La relazione continuativa tra chi eroga
e chi riceve un servizio sanitario, rappresenta uno dei
fattori determinanti per definire la qualità dell’assistenza.
Al concetto di “cura” si sostituisce infatti quello di
“presa in carico” del paziente da parte dell’intera rete
assistenziale presente sul territorio. Un metodo, tuttavia,
di non semplice applicazione che deve essere attentamente
progettato dal punto di vista organizzativo. Fondamentale
è condurre il paziente all’interno del potenziale labirinto
rappresentato dal sistema dei servizi sanitari, e guidarlo
verso le modalità di cura più efficaci ed appropriate.
L’Organizzazione Mondiale
della Sanità considera la continuità delle cure uno degli
indicatori più sensibili del buon funzionamento di un
Servizio Sanitario, perché aggiunge, al tradizionale concetto
di cura, quello della presa in carico del paziente ai
diversi livelli della rete assistenziale tra territorio
ed ospedale.
La continuità rappresenta, quindi, un obiettivo ed insieme
una strategia per migliorare la qualità dell’assistenza
e per rispondere in modo efficace ai problemi critici,
alle complessità organizzative e alle difficoltà umane
poste, in particolare, dai pazienti cronici, per definizione
non guaribili, che devono essere curati per un lungo periodo
(1).
Tra le molte definizioni che sono state formulate per
descrivere il concetto della qualità dell’assistenza,
che rischia di rimanere astratto, due sembrano, nel nostro
contesto, di particolare interesse: • Il tipo di cura che è prevedibile migliori
una misura inclusiva di benessere del paziente, dopo che
si è considerato il bilancio tra i vantaggi previsti e
gli effetti negativi che accompagnano il processo di cura
in tutte le sue componenti (2) • Il grado con cui i Servizi Sanitari,
per il singolo individuo e la Comunità, aumentano la probabilità
del verificarsi di esiti di salute desiderabili e coerenti
con il livello attuale delle conoscenze professionali
(3).
E’ opportuno ricordare che, per la complessità delle variabili
in gioco, l’assistenza sanitaria è maggiormente assimilabile
ad un sistema adattativo complesso che ad uno razionale,
esplorabile con la sola logica scientifica, e questa considerazione
è rinforzata dalla saggia affermazione di Donabedian (4)
secondo il quale molte formulazioni di qualità sono legittime
e possibili, in ragione di dove siamo situati nel sistema
delle cure e della natura e del grado delle nostre responsabilità.
L’Ufficio della Regione Europa dell’Organizzazione Mondiale
della Sanità ha dedicato, nell’ambito del programma “Health
for all by the year 2000: target 28 – Primary Health Care”,
uno specifico Working Group al tema della “Continuity
of care in changing Health Care Systems” (5), riunitosi
a Cittadella (PD) nel 1991.
Rileggendo il report di allora, in preparazione del Convegno
Regionale Veneto 2001 della Società per la Qualità dell’Assistenza
Sanitaria, specificamente dedicato al tema della continuità,
le considerazioni espresse, ed anche le raccomandazioni
appaiono quanto mai attuali e condivisibili, perché le
criticità evidenziate sono ancora lontane da una soluzione
omogenea e diffusa. Il report identifica tre livelli nella
continuità delle cure: 1. livello individuale: la continuità
significa una relazione continuativa tra chi eroga e chi
riceve un servizio sanitario; 2. livello di team: la relazione continuativa
è con i membri del team che perseguono obiettivi (di salute)
comuni; 3. livello di rete: la continuità è
assicurata dalle relazioni tra le maglie di una rete di
servizi che interagiscono a vari livelli, in funzione
di carichi assistenziali differenziati.
Il primo livello è quello più conosciuto
e tradizionale della continuità di rapporto diretto e
protratto nel tempo tra medico e paziente. In letteratura
viene riportata una distinzione tra continuità longitudinale
e continuità personale, specificando che quest’ultima
aggiunge il concetto di empatia, di responsabilità, di
capacità di ascolto e di soluzione dei problemi. Con la
consueta arguzia, gli Anglosassoni parlano di “a sort
of cradle to grave care package (dalla culla alla tomba)”
(6). Questo tipo di continuità è quasi specifica della
Assistenza Primaria, mentre all’altro estremo, nel senso
di discontinuità, vi sono le specialità dell’urgenza emergenza,
nelle quali è quasi patognomonica un’unica consultazione.
Sempre più frequentemente si affianca al primo un secondo
livello nel quale opera un team multi professionale.
Nella nostra realtà, questo modello può essere paragonabile
alla Medicina di Gruppo prevista dagli accordi nazionali
per la Medicina Generale, alle forme più organizzate di
assistenza domiciliare, e agli ambulatori integrati ospedalieri
per i pazienti fragili.
Il fattore critico per un efficace teamwork è rappresentato
dalla collaborazione, che comprende: condivisione da parte
dei componenti del team nella pianificazione, specificazione
di obiettivi, assunzione di decisioni, capacità di problem
solving e valutazione dei risultati, coordinamento nei
profili di cura individuali e cooperazione multi professionale.
Alcuni importanti ostacoli sono: percezione del teamwork
come un rischio per l’identità professionale, mancanza
di conoscenza e comprensione del lavoro degli altri, cattiva
comunicazione e deficitario trasferimento di informazioni,
competizione tra gruppi professionali, carenze di formazione,
mancanza di supporto manageriale.
Il terzo livello entra in gioco quando
la complessità delle cure fa sì che la gestione del paziente
sia condivisa tra i team di assistenza primaria e secondaria
(territorio ed ospedale), e ulteriormente negli snodi
della rete tra regime di ricovero per acuti, subacuti,
residenzialità extraospedaliera e domicilio (7) (8). La
forma di continuità più studiata è quella longitudinale
(9), per la quale è dimostrato un significativo miglioramento
del grado di soddisfazione sia del paziente che del medico,
mentre l’associazione appare meno significativa per altri
possibili, ed intuibili, outcomes favorevoli, quali: compliance
alla terapia, riduzione del numero e della durata dei
ricoveri ospedalieri, risparmio di tempo, esami diagnostici
ed in genere risorse.
In realtà sembrano esservi pazienti, e problemi correlati,
nei quali la 37 continuità personale è di cruciale importanza
ed altri pazienti/problemi nei quali è irrilevante (10).
Il report dell’OMS identifica alcuni possibili benefici
della continuità assistenziale: 1. il potenziale di integrare le dimensioni
fisica, psicologica, sociale ed economica delle cure;
2. una migliore relazione tra erogatori
ed utenti dei servizi sanitari; 3. l’impulso ad un ruolo più attivo
degli utenti nel mantenimento e nella promozione della
propria salute; 4. la riduzione dei costi attraverso
la prevenzione della duplicazione dei servizi e del sovra
utilizzo degli stessi; 5. l’aumentata soddisfazione degli utenti
verso i servizi ricevuti e dei professionisti nei riguardi
del proprio lavoro.
L’unico svantaggio della continuità assistenziale è il
fatto che può nascondere una cattiva qualità dell’assistenza,
in particolare nella dimensione tecnico-professionale,
specie in condizioni che non consentono un reale esercizio
della libera scelta da parte del paziente. Un ulteriore
aspetto interessante emerge dalla considerazione che un
sistema complesso, in rapido e continuo cambiamento, ed
intrinsecamente rischioso come quello sanitario, presenta
molti gaps (buchi) tra le persone ed i processi assistenziali.
I gaps (11) possono essere definiti come elementi di discontinuità
nelle cure, che appaiono come perdita di informazioni
o interruzioni nella erogazione del processo assistenziale.
Questo elemento, che evidenzia una perdita di coerenza
del profilo assistenziale individuale, si manifesta in
particolare nel così detto “handover”, il passaggio di
consegne che avviene alla fine dei turni del personale,
nel caso di trasferimenti tra Unità Operative diverse
o tra diverse Strutture assistenziali, e quando cambia
il regime assistenziale attraverso il network, come avviene
in caso di dimissioni tra l’ospedale ed il territorio,
o nel percorso inverso che porta al ricovero ospedaliero.
Il ruolo del medico appare sempre più complesso, perché,
nell’esercizio della sua funzione (non particolarmente
gradita) di “gate keeper”, rischia di tenere il cancello
o troppo chiuso o troppo aperto, in relazione alle istanze
potenzialmente conflittuali del contenimento dei costi
e delle crescenti aspettative dei pazienti. In realtà
i pazienti si rivolgono al medico per sapere quello che
sta succedendo loro, che cosa significa e che cosa può
essere fatto per risolvere i problemi di salute di cui
sono portatori (12).
Rispondere in modo convincente ed efficace a queste preoccupazioni,
condurre il paziente all’interno del potenziale labirinto
rappresentato dal sistema dei servizi sanitari, e guidarlo
verso le modalità più efficaci ed appropriate di cura
appare come l’elemento chiave della continuità assistenziale.
La continuità rappresenta, quindi, un elemento importante
ed essenziale della qualità dell’assistenza che, per essere
perseguito, deve essere progettato dal punto di vista
organizzativo, prevedendo specifiche modalità di incentivazione,
e valutato sistematicamente con idonei indicatori di struttura,
processo ed outcome. Molti potrebbero essere gli aforismi
per concludere questa rapida carrellata sulla dimensione
della continuità; agli estensori piace questo “Alcuni
vedono le cose come sono e dicono perché? Io sogno cose
non ancora esistite e chiedo perché no? (George Bernard
Shaw).
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
1. Trabucchi M. et al., Rapporto Sanità 2001: la continuità
assistenziale, Fondazione Smith Kline, ed. il Mulino,
2001
2. Donabedian A., Explorations in quality assessment and
monitorino, Vol.1, The definition of quality and approaches
to its assessment, Ann Arbor, Mich.: Health Administration
Press, 1980
3. Lohr KN et al, Medicare: a strategy for quality assurance.V.
Quality of care in a changing health care environment,
Qual Rev Bull 1992; 18:120-6 4. Donabedian A., The quality
of care: how can it be assessed JAMA 1988;260:1743-1748
5. World Health Organization-Regional Office for Europe,
Continuity of care in changing Health Care Systems, Report
on a WHO Working Group, Cittadella-Italy 11-14 december
1991. EUR/HFA target 28
6. Bulstrode C., Personal view: continuity of care-sacred
cow or vital necessity, BMJ 1995;310:1144-1145 (29 April)
7. Fasolo F., Baldantoni E., La Medicina del Territorio
tra 833 e 502, atti del convegno, Cittadella (PD) 28 maggio
1994
8. Galeota D., Baldantoni E., Assistenza sanitaria primaria:
cooperazione tra Servizi Sanitari e Sociali nell’ULSS
19 della Regione Veneto, Rivista Italiana di Medicina
di Comunità, n. 3 marzo 1992
9. Freeman G. et al.,What future for continuity of care
in general practice, BMJ 1997;314:1870 (28 June)
10. Guthrie B. et al., Does continuity in general practice
really matter, BMJ 2000;321:734-736 (23 september)
11. Cook R. et al., gaps in the continuity of care and
progress on patient safety, BMJ 2000; 320:791-794 (18
March)
12. General Medical Services Committee, Core general medical
services and the classification of general practitioner
activity, London: GMSC, 1995