazione
- si deforma per assorbire frizioni e stiramenti.
Un ottimo “materiale”: l’aria
Una nota a parte meritano i materassi ad aria con compressore.
Essi sono considerati da molti i prodotti più efficaci
in assoluto. Questo, però, è vero solo se
le caratteristiche costruttive del prodotto sono tali
da garantire l’efficacia, ovvero se il materasso
è sufficientemente spesso da poter far affondare
la persona senza farle toccare il fondo, se il compressore
ha un funzionamento tale da gestire la pressione di gonfiaggio
in base al peso del paziente ed alla sua posizione senza
mai far diventare nessuno degli elementi da cui è
costituito troppo duro, se il telo di copertura è
morbido e flessibile e tale da far respirare la pelle.
In questo caso si tratta di ausili piuttosto sofisticati,
di alto spessore e con pompe capaci di controllare in
maniera molto precisa la quantità di aria che viene
immessa, destinati ai pazienti a rischio molto elevato
o con lesioni già in atto.
Attenzione!
Esistono in commercio dei materassini cosiddetti antidecubito,
interamente realizzati in materiale plastico impermeabile
e con un compressore che immette al loro interno aria
in modo da gonfiare alternativamente le celle in cui sono
suddivisi.
Molti di questi materassini:
- non riescono a ridurre efficacemente le pressioni di
contatto (il corpo non affonda nel supporto);
- il ciclo di gonfiaggio-sgonfiaggio non produce nessun
tipo di massaggio (che per essere efficace deve essere
in senso orizzontale, non verticale) né un’alternanza
dei punti di appoggio (non c’è mai un vero
scarico delle pressioni);
- ...ma in compenso fanno aumentare pericolosamente il
rischio di macerazione della cute!
2. Aumentare il movimento
Se la persona è in grado di compiere da sola dei
movimenti, nella maggior parte dei casi riesce ad eseguire
degli spostamenti -volontari e non- appena percepisce
il disagio causato dal lungo periodo di compressione di
alcune zone.
Se il paziente è a letto, però, ed è
incapace di spostarsi da solo, non riesce ad eseguire
questi movimenti necessari ad alleviare la compressione
sulle prominenze ossee.
I pazienti costretti a letto che non sono capaci di provvedere
da soli alla loro mobilizzazione, a volte lo possono fare
con l’ausilio di un trapezio o con l’aiuto
di un assistente.
È comunque importante che il paziente cambi posizione
regolarmente.
Per evitare dimenticanze, si può usare una scheda
in cui si annota l’ora dello spostamento, la posizione
assunta, la segnalazione dell’ora del prossimo spostamento
e la posizione da assumere.
Normalmente si consiglia di spostare il paziente ogni
2-4 ore, soprattutto se non usa presidi antidecubito.
Alcuni lavori di letteratura, infatti, evidenziano la
necessità di movimentare il paziente almeno ogni
2 ore in caso di decubito laterale e ogni 4 in caso di
decubito supino.
Questa tempistica è, però, notevolmente
influenzata dal tipo di supporto utilizzato (materasso
a molle, in lana, schiuma ecc.) e dall’eventuale
presenza di lesioni.
Nel caso in cui il paziente abbia già una lesione
da decubito non si deve mai far gravare il suo peso sulla
parte lesionata. Il paziente soffre della sua immobilità
e aiutarlo a spostarsi lo farà sentire meglio non
solo fisicamente ma anche psicologicamente.
3. Mantenere la pelle pulita e idratata
Anche se il paziente non è più autosufficiente,
può mantenere le sue abitudini igieniche e noi
possiamo aiutarlo: si sentirà a suo agio e sarà
più piacevole stargli vicino.
E’ necessario che il paziente abbia la cute pulita
e idratata ogni giorno; infatti la macerazione della cute
dovuta all’umidità è un altro fattore
aggravante che favorisce la formazione delle lesioni da
decubito.
E’ necessario fare un bagno rivitalizzante quotidianamente.
Sarà un’occasione per osservare interamente
la cute del paziente: talloni, gomiti, spalle, zona sacrale,
trocantere, ischio, ginocchia e vedere se ci sono arrossamenti
o altre manifestazioni.
Si dovranno usare dei saponi che non secchino la cute.
Se il paziente non può fare un bagno in vasca sarà
necessario farlo a letto.
Come? Proteggiamo il materasso con una fodera impermeabile
(in Gore, in Somy o anche semplicemente con una Clini-Cover,
materiali permeabili all’aria e ai vapori ma impermeabili
all’acqua); servendoci di una bacinella di acqua
calda, bagniamo una salviettina e insaponiamo il paziente
con un sapone dermatologico neutro: prima sul viso poi
sugli arti, cambiando la salviettina ogni volta.
Si consiglia di usare una salvietta per insaponare ed
una per risciacquare ciascuna parte del corpo.
Dopo aver eseguito il bagno si deve idratare la cute con
un’emulsione neutra adeguata.
Non usare soluzioni alcoliche poiché seccano la
pelle e la depauperano del suo contenuto lipidico.
Non frizionare con forza, ma massaggiare delicatamente
la cute.
Se il paziente è incontinente sulla pelle che è
a contatto con feci e urine si può applicare una
crema disinfettante che protegge da eventuali infezioni
e crea uno strato barriera.
4. Nutrire il paziente
In
un efficace piano di prevenzione delle lesioni da decubito
è necessario che il paziente segua una dieta bilanciata
e completa di tutti i nutrimenti: proteine, grassi, zuccheri,
vitamine, oligoelementi, acqua.
La pelle ed i muscoli, come qualsiasi organo del nostro
corpo, hanno bisogno di tutti questi elementi per stare
bene.
Una nutrizione adeguata, che mantenga tutti i tessuti
(muscoli e pelle) tonici ed elastici e fornisca i nutrimenti
necessari a mantenere vitali le capacità di difesa
è, dunque, un aiuto molto importante.
A volte i pazienti anziani hanno dei problemi di masticazione
oppure non provano più piacere a mangiare.
Altri non sentono quasi più lo stimolo della sete.
Se non si riesce a fornire con la normale dieta un apporto
calorico e nutrizionale sufficiente, si dovrà ricorrere
a degli integratori, secondo il consiglio del medico di
famiglia.
Infatti, se il paziente non sarà ben nutrito, correrà
più rischi di sviluppare lesioni da decubito o,
se già presenti, avrà più difficoltà
a guarire: i tessuti reagiscono meno bene, ma soprattutto,
perdendo di tonicità e di elasticità (diventando
“flaccidi”), renderanno più facile
comprimere i vasi arteriosi e venosi ed impedire una normale
circolazione del sangue.
E se la lesione già si è formata?
Premesso, che tutto ciò è stato detto fino
ad ora resta comunque valido sia per prevenire le lesioni
sia per evitare il loro peggioramento, sappiamo che i
motivi per cui una lesione da decubito si manifesta risalgono
o ad una mancata applicazione delle tecniche di prevenzione
o alle cattive condizioni di salute del paziente, o alla
coesistenza di ambedue le situazioni.
Come possiamo riconoscere una lesione da decubito?
Se osserviamo sulla cute del paziente una zona particolarmente
arrossata, proviamo ad esercitare una pressione locale:
se il rossore è persistente, siamo di fronte ad
una lesione da decubito allo stadio iniziale.
Siamo all’inizio ma è necessario correre
ai ripari:
- eliminare totalmente la pressione in quell’area;
- utilizzare un materasso od un cuscino ad alta prevenzione;
- non frizionare la cute ma lavarla ed idratarla, massaggiandola
molto delicatamente;
- continuare a controllare con molta scrupolosità
la cute e ad assistere il paziente con molta sollecitudine
ed attenzione.
Se ci accorgiamo che la cute del paziente non è
più integra, dovremo valutare attentamente le condizioni
della pelle in quel punto e nelle zone circostanti poiché
dovremo trattare la lesione che si è formata eseguendo
delle tecniche ben precise ed utilizzando prodotti idonei.
Bisognerà valutare la presenza di zone molto dure
e scure (necrosi), nel qual caso consigliamo di ricorrere
al medico di famiglia, o la presenza di segni di infezione
(cattivo odore, secrezione purulenta, rossore intorno
alla lesione, dolore, gonfiore).
Naturalmente la prima cura consiste nel togliere la pressione
dalla zona lesa e nell’utilizzare un materasso o
un cuscino antidecubito ad alta prevenzione.
È necessario usare una medicazione specifica?
Sicuramente ed il tipo di medicazione da usare dipende
dallo stadio a cui è arrivata la lesione.
Per capire i principi su cui si basano le medicazioni
antidecubito dobbiamo fare un accenno al processo di guarigione
di una lesione.
Come guarisce una lesione?
Quando
si forma una lesione sulla cute il nostro corpo reagisce
con “l’infiammazione”: la cute si presenterà
rossa, dolente, calda e si formerà del liquido
che si chiama essudato.
L’infiammazione è una reazione dell’organismo
che aiuta la lesione a guarire: infatti si mettono in
moto tante cellule che andranno a raggiungere la lesione.
Esse la difenderanno dall’ingresso dei germi e ne
faciliteranno la guarigione.
Le cellule sono dei piccolissimi organismi che insieme
formano il nostro corpo. Per vivere e compiere la loro
funzione hanno bisogno degli stessi elementi di cui abbiamo
bisogno noi: le medicazioni non dovranno essere aggressive
ma favorire e controllare questo naturale processo di
riparazione dei tessuti.
Quindi perché la lesione guarisca bisogna creare
l’ambiente ideale.
Per questo è importante scegliere la giusta medicazione,
che deve essere consigliata e prescritta dal medico di
famiglia.
Bibliografia
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Ricerca & Cultura.
Le piaghe da decubito nel paziente anziano
M. Nano, E. Ricci - Edizioni Minerva Medica - 1a edizione
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Plaies et Cicatrisations au quotidien
L. Teot, S. Meaume, O. Dereure - Sauramps Médical
- Gennaio 2001.
Prevenzione e trattamento delle lesioni da decubito -
linee guida integrali dell’ A.H.C.P.R.
A. Calosso, E. Zanetti (a cura di) - A.I.S.Le.C. News
- 2a edizione - Novembre 2002.
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C.T. Hess (edizione italiana a cura di A. Bellingeri)
- Masson - 1999.
Piaghe da decubito
E. Ricci, R. Cassino - Edizioni Minerva Medica - 2a edizione
- 2004.
Piaghe da decubito, prevenzione e cura
G. Strada - Edizioni HMS - 1990.