Circa 600 milioni di persone,
il 10% della popolazione mondiale, secondo le stime
delle Nazioni Unite, vivono un’esperienza di disabilità.
La maggior parte di esse (oltre due terzi) sono abitanti
dei cosiddetti Paesi in via di sviluppo. In quanto persone
umane, sono titolari dalla nascita, di diritti irrevocabili
e libertà fondamentali riconosciuti dal vigente diritto
internazionale, oltre che dalle Costituzioni democratiche
dei singoli ordinamenti interni.
Ci si potrebbe chiedere, stando così le cose, quale
sia dunque la necessità di prevedere un nuovo, specifico
strumento che riaffermi la dignità delle persone con
disabilità, essendo già esse tutelate sia sul piano
nazionale che su quello sopranazionale da un corredo
di Carte e relativi meccanismi di monitoraggio.
Il fatto è che la persona con disabilità, oltre a vedere
elencati i propri diritti in enunciazioni che divengono
sterili se non accompagnate da adeguate politiche ed
efficaci strumentazioni di garanzia e controllo, deve
poter realizzare pienamente la propria personalità in
tutti gli ambiti dell’esistenza umana.
Essa deve essere posta nella condizione di realizzare
concretamente questo obiettivo, comune a tutti gli esseri
umani. Ha pertanto diritto non già al riconoscimento
di ulteriori diritti umani, bensì ad un “supplemento
di garanzie”, ovvero alla pratica fruizione di specifiche
azioni positive, di politiche pubbliche, insomma di
un’organica mobilitazione di risorse materiali e umane1.
Ciò perché, nonostante sulla carta la persona con disabilità
si trovi in una condizione di parità con tutti gli esseri
umani, essa convive quotidianamente (e vi ha convissuto
per secoli2) con pratiche discriminatorie lesive della
dignità umana e tese alla segregazione e all’isolamento
di tali vulnerabili soggetti, considerati, colpevolmente,
come inadatti ai sistemi produttivi moderni.
Dunque, in armonia con lo sviluppo umanocentrico del
diritto internazionale (svolta avviatasi a partire dai
primi anni ’70), il contesto delle Nazioni Unite è stato
il primo ad avvertire la necessità di agire per far
evadere le persone con disabilità dalla pesante invisibilità
che le segregava e per dotarle di forti strumenti atti
a invertire la tendenza che le vedeva come oggetti di
assistenzialismo sanitario e politiche sociali e non
come soggetti originari di diritto. Basandosi sulla
tutela della dignità umana e sul divieto di qualsiasi
forma di discriminazione (principi presenti in tutte
le Convenzioni settoriali delle Nazioni Unite), e in
una prospettiva di diritti umani, si intraprese così
un cammino inauguratosi nel 1975 con l’adozione, da
parte dell’Assemblea Generale, di una Dichiarazione
sui diritti delle persone disabili. Sviluppi significativi
hanno avuto luogo a seguito della proclamazione del
1981 quale Anno internazionale delle persone disabili.
Successivamente, nel 1982, l’Assemblea Generale adottò
un Programma d’Azione mondiale per le persone disabili
che delineava linee guida sulla prevenzione, riabilitazione
e uguaglianza di opportunità, frutto della collaborazione
di governi e organizzazioni di persone disabili (avamposto
del motto “nulla su di noi senza di noi”, cardine del
movimento internazionale delle persone con disabilità).
L’Anno internazionale e il Programma di Azione Mondiale
segnarono l’inizio di una nuova era che spostava l’attenzione
sulla persona e sulla disabilità come relazione tra
la persona e l’ambiente che la circonda, finalizzata
all’abbattimento di ogni tipo di barriera.
Tale approccio fu ulteriormente sviluppato nel corso
della Decade Internazionale dell’Onu delle persone disabili
(1983-1992), dedicata a promuovere il miglioramento
della situazione di vita e dello status delle persone
disabili, che si concluse con la proclamazione del 3
dicembre di ogni anno come Giornata internazionale delle
persone con disabilità. Il risultato maggiore ottenuto
dalla decade fu certamente l’adozione delle “Regole
Standard per il raggiungimento delle pari opportunità
per le persone con disabilità” (Ris. 48/96 dell’Assemblea
Generale, 20 dicembre 1993).
Tale
documento non detiene efficacia giuridica vincolante
ma è ugualmente importante in quanto le 22 regole rappresentano
uno strumento di ispirazione per politiche e programmi
relativi alla disabilità (da segnalare, in Italia, la
recente esperienza dei comuni di Terni e Monza nella
veste di “laboratori” per l’applicazione delle Regole
standard nelle politiche locali, la cosiddetta “Agenda
22”).
Le regole hanno previsto pure un meccanismo di monitoraggio:
un relatore speciale sulla disabilità ha inviato sin
dal 1994 una serie di rapporti alla Commissione per
lo sviluppo sociale del Consiglio Economico e Sociale
delle Nazioni Unite (Ecosoc) sull’attuazione delle Regole
Standard. Nei documenti conclusivi della Conferenza
mondiale sui diritti umani di Vienna del 1993 e del
Summit mondiale sullo sviluppo sociale di Copenaghen
del 1995, è riaffermata con forza la necessità di guardare
alla disabilità nella prospettiva dei diritti umani3.
Ed è proprio seguendo il paradigma dei diritti umani,
e ispirandosi al triplice principio di vita, eguaglianza
e non discriminazione, che negli ultimi anni, sotto
la pressione del movimento internazionale non governativo
delle persone con disabilità, è stata riconosciuta la
necessità dell’adozione di una specifica convenzione
sulle persone con disabilità.
I primi segnali di una volontà internazionale di arricchire
il Codice internazionale dei diritti umani4 e le accessorie
convenzioni tematiche in tema di diritti umani, si concretizzarono
col paragrafo 180 del documento finale della Conferenza
mondiale contro il razzismo (Durban, settembre 2001)
col quale si invitava l’Assemblea Generale a considerare
di elaborare una “Convenzione internazionale integrale
e comprensiva per proteggere e promuovere i diritti
e la dignità delle persone disabili. Nel 2001 l’Assemblea
Generale, con Ris. 56/168, ha istituito un Comitato
ad hoc con il compito di elaborare un progetto per una
Convenzione globale per la promozione e la protezione
dei diritti e della dignità delle persone con disabilità
(…) basata su un approccio olistico nel campo dello
sviluppo sociale, i diritti umani e la non discriminazione.
Con la medesima risoluzione, l’Assemblea Generale ha
invitato gli Stati, gli organi e le istituzioni del
sistema delle Nazioni Unite, così come le organizzazioni
intergovernative e nongovernative interessate alla questione,
a partecipare attraverso l’organizzazione di seminari
di studio e l’elaborazione di contributi al lavoro del
Comitato ad hoc: per la prima volta nella storia delle
Nazioni Unite, rappresentanti della società civile sono
membri a pieno titolo di un Comitato dell’Assemblea
Generale, in ossequio ai fondamentali principi democratizzanti
di partenariato, sussidiarietà e integrazione orizzontale
“dalla città all’Onu”.
Il negoziato per giungere ad un accordo condiviso e
universale è dunque di matrice transnazionale e non
più prettamente intergovernativo, basato su un approccio
“human security”5 e comprendente attori di diversa natura:
Stati membri dell’Onu, gruppi regionali, osservatori6,
Unione Europea con la voce unitaria della Presidenza,
cinquantanove Ong accreditate riunite nell’International
Disability Caucus (IDC), organismo di coordinamento
per dare una voce unitaria, una posizione comune alla
società civile sulla disabilità all’interno del Comitato
ad hoc. Dopo la prima sessione del 2002, nella quale
si sono definite le posizioni degli attori negoziali
e si è concordata la ratio d’insieme della Convenzione,
nel 2003 si è creato un Gruppo di Lavoro responsabile
di redigere una bozza di Convenzione.
Il Gruppo di Lavoro composto da 27 rappresentanti degli
Stati membri, 12 DPOs7 e un’istituzione nazionale per
i diritti umani, si è riunito per la prima volta nel
gennaio 2004. Nel corso di due settimane e sulla base
del materiale presentato al Comitato fino ad allora,
il Gruppo di Lavoro ha finalmente prodotto una bozza
di 25 articoli. Da allora, nelle successive sessioni
di lavoro del Comitato ad hoc, si sono susseguite una
serie di rivisitazioni, commenti, parentesi, serrate
negoziazioni specifiche sui punti ancora controversi
e sui temi più difficili, fino ad arrivare, nell’VIII
sessione (14-25 agosto 2006) all’approvazione di un
testo condiviso in cui si è raggiunto l’accordo anche
su materie sensibili come i bambini e le donne con disabilità
(artt. 6 e 7), la capacità giuridica (art. 12), la protezione
dell’integrità della persona (art.17) e il diritto alla
salute (art. 25), oltre che sulle spinose questioni,
indigeste agli Stati sostenitori della non ingerenza
negli affari interni dei Paesi membri, del monitoraggio
internazionale (artt. 34 e ss.) e della cooperazione
internazionale (art. 32).
Dopo sei anni di trattative complesse e negoziazioni
tortuose e grazie allo splendido lavoro di mediazione
e proposizione svolto dal Presidente del Comitato ad
hoc, il neozelandese Don MacKay, si è quindi approdati
ad una Carta universale di tutela dei diritti, delle
libertà fondamentali e della dignità delle persone con
disabilità provenienti da tutto il mondo, di tutte le
etnie, di tutte le estrazioni sociali, secondo il fondamentale
principio di non discriminazione, architrave della struttura
convenzionale elencato tra i principi generali (art.
3), assieme al rispetto per la dignità umana, alla piena
ed effettiva partecipazione all’interno della società,
al rispetto per la differenza e alla valorizzazione
delle diversità, all’eguaglianza di opportunità, all’accessibilità.
Il testo, dopo un necessario chiarimento sulle definizioni
presenti (art. 1), si sviluppa richiamando le particolari
situazioni di vulnerabilità delle donne e dei bambini
con disabilità, insiste sui concetti forti di eguaglianza
e non discriminazione (art. 5) come fonte ispiratrice
dell’intero documento, sottolinea l’importanza di garantire
alle persone con disabilità accessibilità in tutti gli
ambiti della vita (art. 9), ribadisce l’importanza della
protezione dell’integrità delle persone (art. 17) insistendo
sull’abolizione dell’istituzionalizzazione e sulla cessazione
di trattamenti involontari di persone con disabilità,
sancisce la vitale importanza per le persone con disabilità
di vivere in maniera indipendente, inclusi nella vita
di comunità (art. 19). Dopo l’elencazione di alcuni
diritti civili e politici (artt. 20-23, 29, 30) ed economici,
sociali e culturali quali l’istruzione, l’educazione,
la salute e il lavoro (artt.24-28), la Convenzione arriva
a trattare temi “scottanti” quali la cooperazione (art.
32) e il monitoraggio internazionale (art. 35), prevedendo,
oltre al monitoraggio e all’implementazione a livello
nazionale (art. 33), un meccanismo di rapporti che gli
Stati parte devono sottoporre a un Comitato per i diritti
delle persone con disabilità di ipotizzabile istituzione
in seno al sistema Onu dei Comitati ad hoc (artt. 34-39),
considerando pure la realtà di comporre una Conferenza
degli Stati parte per discutere periodicamente di argomenti
inerenti la Convenzione (art. 40). Il testo approvato
si conclude con le indicazioni formali riguardanti l’entrata
in vigore (art. 45), prevista al momento del deposito
del ventesimo strumento di ratifica per mano degli Stati
parte.
L’Assemblea Generale, nella sua sessantunesima sessione
del settembre 2006, non ha inserito in agenda l’adozione
della Convenzione; si aspetta dunque la prossima sessione
per l’ultimo, fondamentale passo, per l’acquisizione
di questo importantissimo strumento da parte della comunità
internazionale, che doterà 600 milioni di persone con
disabilità di uno strumento vigoroso che obblighi gli
Stati ai necessari adempimenti per consentire la piena
partecipazione nella vita di comunità, la realizzazione
personale di queste persone per secoli soggette a emarginazioni
e discriminazioni, ma ora pronte a rivendicare la propria
dignità e libertà, nel segno di un effettivo diritto
alla vita per tutti, omnes includendos.
1 Archivio “Pace Diritti Umani” – Bollettino
n. 26-27. Supplemento al numero 1/2004 della Rivista
“Pace Diritti Umani” (pagg. 2-3).
2 si veda G. Padovani, “Storia del trattamento sociale
delle persone con disabilità”, 2006.
3 Archivio “Pace Diritti Umani” – Bollettino n. 26-27.
Supplemento al numero 1/2004 della Rivista “Pace Diritti
Umani” (pag. 3).
4 L’International Bill of Human Rights rappresenta la
fonte principale della produzione normativa sui diritti
umani, ed è composto dalla Dichiarazione universale
dei diritti dell’uomo (1949) e dai due Patti internazionali
del 1966 con relativi Protocolli (comunicazioni individuali
e abolizione della pena di morte).
5 Tale approccio prescrive l’attiva partecipazione delle
Organizzazioni non governative al processo di negoziazione,
l’impegno per una dimensione universale della Convenzione,
la spinta al processo di ratifica e alla creazione di
meccanismi di monitoraggio (machinery).
6 Santa Sede, Autorità nazionale palestinese, Organizzazione
della Conferenza islamica.
7 acronimo per Disabled People Organizations.
|