Le KIC sono partnership, virtuali e fisiche, che mettono assieme l’eccellenza dai mondi della formazione, della ricerca e del business innovativo e dell’imprenditoria. Alle KIC verrà affidato il compito di promuovere l’innovazione proprio là dove si collocano le grandi sfide della società contemporanea, a partire dal settore dell’energia sostenibile.
Risale all’inizio del 2005 la decisione
di José Manuel Barroso, Presidente
dell’Unione Europea di creare un
Istituto europeo di tecnologia (EIT).
Dopo aver sondato l’opinione pubblica,
la Commissione Europea è infatti
giunta alla conclusione che l'Unione
Europea ha bisogno di concentrare
meglio le sue risorse umane, finanziarie
e materiali nel campo della ricerca
e dell'istruzione superiore. L’idea non
è quella di creare una nuova università
in un luogo specifico, ma una nuova
entità legale con più sedi in cui far
convergere i migliori gruppi di lavoro
e le migliori facoltà universitarie in
vari settori strategici in tutta Europa.
Un anno dopo, il 22 Febbraio 2006,
la Commissione propone al Consiglio
Europeo l’istituzione dell’EIT.
“L’eccellenza ha bisogno di poli per
svilupparsi: ecco perché l’Europa deve
dotarsi di un Istituto di tecnologia
forte che riunisca le migliori menti e le
imprese di punta e che diffonda i
risultati della sua attività in tutta
Europa", dichiara Barroso, aggiungendo
che "l'EIT sarà un'organizzazione
leggera e flessibile, che oltre a essere un
luogo d'apprendimento per laureati e
studenti di dottorato, sarà anche un
luogo di ricerca e d’innovazione, sia in
settori strategici specifici sia nel campo
della scienza e della gestione dell'innovazione.”
Particolarmente importanti risultano
le parole allora espresse da Ján Figel,
commissario per l’Istruzione, la formazione,
la cultura e il multilinguismo:
“Se vogliamo che l’Europa continui
ad essere competitiva, dobbiamo
far sì che i settori dell’istruzione, della
ricerca e dell’innovazione entrino in
una relazione più stretta tra di loro”.
E
ancora: “È opinione diffusa che in
Europa questa relazione non funziona
al meglio e che immancabilmente
l’Europa non riesce a tradurre i risultati
della ricerca in opportunità commerciali,
innovazione e posti di lavoro.”
Il confronto con Giappone e Stati
Uniti è impietoso: nonostante la
buona qualità della ricerca europea,
fondamentale ed applicata, l’innovazione
tecnologica che ne deriva è
modesta. Il modello è il mitico MIT, che oltre a poter esibire 73 premi
Nobel in Medicina, Chimica, Fisica
ed Economia, assieme alle altre università
dell’area intorno a Boston, fra
cui Harvard, realizza in un anno un
“fatturato” di 7,4 miliardi dollari, 264
brevetti, 280 licenze tecnologiche e
commerciali, e crea 41 start-up1.
L’Istituto europeo di tecnologia nasce
con l’intento di riunire in sé i tre lati
del triangolo della conoscenza - istruzione,
ricerca e innovazione -, settori
che detengono le chiavi d’accesso alla
società della conoscenza. L’EIT cercherà
di attrarre i migliori studenti,
ricercatori e professionisti a livello
internazionale, i quali, lavorando in
stretta collaborazione con imprese di
punta, si dedicheranno allo sviluppo
di conoscenze e ricerche d’avanguardia
e alla loro applicazione.
Il fatto di
accogliere gruppi di lavoro provenienti
da università, centri di ricerca e
imprese lo porrà in una posizione di
vantaggio rispetto alle università o alle
reti tradizionali, facendo dell’EIT un
nuovo modello a cui le istituzioni esistenti
guarderanno per rinnovarsi.
Questo tipo di organizzazione creerà
anche opportunità di attrarre capitali
privati per l'EIT, offrendo pertanto al
settore privato un nuovo partenariato
integrato che, oltre a stabilire forti
legami con l’istruzione e la ricerca,
aprirà nuovi sbocchi commerciali per
la ricerca e intensificherà gli scambi tra
pubblico e privato.
La struttura dell’EIT viene articolata
in due livelli: un comitato direttivo
(Governing Board) composto da 18
membri, affiancato da un piccolo
organo amministrativo che costituisce
il nucleo dell’EIT, e una serie di
“comunità della conoscenza” (Knowledge
and Innovation Communities,
ormai note come “KIC”), che condurranno
attività in settori strategici
interdisciplinari e saranno sparse su
tutto il territorio europeo. Il
Parlamento Europeo ha stanziato per
l’EIT un finanziamento di 308 milioni
di euro per il periodo 2008-2013. Il
grosso dei finanziamenti sarà destinato
all’avvio delle KIC, strutture semipermanenti
che avranno una durata
da 5 a 15 anni.
Soltanto il 25% del
finanziamento delle KIC deriverà
dall’EIT, mentre il restante 75% dovrà
provenire da altre fonti. Il
che significa che il budget complessivo
delle KIC, per il solo periodo dal 2010
(anno previsto per la loro istituzione)
al 2013, potrà superare il miliardo di
euro.
Nel 2008 la struttura organizzativa
dell’EIT comincia a prendere forma: il
18 giugno gli Stati Membri decidono
di collocare a Budapest il suo quartier
generale. Il 30 luglio vengono nominati
i 18 membri del Governing
Board, tutti insigni personalità del
mondo dell’università, dell’industria,
e della ricerca. Fra questi figura un italiano,
Giovanni Colombo, già capo
della ricerca strategica e dei laboratori di ricerca di Telecom Italia, professore
a contratto presso il Politecnico di
Torino. Colombo ha ricoperto inoltre
ruoli di grande importanza per la
Commissione Europea, nella definizione
della politica dell’R&D nel settore
delle telecomunicazioni (ICT)
per il Settimo Programma Quadro, e
fa parte dello European Commission's
Strategic Advisory Board su
Competitività e Innovazione.
Martin
Schuurman, ex vice-presidente della
divisione Ricerca della Philips, viene
nominato Presidente del GB. Poco
dopo vengono eletti i quattro membri
della Giunta esecutiva (Executive
Committee) dell’EIT, fra i quali, assieme
a Anders Flodström (Svezia),
Daria Golebiowska-Tataj (Polonia) e
Yrjö Neuvo (Finlandia), figura anche
il nostro Colombo.
Il 24 novembre scorso si è tenuto a
Bratislava un seminario in cui si è cercato
di delineare la forma e i criteri di
selezione delle KIC. Sbagliare è proibito,
perché il successo dell’EIT
dipenderà proprio dal modo in cui
funzioneranno queste comunità che
costituiranno il nuovo paradigma per
il progresso tecnologico in Europa.
Ma che cosa sono- o meglio saranno
- le KIC? Delle partnership, virtuali e
fisiche, che mettono assieme l’eccellenza
dai mondi della formazione,
della ricerca e del business innovativo
e dell’imprenditoria.
E’ forse la prima
volta che in Europa si parla esplicitamente
dell’obbligatoria compresenza
dei tre vertici del “triangolo della
conoscenza”; che si cita come requisito
fondamentale della ricerca la sua
capacità di creare innovazione tecnologica;
che si auspica che la formazione
debba essere capace di dare una
dimensione imprenditoriale ai giovani,
chimici, fisici ed ingegneri, che
usciranno dalle università.
Solo così l’Europa potrà tornare ad
attrarre i migliori talenti (“brain gain”)
da tutto il mondo.
Alle KIC verrà affidato il compito di
promuovere l’innovazione proprio là
dove si collocano le grandi sfide della
società contemporanea.
Per cominciare,
nella primavera del 2009 verranno
pubblicati i primi bandi, destinati ai
seguenti settori:
Si prevede che nel gennaio 2010 almeno
due KIC saranno già avviate, una
pietra miliare nel cammino dell’EIT.
Poi sarà la volta della salute, della
mobilità sostenibile, e degli altri grandi
problemi tecnologici che assillano il
mondo del XXI secolo.
Particolarmente strategico, secondo
chi scrive queste note, è il tema dell’energia
sostenibile, perché proprio
dalla sostenibilità delle conversioni
energetiche potrà provenire in larga
parte la risposta al problema dei cambiamenti climatici, avvalendosi anche
sempre più, nel futuro, degli impressionanti
progressi compiuti nel settore
delle ICT.
Energia sostenibile significa infatti
risparmio energetico, fonti rinnovabili
di energia, efficienza energetica,
sequestro del carbonio emesso dagli
impianti alimentati da fonti fossili;
soluzioni che hanno in comune non
soltanto il rallentamento dell’esaurimento
delle risorse tradizionali di carbone,
gas e petrolio, ma anche e
soprattutto la riduzione delle emissioni
di anidride carbonica, il gas che in
maniera più rilevante contribuisce
all’effetto-serra.
Energia sostenibile vuol dire ancora
abbandonare l’attuale sistema energetico,
caratterizzato da una produzione
elettrica centralizzata in parte costante
(centrali nucleari, grandi centrali termoelettriche),
in parte programmabile
(centrali idroelettriche, turbine a
gas) che si adegua con flessibilità ad
una domanda diffusa e variabile, per
passare ad un sistema in cui anche la
produzione diviene diffusa, non facilmente
prevedibile e men che meno
programmabile. In questo sistema un
ruolo vitale verrà svolto da sistemi di
accumulo di energia decentrati di
dimensioni grandi (centrali di pompaggio),
medie (basati sulla produzione
di idrogeno) e piccole (batterie elettrochimiche,
incluse quelle delle auto
elettriche o ibride che presto appariranno
sul mercato).
In uno scenario
così complesso il ruolo delle ICT sarà
di vitale importanza per evitare blackout
e utilizzare al meglio tutte le risorse
di energia disponibili.
Sorge a questo punto una domanda
spontanea: l’Italia sarà in grado di proporre
network di imprese, università e
centri di ricerca che possano aspirare a
divenire nodi vitali delle KIC che
nasceranno di qui a un anno? Sarà in
grado di dimostrare ai propri partner
europei di poter fornire un contributo
efficace sulle grandi tematiche a cui si
è accennato?
Di superare l’atavica diffidenza
del mondo imprenditoriale
nei confronti dell’accademia, gli steccati
ideologici che separano la ricerca
“curiosity driven” rispetto a quella
“market oriented”, l’autoreferenzialità
dei programmi dei corsi di laurea universitari,
la prudenza e la scarsa
“vision” di tante piccole e medie
imprese?
Può sembrare frutto della tipica presunzione
del mondo accademico
sostenere che queste risposte deriveranno
soprattutto da come
l’Università italiana saprà adattarsi al
nuovo ruolo che le viene chiesto, ma è
probabile che sarà proprio così.
“Può non piacere, anzi non piace a
molti accademici, ancora legati al
modello humboldtiano, ma le università
non sono più solo una libera associazione
di docenti e studenti che perseguono
l’eccellenza nella ricerca della conoscenza,
ma qualcosa di più, come ci
insegnano Kerr2 e Clark3: l’università è
una multiversity, un conglomerato di
diverse scuole, facoltà e dipartimenti che
hanno missioni estremamente diversificate”,
sosteneva Capano già nel 20044.
“L’università, infatti, non ha più solo
come fine il perseguimento dell’eccellenza
sulla strada della conoscenza ma
diventa un’istituzione multi-obbiettivo:
Insomma, che ci piaccia o no, questa è
la strada che l’Unione Europea ha oggi
imboccato con decisione ed è questo il
nuovo paradigma della società della
conoscenza per il XXI secolo. Non ci
resta che seguire l’esempio di altri
paesi - quali l’Austria, l’Olanda, la
Svezia e la Danimarca - che hanno
deciso di abbandonare i loro assetti di
governo universitario, assai simili al
nostro, “dopo aver constatato come le
politiche autonomistiche non davano i
frutti sperati, poiché i meccanismi di
funzionamento interno e di governo
degli atenei- basati su logiche corporative
ed auto-referenziali- non erano
coerenti con le richieste di innovazione
provenienti dal mondo esterno e dagli
indirizzi del governo”, come ricorda
ancora Capano.
Parole dure, ma profetiche, se si pensa
agli attacchi che prima dal governo,
poi anche da molti intellettuali e dagli
studenti stanno in questi ultimi tempi
impietosamente mettendo a nudo le
magagne dell’università italiana.