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Premio Sapio per la Ricerca Italiana Edizione 2004





 
Se una persona è costretta a stare immobile a letto o seduta per un periodo prolungato, inevitabilmente il suo organismo ne soffre.
Il corpo umano, infatti, è continuamente in movimento: in qualsiasi situazione, anche quando stiamo apparentemente fermi, piccoli spostamenti di posizione permettono di variare i punti su cui ci appoggiamo, trasferendo il peso del corpo da una parte all’altra della nostra superficie corporea.
Se stiamo – per una qualsiasi ragione- immobili per lungo tempo, complicazioni frequenti sono quelle respiratorie e vascolari, ma sono le complicazioni cutanee e dei tessuti molli sottocutanei a rappresentare il fenomeno più evidente e, spesso, più grave.
Nei punti del corpo sottoposti ad una elevata compressione prolungata compaiono con una velocità a volte sorprendente (poche ore, lo spazio di una sola notte) arrossamenti, vescicole, abrasioni che si trasformano in brevissimo tempo in vere e proprie spaccature della pelle e dei tessuti sottostanti (muscoli, grasso) sino ad intaccare persino la parte ossea: le “PIAGHE DA DECUBITO”.

Chi ha avuto un’esperienza diretta di questa gravissima patologia conosce quanto repentino e drammatico possa essere l’instaurarsi di una piaga in una persona allettata e quanto difficile sia il processo di guarigione: in poche settimane, a volte in una manciata di giorni, un semplice, apparentemente innocuo ma subdolo arrossamento persistente, che non scompare se si esercita una debole compressione con un dito, diventa una ferita inarrestabile nel suo ampliarsi e conquista zone sempre più vaste e più profonde senza che alcun intervento sembri avere efficacia.

Il sentimento di impotenza che origina una piaga da decubito è tale che essa è stata, da sempre, considerata “sentinella della morte”: “…ormai è alla fine, gli sono già venute le piaghe…”.

Ora sappiamo bene che non è così e sappiamo che una “piaga da decubito”, lungi dall’essere un’ineluttabile segnale dell’aggravarsi di una patologia, nella grande maggioranza dei casi è il sintomo vergognoso di colpevole ignoranza e di inadeguata assistenza di una persona “a rischio” perché, nella grande maggioranza dei casi, le piaghe da decubito possono essere efficacemente prevenute.

Sappiamo anche che la piaga, spesso, non rappresenta solo il segno dell’aggravamento, ma ne è o ne diviene la causa stessa; è una ferita aperta attraverso la quale il paziente perde in continuazione sostanze vitali e che permette l’ingresso di germi ed agenti patogeni che, in una reazione a catena, provocano infezioni, setticemia, depauperamento generale sino alla morte: in una persona affetta da piaghe da decubito il tempo di degenza ospedaliera aumenta da quattro a sei volte ed il rischio di mortalità aumenta sino a quattro volte, tanto che essa è stata definita “una delle più gravi complicanze che possono colpire il paziente anziano, generalmente quando è allettato”.

Sappiamo che non è una “malattia rara” ma che, in assenza di adeguati interventi e comportamenti preventivi, l’incidenza di piaghe da decubito in pazienti genericamente a rischio si attesta intorno al 30/35% ma sappiamo anche che interventi e comportamenti preventivi, apparentemente semplici ma consapevolmente e puntualmente attuati possono far scendere tale incidenza al di sotto del 3%.

Perché allora una patologia così devastante e che è relativamente facile prevedere e prevenire è ancora così drammaticamente presente nelle persone costrette, in ospedale o a casa, ad un allettamento prolungato?
Forse perché viene così intimamente ed intuitivamente collegata ad inadeguatezza dell’assistenza che, rappresentando quasi una testimonianza del fallimento, viene istintivamente coperta da un velo di reticenza che tende, quasi, a nasconderne l’esistenza.

La conoscenza di come e perché si sviluppa una lesione da decubito, di come e perché è possibile ed importante prevenirla, di come affrontarne il trattamento è il primo strumento per aiutare tanto le persone a rischio quanto chi assiste quotidianamente una persona con problemi di immobilità, creando contemporaneamente nei possibili fruitori degli ausili di prevenzione una curiosa, competente e vigile attenzione. Si tratta di un segmento di mercato, infatti, ancora molto immaturo, nel quale le proposte più fantasiose, anche se non efficaci, possono trovare (e trovano) spazio incontrastato.


Cosa sono le lesioni da decubito e perché si formano?
Per spiegare più facilmente il meccanismo di formazione delle lesioni da decubito è importante parlare dell’organo che viene per primo colpito da questa patologia: la pelle.
É l’organo più grande del nostro corpo e svolge molte importanti funzioni: provvede al mantenimento della temperatura del nostro corpo ed è una valida barriera per germi e liquidi.

La pelle è attraversata in ogni punto da vasi sanguigni piccolissimi, arteriosi e venosi.

Il sangue che arriva attraverso quelli arteriosi porta ossigeno e nutrimento alle cellule che compongono la pelle, mentre il sangue che ritorna al cuore, attraverso i vasi venosi, porta con sé tutte le scorie.

Anche il più piccolo tratto della pelle ha bisogno di questo equilibrio, altrimenti si mette a repentaglio la vita stessa delle cellule.
E lo stesso bisogno esiste a livello dei tessuti che si trovano tra la pelle e l’osso, i muscoli e il grasso.

Quando una persona resta troppo a lungo nella stessa posizione, la pressione che viene esercitata dalle prominenze ossee sulla pelle e sulle parti molli ostacola la circolazione del sangue; ciò provocherà una mancanza di ossigeno e di nutrimento ed un accumulo di scorie nelle cellule.

Questa situazione può portare in breve tempo alla loro morte, che si manifesta con la formazione di spaccature e lesioni sempre più profonde ed estese se non viene velocemente rimossa la causa che le ha provocate.
Più la pressione si prolungherà nel tempo, dunque, più la lesione sarà vasta e profonda. A volte queste lesioni vengono definite “crateri” proprio per la loro profondità e ampiezza. Sono spesso dolorose ed impiegano solo poche ore a formarsi ma necessitano mesi di trattamento intensivo per guarire.
Più una persona sarà debilitata e malnutrita, più sarà facile che le lesioni si formino.
Più sarà limitata la mobilizzazione, più aumenteranno i rischi.


Come possiamo allora evitare tutto ciò?
Prima di tutto evitare che la compressione che viene esercitata sulla parte del corpo che si appoggia al materasso o al sedile, per esempio, sia elevata o venga mantenuta per un periodo prolungato sempre sullo stesso punto.
Quindi il primo, più importante atto di prevenzione deve consistere nel ridurre l’intensità e la durata della compressione.

Come?
Facendo appoggiare la persona su un supporto morbido, in cui le parti del corpo affondino senza mai essere compresse, permettendo così sempre una buona circolazione del sangue e facendo in modo che la posizione (e di conseguenza i punti di appoggio) venga cambiata il più frequentemente possibile. Inoltre, è importante mantenere la pelle asciutta, pulita e ben idratata, perché sia in grado di reagire positivamente alle eventuali aggressioni.
Anche una nutrizione adeguata, che mantenga tutti i tessuti (muscoli e pelle) tonici ed elastici e fornisca le sostanze adeguate a mantenere vitali le capacità di difesa, è un aiuto molto importante.

1. Diminuire l’intensità e la durata della pressione
2. Aumentare il movimento
3. Mantenere la pelle pulita e idratata
4. Nutrire adeguatamente il paziente.




Come valutare il rischio che corre il paziente?
Non tutte le persone, anche se costrette a letto o su una sedia per un periodo prolungato, hanno lo stesso livello di rischio.
È facile immaginare che una persona in stato di incoscienza, e quindi incapace di percepire il disagio o il dolore provocato su una parte del corpo da una compressione elevata o protrattasi troppo a lungo, avrà un rischio maggiore di una persona vigile; così come il rischio sarà più alto nei pazienti con una mancanza di sensibilità di una parte del corpo, come ad esempio nei casi di lesioni midollari, o in persone assolutamente incapaci di muoversi autonomamente.

Riportiamo qui una traccia molto diffusa per una facile valutazione, che ci può aiutare a capire quali rischi corre il paziente che stiamo assistendo.
Se il punteggio ottenuto sommando le singole valutazioni è maggiore di 16, il Paziente è a basso rischio.
Se il punteggio è fra 16 e 12, il paziente è a medio rischio.
Se il punteggio è minore di 12, il paziente è ad alto rischio.

Per esempio:
assistiamo un paziente in buone condizioni fisiche (4 punti), che però è apatico (3 punti), costretto a letto (1 punto), con una mobilizzazione molto limitata (2 punti) e un’incontinenza doppia (1 punto); sommando il punteggio otteniamo 11.
Questo significa che stiamo assistendo un paziente ad alto rischio di sviluppare lesioni da decubito.



1. Diminuire l’intensità e la durata della pressione.
Le “superfici o supporti” – materassi e cuscini, gli oggetti cioè su cui il corpo si appoggia – possono essere la causa di lesioni quando inadeguati o il più efficace strumento di prevenzione quando adatti.

“Le superfici di supporto rappresentano lo strumento terapeutico più importante per il controllo della prevenzione. Oltre a ridurre la pressione, esse riducono anche le forze di frizione e di taglio, controllano l’umidità e inibiscono la crescita batteriologica. Queste superfici [...] sono in grado di accelerare il processo cicatriziale delle ulcere da pressione, e di prevenire l’insorgere di nuove lesioni”.

Questo è quanto viene affermato dall’AISLEC, una delle più importanti associazioni italiane che si occupa di lesione da decubito.
Primo mezzo per prevenire l’insorgere delle piaghe è, quindi, un materasso o un cuscino in cui il corpo affondi bene, in modo da distribuire il peso su una superficie più ampia possibile e che riesca a neutralizzare l’effetto di “compressione” tra ossa e supporto.

Quando il supporto -materasso o cuscino- è efficace?

Quando la persona appoggiata sopra non lo comprime mai fino a farlo diventare compatto e, quindi, tra il corpo ed il supporto sottostante resta sempre uno spazio di morbidità, di elasticità.

Esistono dei sistemi molto sofisticati per rilevare le pressioni di contatto, ma a casa si può adottare un metodo empirico, semplice ma abbastanza efficace.
Basta mettere una mano sotto le parti del corpo più sporgenti, tra la pelle e la superficie di contatto, e sentire se il supporto sotto (materasso o cuscino), mantiene ancora una buona elasticità o è arrivato alla sua massima compressione.

Dove questo avviene, dove cioè il supporto – cuscino o materasso – non è in grado di ammortizzare adeguatamente lo schiacciamento causato dal peso del corpo, lì il rischio di lesione è altissimo.
Un buon supporto, inoltre, non deve aggravare le altre cause di lesione, come ad esempio, il rischio della macerazione dei tessuti causato dal ristagno di umidità: la traspirabilità è, infatti, un altro importante elemento di efficacia.

Come sono fatti allora i materassi ed i cuscini antidecubito?
Un materasso o un cuscino può essere definito “antidecubito” quando riesce a ridurre le cause principali che possono provocare la lesione in una persona a rischio.
Abbiamo visto che le cause principali di una lesione da decubito sono costituite da:
- una forte e prolungata compressione esercitata sulla pelle e sui tessuti molli sottostanti (muscoli e grasso) che, occludendo i capillari che portano nutrimento ed ossigeno, ne provocano la progressiva cancrena;
- la macerazione, causata dall’umidità (sudore, feci, urine) che rende la pelle meno resistente;
- gli sfregamenti e gli stiramenti provocati da movimentazioni della persona a posture non appropriate.

Un materasso o un cuscino “antidecubito” è tanto più efficace quanto più è in grado di ridurre queste situazioni che causano la nascita di una lesione.
Il materiale utilizzato per questi ausili deve, quindi, essere:
- morbido: in grado di non “schiacciare” sotto il peso del corpo le parti su cui la persona appoggia;
- traspirante: capace di disperdere l’umidità emanata dal corpo;
- deformabile: in grado di modificarsi seguendo gli spostamenti della persona e riducendo, così, i rischi causati da attriti e forze di stiramento.
…e i materiali che meglio racchiudono tutte queste caratteristiche sono:
gli espansi, purché abbiano caratteristiche di elasticità e di morbidezza adeguati; le fibre cave siliconate (attenzione! E’ molto importante che non si tratti di una comune fibra di poliestere, ma la fibra deve essere CAVA e SILICONATA, per avere la giusta elasticità e morbidezza); l’aria, purché questa sia gestita con involucri adatti e non risulti mai troppo compressa.
Molta importanza hanno anche le fodere, che devono consentire a materassi e cuscini di mantenere le loro proprietà.

Un supporto (cuscino o materasso) è tanto più efficace quanto più:
- riduce la compressione
- contrasta la macerazione
- si deforma per assorbire frizioni e stiramenti.

Un ottimo “materiale”: l’aria
Una nota a parte meritano i materassi ad aria con compressore. Essi sono considerati da molti i prodotti più efficaci in assoluto. Questo, però, è vero solo se le caratteristiche costruttive del prodotto sono tali da garantire l’efficacia, ovvero se il materasso è sufficientemente spesso da poter far affondare la persona senza farle toccare il fondo, se il compressore ha un funzionamento tale da gestire la pressione di gonfiaggio in base al peso del paziente ed alla sua posizione senza mai far diventare nessuno degli elementi da cui è costituito troppo duro, se il telo di copertura è morbido e flessibile e tale da far respirare la pelle.

In questo caso si tratta di ausili piuttosto sofisticati, di alto spessore e con pompe capaci di controllare in maniera molto precisa la quantità di aria che viene immessa, destinati ai pazienti a rischio molto elevato o con lesioni già in atto.

Attenzione!
Esistono in commercio dei materassini cosiddetti antidecubito, interamente realizzati in materiale plastico impermeabile e con un compressore che immette al loro interno aria in modo da gonfiare alternativamente le celle in cui sono suddivisi.
Molti di questi materassini:
- non riescono a ridurre efficacemente le pressioni di contatto (il corpo non affonda nel supporto);
- il ciclo di gonfiaggio-sgonfiaggio non produce nessun tipo di massaggio (che per essere efficace deve essere in senso orizzontale, non verticale) né un’alternanza dei punti di appoggio (non c’è mai un vero scarico delle pressioni);
- ...ma in compenso fanno aumentare pericolosamente il rischio di macerazione della cute!


2. Aumentare il movimento


Se la persona è in grado di compiere da sola dei movimenti, nella maggior parte dei casi riesce ad eseguire degli spostamenti -volontari e non- appena percepisce il disagio causato dal lungo periodo di compressione di alcune zone.

Se il paziente è a letto, però, ed è incapace di spostarsi da solo, non riesce ad eseguire questi movimenti necessari ad alleviare la compressione sulle prominenze ossee.

I pazienti costretti a letto che non sono capaci di provvedere da soli alla loro mobilizzazione, a volte lo possono fare con l’ausilio di un trapezio o con l’aiuto di un assistente.
È comunque importante che il paziente cambi posizione regolarmente.
Per evitare dimenticanze, si può usare una scheda in cui si annota l’ora dello spostamento, la posizione assunta, la segnalazione dell’ora del prossimo spostamento e la posizione da assumere.

Normalmente si consiglia di spostare il paziente ogni 2-4 ore, soprattutto se non usa presidi antidecubito. Alcuni lavori di letteratura, infatti, evidenziano la necessità di movimentare il paziente almeno ogni 2 ore in caso di decubito laterale e ogni 4 in caso di decubito supino.
Questa tempistica è, però, notevolmente influenzata dal tipo di supporto utilizzato (materasso a molle, in lana, schiuma ecc.) e dall’eventuale presenza di lesioni.

Nel caso in cui il paziente abbia già una lesione da decubito non si deve mai far gravare il suo peso sulla parte lesionata. Il paziente soffre della sua immobilità e aiutarlo a spostarsi lo farà sentire meglio non solo fisicamente ma anche psicologicamente.


3. Mantenere la pelle pulita e idratata
Anche se il paziente non è più autosufficiente, può mantenere le sue abitudini igieniche e noi possiamo aiutarlo: si sentirà a suo agio e sarà più piacevole stargli vicino.

E’ necessario che il paziente abbia la cute pulita e idratata ogni giorno; infatti la macerazione della cute dovuta all’umidità è un altro fattore aggravante che favorisce la formazione delle lesioni da decubito.


E’ necessario fare un bagno rivitalizzante quotidianamente. Sarà un’occasione per osservare interamente la cute del paziente: talloni, gomiti, spalle, zona sacrale, trocantere, ischio, ginocchia e vedere se ci sono arrossamenti o altre manifestazioni.
Si dovranno usare dei saponi che non secchino la cute.
Se il paziente non può fare un bagno in vasca sarà necessario farlo a letto.

Come?
Proteggiamo il materasso con una fodera impermeabile (in Gore, in Somy o anche semplicemente con una Clini-Cover, materiali permeabili all’aria e ai vapori ma impermeabili all’acqua); servendoci di una bacinella di acqua calda, bagniamo una salviettina e insaponiamo il paziente con un sapone dermatologico neutro: prima sul viso poi sugli arti, cambiando la salviettina ogni volta.

Si consiglia di usare una salvietta per insaponare ed una per risciacquare ciascuna parte del corpo.
Dopo aver eseguito il bagno si deve idratare la cute con un’emulsione neutra adeguata.
Non usare soluzioni alcoliche poiché seccano la pelle e la depauperano del suo contenuto lipidico.
Non frizionare con forza, ma massaggiare delicatamente la cute.
Se il paziente è incontinente sulla pelle che è a contatto con feci e urine si può applicare una crema disinfettante che protegge da eventuali infezioni e crea uno strato barriera.


4. Nutrire il paziente
In un efficace piano di prevenzione delle lesioni da decubito è necessario che il paziente segua una dieta bilanciata e completa di tutti i nutrimenti: proteine, grassi, zuccheri, vitamine, oligoelementi, acqua.

La pelle ed i muscoli, come qualsiasi organo del nostro corpo, hanno bisogno di tutti questi elementi per stare bene.

Una nutrizione adeguata, che mantenga tutti i tessuti (muscoli e pelle) tonici ed elastici e fornisca i nutrimenti necessari a mantenere vitali le capacità di difesa è, dunque, un aiuto molto importante.

A volte i pazienti anziani hanno dei problemi di masticazione oppure non provano più piacere a mangiare.

Altri non sentono quasi più lo stimolo della sete. Se non si riesce a fornire con la normale dieta un apporto calorico e nutrizionale sufficiente, si dovrà ricorrere a degli integratori, secondo il consiglio del medico di famiglia.

Infatti, se il paziente non sarà ben nutrito, correrà più rischi di sviluppare lesioni da decubito o, se già presenti, avrà più difficoltà a guarire: i tessuti reagiscono meno bene, ma soprattutto, perdendo di tonicità e di elasticità (diventando “flaccidi”), renderanno più facile comprimere i vasi arteriosi e venosi ed impedire una normale circolazione del sangue.

E se la lesione già si è formata?
Premesso, che tutto ciò è stato detto fino ad ora resta comunque valido sia per prevenire le lesioni sia per evitare il loro peggioramento, sappiamo che i motivi per cui una lesione da decubito si manifesta risalgono o ad una mancata applicazione delle tecniche di prevenzione o alle cattive condizioni di salute del paziente, o alla coesistenza di ambedue le situazioni.

Come possiamo riconoscere una lesione da decubito?
Se osserviamo sulla cute del paziente una zona particolarmente arrossata, proviamo ad esercitare una pressione locale: se il rossore è persistente, siamo di fronte ad una lesione da decubito allo stadio iniziale.
Siamo all’inizio ma è necessario correre ai ripari:
- eliminare totalmente la pressione in quell’area;
- utilizzare un materasso od un cuscino ad alta prevenzione;
- non frizionare la cute ma lavarla ed idratarla, massaggiandola molto delicatamente;
- continuare a controllare con molta scrupolosità la cute e ad assistere il paziente con molta sollecitudine ed attenzione.

Se ci accorgiamo che la cute del paziente non è più integra, dovremo valutare attentamente le condizioni della pelle in quel punto e nelle zone circostanti poiché dovremo trattare la lesione che si è formata eseguendo delle tecniche ben precise ed utilizzando prodotti idonei.

Bisognerà valutare la presenza di zone molto dure e scure (necrosi), nel qual caso consigliamo di ricorrere al medico di famiglia, o la presenza di segni di infezione (cattivo odore, secrezione purulenta, rossore intorno alla lesione, dolore, gonfiore).

Naturalmente la prima cura consiste nel togliere la pressione dalla zona lesa e nell’utilizzare un materasso o un cuscino antidecubito ad alta prevenzione.

È necessario usare una medicazione specifica?
Sicuramente ed il tipo di medicazione da usare dipende dallo stadio a cui è arrivata la lesione.
Per capire i principi su cui si basano le medicazioni antidecubito dobbiamo fare un accenno al processo di guarigione di una lesione.

Come guarisce una lesione?
Quando si forma una lesione sulla cute il nostro corpo reagisce con “l’infiammazione”: la cute si presenterà rossa, dolente, calda e si formerà del liquido che si chiama essudato.

L’infiammazione è una reazione dell’organismo che aiuta la lesione a guarire: infatti si mettono in moto tante cellule che andranno a raggiungere la lesione. Esse la difenderanno dall’ingresso dei germi e ne faciliteranno la guarigione.

Le cellule sono dei piccolissimi organismi che insieme formano il nostro corpo. Per vivere e compiere la loro funzione hanno bisogno degli stessi elementi di cui abbiamo bisogno noi: le medicazioni non dovranno essere aggressive ma favorire e controllare questo naturale processo di riparazione dei tessuti.

Quindi perché la lesione guarisca bisogna creare l’ambiente ideale.
Per questo è importante scegliere la giusta medicazione, che deve essere consigliata e prescritta dal medico di famiglia.


Bibliografia

Immobilità, allettamento e possibili complicanze: dalla sorveglianza epidemiologica all'impiego di ausili
Atti del Convegno Nazionale Chianciano 1999 - Fumagalli Ricerca & Cultura.

Le piaghe da decubito nel paziente anziano
M. Nano, E. Ricci - Edizioni Minerva Medica - 1a edizione - 1994.

Plaies et Cicatrisations au quotidien
L. Teot, S. Meaume, O. Dereure - Sauramps Médical - Gennaio 2001.

Prevenzione e trattamento delle lesioni da decubito - linee guida integrali dell’ A.H.C.P.R.
A. Calosso, E. Zanetti (a cura di) - A.I.S.Le.C. News - 2a edizione - Novembre 2002.

Guida clinica alla cura delle lesioni cutanee
C.T. Hess (edizione italiana a cura di A. Bellingeri) - Masson - 1999.

Piaghe da decubito
E. Ricci, R. Cassino - Edizioni Minerva Medica - 2a edizione - 2004.

Piaghe da decubito, prevenzione e cura
G. Strada - Edizioni HMS - 1990.









 
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Il problema delle lesioni da decubito

Una scelta coraggiosamente etica.

 
 

A cura di:
Maria Teresa Agati
Fumagalli
Andrea Cazzaniga
Fumagalli

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