La rivista americana Time, nel numero del 10 novembre scorso, ha riportato le 50 migliori invenzioni del 2008 nel mondo. Una di esse, la numero 11, è il biodiesel dalle alghe.
Perchè le microalghe
Le microalghe convertono l’energia
solare con un’efficienza molto più
alta delle piante terrestri e sono in
grado di fissare l’anidride carbonica
(procurandosi il carbonio per la crescita
e la produzione di olio) proveniente
dagli impianti industriali,
contribuendo alla mitigazione dell’effetto
serra e producendo biocombustibili
innovativi: biodiesel e biocherosene,
nonché metano ed idrogeno
(tramite diversi processi di estrazione
e raffinazione).
Questa scoperta (fatta negli Stati
Uniti, ma replicata anche in Italia)
apre nuove prospettive nel campo
delle energie rinnovabili, per la produzione
di biocarburanti da microalghe
coltivate in mare, in laghi e stagni
artificiali, o in terreni di scarso
valore agricolo, senza interferire coll’agricoltura
alimentare.
I problemi
Il petrolio, una riserva di combustibile
accumulata nell’ordine di tempi del
milione di anni, SI ESAURIRA’ IN
QUESTO SECOLO. Il suo prezzo
aumenta, anche se con grandi oscillazioni
avanti e indietro (era intorno a
dieci dollari al barile nel 1999). La
combustione delle fonti di energia fossili
(petrolio, gas, carbone) produce
l’emissione di anidride carbonica
(CO2), che tramite l’effetto serra,
induce gravi cambiamenti climatici.
Come si risolve il problema della sostituzione
dei combustibili fossili, senza
che venga emessa nuova CO2 ma catturando
quella emessa per mitigarne il
contenuto nell’aria?
Con che energia faremo muovere in
futuro le automobili ed i camion, faremo
volare gli aerei, funzionare i sistemi
di riscaldamento ed i condizionatori?
La soluzione?
Che ne direste se fosse possibile:
Tutto questo a costi più bassi dei carburanti
fossili, senza interferire sensibilmente
con l’agricoltura alimentare,
in meno spazio di altre sorgenti di biocombustibili.
Ebbene, TUTTO QUESTO SI PUÒ
FARE CON LE MICROALGHE
OLEOSE! Esse sono microrganismi
vegetali che accumulano dal sole tramite
la fotosintesi clorofilliana riserve
energetiche sotto forma di olio vegetale,
con efficienza energetica maggiore
di tutte le altre piante oleose in natura
(quelle più comuni, come semi, arachidi,
olive, girasole, mais, ma anche
la colza, la palma e la yatropha): esse
accumulano fino al 50% della loro
massa in olio.
Sono questi microrganismi infatti che,
insieme ad organismi animali, nei millenni
hanno creato le riserve di petrolio.
L’olio estratto dalle microalghe va raffinato
in modo diverso per i diversi
prodotti. Un processo abbastanza facile:
per produrre biodiesel basta
aggiungere alcool (transesterificazione);
per ottenere cherosene bisogna
aumentare la densità energetica
(estrarre acqua, “reforming”). Il costo
finale oggi può essere metà di quello
del petrolio (sul mercato poi tutto
viene venduto al prezzo del petrolio,
finché della nuova fonte rinnovabile
non si avranno quantità competitive).
Queste microalghe possono essere coltivate
dove le piante alimentari non
possono essere coltivate: in acqua
(mare, acque dolci) e meno bene in
terreni aridi e rocciosi e persino nel
deserto. I terreni aridi possono essere
anche utilizzati come supporto passivo
di vasche per idrocoltura di microalghe.
E così la loro coltivazione non è a
detrimento dell’agricoltura normale,
come invece avviene nel caso dell’etanolo
da grano, riso, patate, ecc. (Ma
ora l’etanolo, con un brevetto tedesco,
può essere ricavato anche dai rifiuti
organici umidi!)
Altre utilizzazioni
Le microalghe hanno (o avranno) altre
utilizzazioni:
Questo processo si può valorizzare
per produrre bioidrogeno.
Più da vicino (scientificamente)
Sono organismi microscopici (10-40
micron) che vivono in sospensione
acquosa e sfruttano la reazione di fotosintesi
clorofilliana:
Figura 1.
luce clorofilla
5H2O + CO2 + fotoni –––––>
Biomassa (CH10O5)n + O2
dove biomassa è la cellulosa. In un
processo parallelo e meno frequente,
tramite i fotoni più energetici ed enzimi
catalizzatori, le cellule della pianta
riescono a scindere la molecola d’acqua
e ad ottenere idrogeno atomico
utilizzato anche per produrre le molecole
d’olio (più idrogenate della cellulosa).
(In figura 1, presa dall’ENI, si vede la
catena dei processi di un impianto di
coltivazione di alghe).
Biofissazione della CO2
Quindi nelle microalghe l’anidride
carbonica serve per la crescita (cellulosa)
come in tutte le piante, ma anche
per produrre olio. Nei microrganismi
ciò è favorito dalla maggiore (in proporzione)
superficie esposta al sole. In
definitiva le microalghe oleose fissano
più CO2 a parità di CO2 disponibile.
Figura 2. Produttività delle fonti vegetali
Un’idea quantitativa di questo effetto
(CO2 fissata) può misurarsi con l’olio
prodotto (anche se la CO2 viene fissata
anche come cellulosa). Ecco in tonnellate
per ettaro, di vasca di coltura
poco profonda, la produttività oggi
(secondo l’ENI) delle piante oleose (Fig. 2).
Secondo l’americana GreenFuel
Technologies, la produttività delle
microalghe in pochi anni arriverà a
30.000 litri l’anno per ettaro (già raggiunti
dall’ENI d’estate a Gela) ed in
seguito, per una grande industrializzazione
e forzatura con CO2, potrà arrivare
a 240.000 litri per ettaro l’anno.
Secondo me, con l’uso esteso di fotobioreattori
(colture ingegnerizzate di
microalghe in recipienti chiusi) si
potranno guadagnare altri fattori.
I
fotobioreattori sono oggi dieci volte
più costosi (perché sperimentali e singoli)
delle vasche aperte, ma possono
produrre anche dieci volte di più.
L’ENI è partita per decidere empiricamente,
dopo l’industrializzazione di
questi due sistemi, quale sia più conveniente.
Un pò di storia
La prima coltivazione di alghe per biocombustibili
partì negli Stati Uniti
negli anni ‘50 sul tetto del Massachussetts
Institute of Technology. La
prima grande coltura avvenne tra il
1980 e il 1995 in uno stagno aperto a
Roswell (New Mexico), con i fondi
del Department of Energy.
Nel 1988 parlarono di assorbimento
di carbonio J.C. Weissman, R.P.
Goebel e J.R. Benemann: “Photobioreactor
Design: Mixing, Carbon
utilization and Oxygen accumulation.”
Due grandi progetti di biofissazione
di CO2 da allora sono falliti
(uno in Giappone, l’altro in Germania),
a causa del costo eccessivo dei fotobioreattori.
Già nel dicembre 2005 una prima
automobile (Mercedes) azionata a biodiesel
(10% da alghe e 90% da soia)
ha percorso più di 1500 chilometri.
Figura 3. Microalga Emiliana Huxleyi al microscopio.
Oggi gli impianti di coltivazione di
alghe esistenti o in costruzione negli
Stati Uniti sono circa 60, con obiettivi
vicini al miliardo di litri l’anno.
Le alghe usate per la biofissazione di
CO2 sono prevalentemente Emiliana
Huxleyi (Fig. 3: questa microalga al
microscopio).
Oggi in Italia
Come detto sopra, in Italia l’ENI,
dopo gli esperimenti a Monterotondo,
si propone a Gela di studiare gli effetti
di scala, sia con vasche aperte che
con fotobioreattori, a partire dalla fine
del 2009. I suoi risultati di punta oggi
sono già non inferiori a quelli americani,
ed infatti l’ENI già fa parte di
una rete (Microalgae Biofixation
Network) che comprende, oltre agli
enti americani, il Brasile, l’India e la
Nuova Zelanda.
La scelta di Gela deriva dal fatto che le
regioni più adatte per la coltivazione
delle microalghe devono avere una
temperatura media superiore ai 15ºC
ed una insolazione elevata e possibilmente
costante. Inoltre a Gela è disponibile
CO2 in forma concentrata dagli
impianti della raffineria Texaco e sono
disponibili acque di scarico industriale
ad alto contenuto di azoto come
nutrienti, nonché acqua marina.
Nell’impianto attuale di Gela
dell’ENI viene coltivata la microalga
Scenedesmus sp., da cui persino a
dicembre (con la minima insolazione)
sono stati ottenuti 2,5 g/m2 di olio al
giorno (9,20 t/ha in media l’anno).
L’impianto nuovo sarà molto più
grande.
Anche l’ENEA, insieme con molti
altri, ha presentato recentemente un
progetto da 12 milioni di euro al
Ministero dell’Industria.
In questo
progetto sono integrate molte fasi
(compresa la raffineria) e si considera
anche la possibilità di modificazioni
genetiche.
In futuro
Gli aspetti di ricerca applicata da studiare
sono ancora molti, sia per ottimizzare
la produzione e la biofissazione
della CO2 sia per ridurre i costi e
l’energia spesa nelle varie fasi.
Molte sfide sono ancora poste anche a
normali iniziative di ricerca su piccola
scala.
I motori Diesel di oggi sono in grado
di funzionare anche al 100% con biodiesel
con emissioni ridotte (specialmente di CO2), tranne per gli ossidi di
azoto NOx (emessi un pò di più), e
con prestazioni parallele (leggermente
inferiori, perché non ancora ottimizzati
per questo combustibile).
Esistono però già trattori agricoli a
biodiesel, specialmente in Austria.
Per gli aerei, il cherosene da alghe, al
contrario del derivato del petrolio, è
privo di zolfo.
La National Algae Association americana
ha già decretato la commerciabilità
del biodiesel da alghe e nel 2009
cominceranno ad esserci distributori
dedicati negli Stati Uniti.
Nel mondo se ne discute con molto
interesse.
I convegni internazionali
più vicini nel tempo sono:
Conclusioni
Come dice Yusuf Chisti (Trends in
Biotechnology, Vol. 26 N.3, 2007), il
biodiesel dalle alghe ha ormai battuto
il bioetanolo, sia come efficienza di
produzione, sia perché non interferisce
significativamente con l’agricoltura
alimentare. Inoltre, molti passi
avanti possono essere ancora fatti.
La coltivazione delle microalghe comporta
anche il più alto assorbimento di
CO2. Ovviamente la combustione del
biodiesel comporta l’emissione della
stessa CO2 precedentemente assorbita,
ma senza bruciare combustibili fossili e
produrre emissioni addizionali di CO2.
Oggi è possibile (ENI) realizzare un
ciclo semi-chiuso in cui un impianto
di coltivazione di alghe usa CO2 emessa
da un’industria (Texaco). Nel ciclo
ideale immaginato da me la stessa
industria (o centrale elettrica) usa l’energia
(biodiesel) accumulata dalle
alghe. Nel ciclo schematicamente
composto dall’industria e dall’impianto
algale non entrano combustibili
fossili e non esce CO2 emessa.
L’energia per azionare l’industria è
solare ed è rinnovabile totalmente
(ovviamente le dimensioni dei due
impianti devono essere ben correlate
per rendere possibile questo).
Nel ciclo ideale semi-chiuso entrano,
oltre all’energia solare, acqua e
nutrienti, ed esce biomassa algale di
scarto da recuperare per emissioni di
biogas, pure utilizzabile idealmente
nell’impianto.
Gli effluenti dal digestore
anaerobico possono essere usati
come fertilizzanti (magari dalle alghe
stesse: un ciclo più grande).
È pensabile quindi realizzare kit complementari
all’impianto che consuma
energia per fornire ad esso biodiesel e
metano ed assorbirne le emissioni,
facendo risparmiare sia il costo del
combustibile fossile (il biodiesel costerà
in futuro molto meno del petrolio)
e del suo trasporto, sia le emissioni ed
i relativi diritti da pagare.
In definitiva, oltre alla riduzione dell’uso
di combustibili fossili e quindi
delle emissioni di CO2, si possono
ottenere biocarburanti rinnovabili per
auto, camion, aerei e riscaldamento o
rinfrescamento.
Si capisce perché gli USA sono così fortemente
impegnati in questo campo e
perché la rivista Time considera il biodiesel
da alghe una delle 50 migliori
invenzioni dell’umanità nel 2008.