Sezioni Tematiche

Editoriale

2003: Anno europeo dei disabili

Tecnologia
& Riabilitazione


Patologia e Qualità della Vita

Parliamo di...

Testimonianze

Pensare per tutti

 
La relazione continuativa tra chi eroga e chi riceve un servizio sanitario, rappresenta uno dei fattori determinanti per definire la qualità dell’assistenza. Al concetto di “cura” si sostituisce infatti quello di “presa in carico” del paziente da parte dell’intera rete assistenziale presente sul territorio. Un metodo, tuttavia, di non semplice applicazione che deve essere attentamente progettato dal punto di vista organizzativo. Fondamentale è condurre il paziente all’interno del potenziale labirinto rappresentato dal sistema dei servizi sanitari, e guidarlo verso le modalità di cura più efficaci ed appropriate.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità considera la continuità delle cure uno degli indicatori più sensibili del buon funzionamento di un Servizio Sanitario, perché aggiunge, al tradizionale concetto di cura, quello della presa in carico del paziente ai diversi livelli della rete assistenziale tra territorio ed ospedale.

La continuità rappresenta, quindi, un obiettivo ed insieme una strategia per migliorare la qualità dell’assistenza e per rispondere in modo efficace ai problemi critici, alle complessità organizzative e alle difficoltà umane poste, in particolare, dai pazienti cronici, per definizione non guaribili, che devono essere curati per un lungo periodo (1).

Tra le molte definizioni che sono state formulate per descrivere il concetto della qualità dell’assistenza, che rischia di rimanere astratto, due sembrano, nel nostro contesto, di particolare interesse:
• Il tipo di cura che è prevedibile migliori una misura inclusiva di benessere del paziente, dopo che si è considerato il bilancio tra i vantaggi previsti e gli effetti negativi che accompagnano il processo di cura in tutte le sue componenti (2)
• Il grado con cui i Servizi Sanitari, per il singolo individuo e la Comunità, aumentano la probabilità del verificarsi di esiti di salute desiderabili e coerenti con il livello attuale delle conoscenze professionali (3).

E’ opportuno ricordare che, per la complessità delle variabili in gioco, l’assistenza sanitaria è maggiormente assimilabile ad un sistema adattativo complesso che ad uno razionale, esplorabile con la sola logica scientifica, e questa considerazione è rinforzata dalla saggia affermazione di Donabedian (4) secondo il quale molte formulazioni di qualità sono legittime e possibili, in ragione di dove siamo situati nel sistema delle cure e della natura e del grado delle nostre responsabilità. L’Ufficio della Regione Europa dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dedicato, nell’ambito del programma “Health for all by the year 2000: target 28 – Primary Health Care”, uno specifico Working Group al tema della “Continuity of care in changing Health Care Systems” (5), riunitosi a Cittadella (PD) nel 1991.

Rileggendo il report di allora, in preparazione del Convegno Regionale Veneto 2001 della Società per la Qualità dell’Assistenza Sanitaria, specificamente dedicato al tema della continuità, le considerazioni espresse, ed anche le raccomandazioni appaiono quanto mai attuali e condivisibili, perché le criticità evidenziate sono ancora lontane da una soluzione omogenea e diffusa. Il report identifica tre livelli nella continuità delle cure:
1. livello individuale: la continuità significa una relazione continuativa tra chi eroga e chi riceve un servizio sanitario;
2. livello di team: la relazione continuativa è con i membri del team che perseguono obiettivi (di salute) comuni;
3. livello di rete: la continuità è assicurata dalle relazioni tra le maglie di una rete di servizi che interagiscono a vari livelli, in funzione di carichi assistenziali differenziati.

Il primo livello è quello più conosciuto e tradizionale della continuità di rapporto diretto e protratto nel tempo tra medico e paziente. In letteratura viene riportata una distinzione tra continuità longitudinale e continuità personale, specificando che quest’ultima aggiunge il concetto di empatia, di responsabilità, di capacità di ascolto e di soluzione dei problemi. Con la consueta arguzia, gli Anglosassoni parlano di “a sort of cradle to grave care package (dalla culla alla tomba)” (6). Questo tipo di continuità è quasi specifica della Assistenza Primaria, mentre all’altro estremo, nel senso di discontinuità, vi sono le specialità dell’urgenza emergenza, nelle quali è quasi patognomonica un’unica consultazione. Sempre più frequentemente si affianca al primo un secondo livello nel quale opera un team multi professionale. Nella nostra realtà, questo modello può essere paragonabile alla Medicina di Gruppo prevista dagli accordi nazionali per la Medicina Generale, alle forme più organizzate di assistenza domiciliare, e agli ambulatori integrati ospedalieri per i pazienti fragili.

Il fattore critico per un efficace teamwork è rappresentato dalla collaborazione, che comprende: condivisione da parte dei componenti del team nella pianificazione, specificazione di obiettivi, assunzione di decisioni, capacità di problem solving e valutazione dei risultati, coordinamento nei profili di cura individuali e cooperazione multi professionale. Alcuni importanti ostacoli sono: percezione del teamwork come un rischio per l’identità professionale, mancanza di conoscenza e comprensione del lavoro degli altri, cattiva comunicazione e deficitario trasferimento di informazioni, competizione tra gruppi professionali, carenze di formazione, mancanza di supporto manageriale.

Il terzo livello entra in gioco quando la complessità delle cure fa sì che la gestione del paziente sia condivisa tra i team di assistenza primaria e secondaria (territorio ed ospedale), e ulteriormente negli snodi della rete tra regime di ricovero per acuti, subacuti, residenzialità extraospedaliera e domicilio (7) (8). La forma di continuità più studiata è quella longitudinale (9), per la quale è dimostrato un significativo miglioramento del grado di soddisfazione sia del paziente che del medico, mentre l’associazione appare meno significativa per altri possibili, ed intuibili, outcomes favorevoli, quali: compliance alla terapia, riduzione del numero e della durata dei ricoveri ospedalieri, risparmio di tempo, esami diagnostici ed in genere risorse.

In realtà sembrano esservi pazienti, e problemi correlati, nei quali la 37 continuità personale è di cruciale importanza ed altri pazienti/problemi nei quali è irrilevante (10). Il report dell’OMS identifica alcuni possibili benefici della continuità assistenziale:
1. il potenziale di integrare le dimensioni fisica, psicologica, sociale ed economica delle cure;
2. una migliore relazione tra erogatori ed utenti dei servizi sanitari;
3. l’impulso ad un ruolo più attivo degli utenti nel mantenimento e nella promozione della propria salute;
4. la riduzione dei costi attraverso la prevenzione della duplicazione dei servizi e del sovra utilizzo degli stessi;
5. l’aumentata soddisfazione degli utenti verso i servizi ricevuti e dei professionisti nei riguardi del proprio lavoro.

L’unico svantaggio della continuità assistenziale è il fatto che può nascondere una cattiva qualità dell’assistenza, in particolare nella dimensione tecnico-professionale, specie in condizioni che non consentono un reale esercizio della libera scelta da parte del paziente. Un ulteriore aspetto interessante emerge dalla considerazione che un sistema complesso, in rapido e continuo cambiamento, ed intrinsecamente rischioso come quello sanitario, presenta molti gaps (buchi) tra le persone ed i processi assistenziali.

I gaps (11) possono essere definiti come elementi di discontinuità nelle cure, che appaiono come perdita di informazioni o interruzioni nella erogazione del processo assistenziale. Questo elemento, che evidenzia una perdita di coerenza del profilo assistenziale individuale, si manifesta in particolare nel così detto “handover”, il passaggio di consegne che avviene alla fine dei turni del personale, nel caso di trasferimenti tra Unità Operative diverse o tra diverse Strutture assistenziali, e quando cambia il regime assistenziale attraverso il network, come avviene in caso di dimissioni tra l’ospedale ed il territorio, o nel percorso inverso che porta al ricovero ospedaliero. Il ruolo del medico appare sempre più complesso, perché, nell’esercizio della sua funzione (non particolarmente gradita) di “gate keeper”, rischia di tenere il cancello o troppo chiuso o troppo aperto, in relazione alle istanze potenzialmente conflittuali del contenimento dei costi e delle crescenti aspettative dei pazienti. In realtà i pazienti si rivolgono al medico per sapere quello che sta succedendo loro, che cosa significa e che cosa può essere fatto per risolvere i problemi di salute di cui sono portatori (12).

Rispondere in modo convincente ed efficace a queste preoccupazioni, condurre il paziente all’interno del potenziale labirinto rappresentato dal sistema dei servizi sanitari, e guidarlo verso le modalità più efficaci ed appropriate di cura appare come l’elemento chiave della continuità assistenziale. La continuità rappresenta, quindi, un elemento importante ed essenziale della qualità dell’assistenza che, per essere perseguito, deve essere progettato dal punto di vista organizzativo, prevedendo specifiche modalità di incentivazione, e valutato sistematicamente con idonei indicatori di struttura, processo ed outcome. Molti potrebbero essere gli aforismi per concludere questa rapida carrellata sulla dimensione della continuità; agli estensori piace questo “Alcuni vedono le cose come sono e dicono perché? Io sogno cose non ancora esistite e chiedo perché no? (George Bernard Shaw).


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
1. Trabucchi M. et al., Rapporto Sanità 2001: la continuità assistenziale, Fondazione Smith Kline, ed. il Mulino, 2001
2. Donabedian A., Explorations in quality assessment and monitorino, Vol.1, The definition of quality and approaches to its assessment, Ann Arbor, Mich.: Health Administration Press, 1980
3. Lohr KN et al, Medicare: a strategy for quality assurance.V. Quality of care in a changing health care environment, Qual Rev Bull 1992; 18:120-6 4. Donabedian A., The quality of care: how can it be assessed JAMA 1988;260:1743-1748
5. World Health Organization-Regional Office for Europe, Continuity of care in changing Health Care Systems, Report on a WHO Working Group, Cittadella-Italy 11-14 december 1991. EUR/HFA target 28
6. Bulstrode C., Personal view: continuity of care-sacred cow or vital necessity, BMJ 1995;310:1144-1145 (29 April)
7. Fasolo F., Baldantoni E., La Medicina del Territorio tra 833 e 502, atti del convegno, Cittadella (PD) 28 maggio 1994
8. Galeota D., Baldantoni E., Assistenza sanitaria primaria: cooperazione tra Servizi Sanitari e Sociali nell’ULSS 19 della Regione Veneto, Rivista Italiana di Medicina di Comunità, n. 3 marzo 1992
9. Freeman G. et al.,What future for continuity of care in general practice, BMJ 1997;314:1870 (28 June)
10. Guthrie B. et al., Does continuity in general practice really matter, BMJ 2000;321:734-736 (23 september)
11. Cook R. et al., gaps in the continuity of care and progress on patient safety, BMJ 2000; 320:791-794 (18 March)
12. General Medical Services Committee, Core general medical services and the classification of general practitioner activity, London: GMSC, 1995

 
Cerca nel sito
 
 
Qualità dell'assistenza & continuità delle cure

La broncopneumopatia cronica ostruttiva

 
 

di Enrico Baldantoni Presidente della Società Veneta per la Qualità dell’Assistenza Sanitaria SIQuAS-VRQ

di Chiara Bovo Responsabile Unità per il Miglioramento Continuo della Qualità dell’Assistenza Sanitaria - Azienda ULSS n. 14 - Regione Veneto
Segnala tramite email >>