nche oggi torniamo a parlare
di legge 40, ne ricordiamo alcuni aspetti critici che
tuttora sfidano l’opinione pubblica e fanno sollevare
ripetutamente il problema della sua revisione. Lo facciamo
anche perché l’ultima delle sentenze della Corte costituzionale,
ne ha confermato la validità dell’impianto, rispondendo
ad un interrogativo drammatico posto da una coppia sarda
affetta da una malattia genetica. Non è lecito fare selezione
degli embrioni, sia pure attraverso test diagnostici preimpianto,
perché questo implicherebbe un giudizio di valore sulla
vita umana, stabilendo per legge chi ha diritto a vivere
e chi no. La legge 40, come è noto, mentre apriva alle
coppie sterili la possibilità di accedere alla procreazione
medicalmente assistita, fissava alcuni principi chiari
ed inequivocabili per tutti: il diritto alla vita di tutti
gli embrioni e il dovere di impianto per tutti gli embrioni
prodotti. E questo non perché non riconosceva la legittima
aspirazione di ogni genitore ad avere un figlio sano,
ma perché questo desiderio non è un diritto e perché la
scienza è chiamata a risolvere i problemi dei malati,
non ad eliminare i malati perché rappresentano un problema…
L’iter
legislativo ::..
La legge 40, del 19 febbraio 2004: Norme in materia di
procreazione medicalmente assistita, si è posta fin dall’inizio
come uno spartiacque di notevole impatto culturale, con
una ampia ricaduta a livello personale, familiare e sociale.
Ma anche a livello politico ha marcato una linea di frontiera
che caratterizza in modo inequivocabile non tanto l’appartenenza
ad uno piuttosto che ad un altro dei due schieramenti,
quanto piuttosto la possibilità di riconoscersi in un
core values del tutto trasversale, fortemente connotato
nel suo ancoraggio alla tutela della vita e della famiglia.
L’iter della legge ha attraversato almeno tre legislature
e il dibattito che l’ha preceduta, accompagnata e seguita
ne testimonia il forte interesse, che va dal piano scientifico
a quello giuridico, dal piano sociale a quello psicologico,
dal piano etico a quello giornalistico.
Una legge che è stata sottoposta a un referendum abrogativo,
in toto e in parte, a pochi mesi dalla sua promulgazione.
La campagna referendaria, in ognuno dei due sensi, ha
avuto nella pubblica opinione un impatto forte e stridente,
che ha segnato differenze di valori, di stili e di appartenenze.
E’ stata promossa, prima ancora che a livello politico,
da movimenti e associazioni che hanno opportunamente mobilitato
larghe frange dell’opinione pubblica in una serie di cerchi
concentrici, che solo in un secondo momento sono stati
occupati da partiti e schieramenti diversi. Una campagna
di formazione-informazione che ha visto impegnati gli
schieramenti contrapposti e che quindi ha proposto ed
ottenuto letture diverse, spesso contrastanti, animate
da un desiderio di affermare valori, anche in questo caso
in parte coincidenti e in parte contrastanti, con strategie
decisamente diverse, quando non apertamente conflittive.
Il referendum ::..
Sono poche le leggi che negli ultimi decenni
hanno coinvolto così profondamente tante persone, milioni
di persone, chiedendo loro di esprimere un parere vincolante
per la legittimazione e dando loro l’esatta dimensione
delle implicazioni che questo parere avrebbe avuto. Tra
queste la legge sul divorzio e la legge sull’aborto. Non
a caso tutte e tre queste leggi che circoscrivono grandi
temi della vita e della famiglia sono state seguite da
un referendum, con un ampio coinvolgimento della popolazione
e con effetti diversi. In questo caso il si alla vita
è stato chiaro e determinante, anche perché preceduto
da una grande operazione di formazione- informazione,
che ha messo in primo piano, tra i valori di grande spessore
laicale, quel principio di precauzione che tutela e garantisce
ognuno di noi davanti a scelte politiche non sufficientemente
fondate e spesso apertamente sconsiderate. Attraverso
il Referendum, che ha seguito l’approvazione della legge,
si è lanciata una operazione in cui al consenso informato
richiesto ad ognuno per poter votare in un senso o nell’altro,
si è voluta accompagnare una vera e propria campagna di
sensibilizzazione, di informazione, e a modo suo di educazione
alla vita, mettendo in evidenza l’aspetto multi-culturale
e multidimensionale del problema. Una campagna in cui
le diverse connotazioni etico-antropologiche hanno mostrato
i possibili punti di convergenza, ma anche quei confini
di un pensare e di un sentire, di un volere e di un giudicare,
che non possono essere travalicati. Dalla diversità sperimentata
giorno per giorno durante la campagna referendaria, nei
rapporti informali e in quelli più strutturati, negli
incontri ristretti e nei talk show televisivi, è scaturita
la consapevolezza che la frontiera etica rappresenta la
vera crucialità del nostro agire sul piano personale e
politico.
E ognuno di noi è chiamato ad interpretare questa responsabilità
con una formazione personale sempre più profonda e con
una apertura al dialogo che senza far rinunciare alle
proprie ragioni sappia però ascoltare quelle degli altri.
La legge prima e il referendum dopo, hanno obbligato infatti
a riflettere in modo nuovo su di una serie di esigenze
profondamente connaturate alla natura umana, anche se
lo stesso concetto di natura e di natura umana è stato
al centro del dibattito con interpretazioni diverse che
lo hanno di volta in volta affermato o negato, letto in
chiave di assoluto logico e metodologico o più semplicemente
di convenzionale e quindi relativo. Il diritto alla vita,
il diritto ad essere madre e padre, il diritto alla salute,
il diritto alla ricerca scientifica… hanno rappresentato
gli spunti fondamentali per una riflessione sui diritti
umani che ha appassionato l’opinione pubblica, senza barriere
di cultura, di età, di appartenenza sociale, di identità
etica o religiosa. Ogni volta sono stati interpellati
vecchi e nuovi saperi disciplinari, in modo più sofisticato
e rigoroso, ma anche in modo più lineare e divulgativo.
Il dibattito che ha preceduto la approvazione della legge
è stato lungo, ampio ed articolato, si è svolto nelle
aule parlamentari e al di fuori delle stesse, ha richiesto
un’ampia mediazione tra parlamentari con atteggiamenti
diversi sia sul piano etico-culturale che su quello degli
schieramenti politici. La maggioranza che ha approvato
la legge è stata una maggioranza trasversale, unita più
da una comune visione della vita e del suo valore, che
non dalle strette convinzioni politiche. Una maggioranza
convinta e consapevole, anche se non per questo ignara
della complessità che l’applicazione della legge comportava
sia sul piano clinico-scientifico che su quello socio-culturale.
Tutti hanno sentito in modo vivissimo che il loro giudizio
e il loro consenso alla legge imponevano una mediazione,
una sorta di compromesso con i propri valori. C’è solo
la speranza, che nonostante tutto, si tratti della migliore
mediazione possibile in quel contesto storico e in quelle
concrete circostanze politico-parlamentari. Analogamente
la maggioranza che ha difeso la legge attraverso l’astensione
in occasione del Referendum abrogativo, è stata una maggioranza
trasversale, eterogenea, fatta di persone impegnate a
livello individuale o unite in gruppi di diversa capacità
e valenza rappresentativa. In una apparente disorganizzazione,
caratterizzata da pluralismo nelle idee e nelle appartenenze,
con una istintiva resistenza a confluire in forme troppo
strutturate di protesta, moltissime persone hanno sentito
il bisogno di schierarsi dalla parte della legge. Si è
creata nella percezione istintiva e spesso pre-razionale
di moltissime persone una sorta di sovrapposizione di
valori tra la vita, valore assoluto e pertanto intoccabile,
e la legge 40, considerata come lo strumento che se ne
faceva garante. Al di là di una comprensione esaustiva
sia dei problemi sottesi alla legge che della stessa formulazione
della legge, molte persone hanno voluto dichiarare il
loro amore alla vita attraverso la difesa della legge.
Si badi bene che non si è trattato di una semplificazione
eccessiva, che ha indotto la confluenza del valore vita
con il modello della legge 40, ma di una affermazione
indiscussa di un valore che non si ritiene possibile manipolare
in alcun modo, perché prioritario in senso logico e cronologico,
etico e culturale.
Bio-etica e biopolitica: una relazione nuova e
innovativa ::..
Nel dibattito che ha preceduto, accompagnato
e seguito sia la approvazione della Legge 40 che il referendum,
tutti sono stati invitati a partecipare. E tutti lo hanno
fatto mettendosi in gioco sia come persone, con una propria
visione della vita, con una serie di valori radicati nella
propria storia personale e nelle proprie convinzioni,
che come professionisti, impegnati negli ambiti più diversi
di una vita lavorativa, che trasmette stimoli e suggestioni,
prospetta problemi e come spesso accade apre nuove prospettive.
Molti lo hanno fatto aprendo i salotti di casa propria,
altri lo hanno fatto attraverso le società scientifiche
di appartenenza, altri ancora lo hanno fatto avvalendosi
dell’ampia rete dei luoghi e dei tempi dell’associazionismo
cattolico. In ogni ambito si parlavano linguaggi diversi,
ma mai c’è stata la babele dei linguaggi, perché ogni
volta il desiderio di comunicare rispondeva a quesiti
concreti, in cui ognuno poteva riconoscere un pezzo della
propria storia o della storia di persone care, spesso
malate e in attesa di soluzioni innovative scientificamente
efficaci. Sono saltate nella mente delle persone alcune
pre-giudiziali che in altri momenti avevano portato a
stabilire steccati piuttosto rigidi tra la sfera del privato
e la sfera pubblica, tra vita di famiglia e vita professionale,
tra rete sociale di tipo amicale e rete sociale di tipo
lavorativo.
Il tema della vita evocato dal Referendum ha fatto da
collante tra ambienti molto diversi generando in tutti
la consapevolezza che il dialogo tra i vari mondi poteva
nascere solo dalla fermezza con cui ognuno percepiva la
propria unità di vita. Mostrare l’integrità dei propri
valori, in casa e nel posto di lavoro, senza se e senza
distinguo, ha indotto molte persone ad esporsi con trasparenza
e a scoprire meglio l’identità di chi gli stava accanto.
Somiglianze e differenze si sono smarcate con più chiarezza
e hanno richiesto a tutti lo sforzo di individuare nuovi
itinerari di dialogo, tali da garantire nel rispetto delle
differenze la responsabilità delle proprie idee e convinzioni.
Nel pieno diritto alla diversità di opinioni, ciò che
non trovava alloggio era da un lato l’anonimato di chi
non voleva definirsi nelle sue posizioni o la goffaggine
di chi pur essendo convinto in un senso o nell’altro non
aveva argomentazioni per esprimere il proprio punto di
vista. I due tipi meno accettati erano quindi l’anonimo
indifferente o il fazioso ideologizzato. Ai quattro quesiti
referendari sulla vita e sulla famiglia, sulla malattia
e sulla scienza, formulati con il linguaggio complesso
e non sempre comprensibile della Corte costituzionale,
tutti siamo stati chiamati a rispondere, non solo gli
scienziati o gli esperti dei vari ambiti disciplinari.
A questi ultimi è stato chiesto di riappropriarsi del
ruolo dell’intellettuale impegnato non solo sul piano
accademico, anche nella più ampia sfera sociale, per rendere
più intelligibile e meglio comunicabile il suo sapere.
Per questo, da una parte e dall’altra, gli è stato chiesto
di partecipare alla spiegazione e alla interpretazione
dei diversi quesiti, affrontando i problemi nella loro
concretezza, sapendoli contestualizzare, ma nello stesso
tempo senza perdere di vista la dimensione etica più generale
in cui si inquadravano. Per farsi capire da tutti e per
mettere in risalto la profondità delle questioni in gioco,
occorreva evitare di restare chiusi nei propri steccati
disciplinari, per aprirsi in un confronto sereno con gli
altri saperi, assumendo un punto di vista interdisciplinare
o –meglio ancora- transdisciplinare. Uno dei punti nodali
che ha caratterizzato il dibattito è stato il tentativo
di integrare la prospettiva scientifica propria delle
scienze sperimentali, con la prospettiva giuridica e antropologica,
sollecitando tutti questi saperi ad affrontare i vari
temi, non con un approccio meramente speculativo, ma stando
dalla parte delle persone e dei loro problemi, prendendo
in considerazione le loro esigenze di natura clinica e
biologica, etica e psicologica, sociale e culturale. Un
nucleo tematico forte ed aggregante è stato quello della
famiglia, all’interno della quale era possibile declinare
i diversi problemi, cercando e trovando un confine concettuale
e valoriale che li contenesse tutti, reclamando una più
forte e decisa tutela verso molteplici forme di aggressione
e di destabilizzazione.
Parliamo di embrione: è
pur sempre un figlio… ::..
Il vero protagonista di questa maxioperazione
etico-culturale è stato senza dubbio l’embrione. Senza
parlare direttamente ha lasciato che parlassero di lui
e per lui praticamente tutti i tipi di scienziati e tutti
i rappresentanti politici dei diversi schieramenti, le
persone più attente e preparate sul piano comunicativo
e le persone più semplici: tutti hanno ritenuto di dover
fare da altavoce al nuovo soggetto politico, per dichiararne
i diritti, veri e presunti, per sottolinearne i limiti,
altrettanto veri e presunti. Per mettere in evidenza come
sia diventato un vero e proprio spartiacque nel momento
di definire una identità di destra o di sinistra, cattolica
o laica, progressista o conservatrice. Il dibattito sull’embrione
ha anticipato la virulenza del dibattito che governo e
parlamento stanno affrontando in questa quindicesima legislatura:
omosessualità, eutanasia, pacs, limiti della ricerca scientifica;
lo scontro tra i diversi schieramenti e negli schieramenti
si gioca in massima parte sul piano dell’etica.
La legge 40 è stata pensata per persone che hanno problemi
di sterilità, per coppie che desiderano avere un figlio
e che per varie ragioni non possono averlo. E’ facile
immaginare che ognuna delle persone che intende avvalersi
della legge 40 cerchi la soluzione ad un suo problema
specifico, prima di tutto quello del proprio desiderio
di genitorialità. Lo fa probabilmente sulla base di un
percorso in cui ha dovuto confrontarsi con il dolore e
la delusione, dal momento che non è facile accettare la
propria sterilità personale o di coppia1. E’ una diagnosi
che genera frustrazione e il medico sa che non può limitarsi
a constatare il fatto, informando la coppia della propria
impossibilità a generare un figlio, deve poter aprire
margini di speranza, con convinzione e con determinazione.
Le coppie dichiarate infertili cercano soluzioni e vogliono
che la scienza e il diritto, l’etica e la psicologia,
l’antropologia e la politica, dialogando tra di loro,
risolvano o per lo meno provino a risolvere il loro problema….
Il desiderio del figlio in alcune coppie, che sono o sembrano
nell’impossibilità di ottenerlo, cozza con una diffusa
cultura anti-generativa, che fa dell’Italia il Paese a
più basso indice di natalità in Europa e tra i Paesi industrializzati.
La Legge 40 rappresenta un indicatore di contrasto molto
forte in questo senso. Mostra quanto possa essere forte
in realtà il desiderio di genitorialità e come la sofferenza
di queste coppie possa sfidare scienza e tecnica perché
trovino soluzioni nuove ed efficaci. Nell’attuale contesto
socio-culturale un elemento importante della riflessione
è rappresentato proprio dalla drastica riduzione delle
nascite.
L’Italia si caratterizza per un indice di sviluppo demografico
pari all’1,2 e questo valore nella sua sinteticità sembra
manifestare un diffuso rifiuto per la genitorialità, per
cui le coppie sterili che desiderano avere un figlio meritano
una particolare attenzione. Costituiscono una sorta di
minoranza profetica che sottolinea il valore della transizione
alla genitorialità e richiede un adeguato approfondimento
del significato che il figlio assume per la coppia2. In
questi casi si ha spesso la sensazione che la coppia entri
in crisi se manca il figlio e al figlio si chiede non
di essere il frutto della coppia ma l’elemento fondativo
della coppia stessa. In altri termini in una prospettiva
più tradizionale è la coppia che genera il figlio, in
questa nuova prospettiva sembra che sia il figlio a generare
la coppia, dal momento che la coppia non sembra trovare
un senso alla propria relazione se manca il figlio. Di
qui l’esigenza di un figlio a tutti i costi.
Un paradosso tutto italiano:
viviamo più a lungo ma nascono meno bambini
::..
Nel panorama mondiale l’Italia è attualmente al livello
più basso di fecondità, ben al di sotto della soglia che
assicura un giusto ricambio generazionale e l’equilibrio
tra la fascia giovane e la fascia anziana: 2,1 figli per
donna. Varie indagini3 però mettono in guardia dal rischio
di interpretare questo dato come il segno che in Italia
si attribuisca un minor valore al figlio: il legame coi
figli viene indicato come il rapporto più stretto e durevole
della vita. In una società in cui i punti di riferimento
si fanno sempre più incerti e il legame matrimoniale tende
a farsi instabile, il vincolo di filiazione resta ancora
l’unico su cui investire in modo certo e continuativo4.
Il bisogno di figlio sta assumendo nel dibattito contemporaneo
una forza dirompente, anche per la apparente provocazione
con cui le coppie omosessuali rivendicano il diritto al
figlio, dando un senso tutto particolare alla richiesta
di fecondazione eterologa. Il figlio tanto più diventa
il sigillo richiesto dalla coppia, quanto più problematica
appare la dinamica di coppia. E’ come se alla precarietà
con cui certe coppie si mostrano all’opinione pubblica,
supplisse la presenza del figlio che si fa garante della
loro struttura di coppia. Le coppie di fatto tanto più
vogliono un figlio, quanto più risulta difficile averlo:
il figlio si fa garante di un vincolo che di per sé può
anche essere rifiutato, ma che la presenza del figlio
mostra essere reale e vincolante. La debolezza della coppia
oggi sembra in parte compensata dalla solidità del legame
col figlio e spesso i coniugi fanno dipendere la qualità
e la solidità del loro rapporto dalla presenza o meno
di un figlio. Paradossalmente sembra che sia il figlio
a generare la coppia e non viceversa. La coppia si modella
e si struttura attorno al figlio, di cui è subalterna.
La “logica del bambino” ed i suoi diritti prevalgono sempre
di più sulla logica della coppia e della famiglia: in
questa prospettiva il neo-nato rappresenta più il desiderio
di paternità e maternità dei due genitori che una realtà
personale, con proprie esigenze e proprie responsabilità5.
Prima ancora di nascere il bambino ha già un suo ruolo
specifico: fondare la coppia e contribuire al bisogno
di realizzazione personale dei genitori che tendono a
ri-specchiarsi nel figlio. Rispetto alla procreazione
siamo passati da una situazione di attesa e di destino
subito, ad una situazione di controllo sul destino stesso.
La diminuzione delle nascite ed il suo carattere di avvenimento
scelto e fortemente voluto fa sì che la nascita assuma
le caratteristiche di “alto concentrato emozionale”. I
genitori finiscono per investire molto, forse troppo,
o per lo meno in modo unilaterale, e ciò può costituire
un problema per loro e per i figli, che sentono di dover
rispondere alle loro aspettative, con un’immagine di sé
molto impegnativa. Anche sotto il profilo strettamente
biologico un figlio per i suoi genitori non può non nascere
sano: la perfezione biologica corre il rischio di diventare
una sorta di prerequisito indispensabile per garantirsi
il diritto a nascere. La relazione genitori-figlio diventa
quindi il parametro di riferimento per una lettura che
sotto il profilo affettivo chiede al figlio di cementare
l’unità tra i genitori e sotto il profilo effettivo chiede
al figlio di garantire la qualità di questa relazione
e la sua tenuta nel tempo attraverso la propria perfezione6.
Mentre il legame di coppia tende a sfilacciarsi, il passaggio
ad una concezione di famiglia in cui il legame tende ad
essere prevalentemente quello di filiazione, mostra quanto
sia importante l’asse intergenerazionale. In questa chiave
è possibile comprendere come la presenza del figlio possa
diventare conditio sine qua non per sentirsi legittimati
come coppia e quindi come la sterilità di coppia possa
diventare condizione di fragilità intrinseca alla stessa
relazione di coppia. La famiglia “tradizionale”, costituita
dai coniugi e dai rispettivi figli costituisce ancora
oggi la forma più diffusa di modello familiare, anche
se sta andando incontro a rapidi e profondi mutamenti
che riguardano sia le sue relazioni interne che i rapporti
con la società7.
Coppie di fatto e legge 40
::..
Comprendere le motivazioni che sono alla base della identità
genitoriale cercata da quelle coppie sterili che accedono
alla procreazione medicalmente assistita (PMA) è molto
importante. Occorrerebbe analizzare in ciascuno dei coniugi
la dimensione di padre o di madre relazionale, intendendo
con questa espressione la connotazione della paternità
o della maternità non in rapporto al figlio ma in rapporto
a se stesso o all’altro coniuge. Madre e padre, in quanto
coppia genitoriale, rispondono prima di tutto all’altro
genitore del modo in cui disimpegnano i rispettivi ruoli
e poi al figlio. Nella PMA, data la complessità delle
procedure e il ridotto margine di successo che tuttora
presentano, la solidità relazionale della coppia dovrebbe
essere garantita a prescindere dalla possibile presenza
del figlio. Questo approccio permetterebbe di rafforzare
in ognuno il senso di appartenenza alla diade coppia prima
che alla diade madre-figlio o padre-figlio, a tutta garanzia
del figlio e del suo sviluppo successivo8. In questo modo
infatti si avrebbe un disinvestimento sia del possesso
del figlio come parte di sé che del senso di rispecchiamento
nel figlio delle proprie aspettative, a tutto vantaggio
della sua libertà di crescere con un maggiore profilo
di autonomia e con una più spiccata identità personale.
La solidità del legame di coppia precederebbe non solo
sul piano logico-cronologico, ma anche sul piano etico-affettivo,
il rapporto di genitorialità9. Coppie di fatto in cui
la stabilità del legame non fosse adeguatamente garantita
non dovrebbero essere ammesse alla PMA, analogamente a
quanto accade per quelle coppie che, pur essendo regolarmente
sposate, non fossero in grado di offrire al figlio nel
contesto di affetti stabili, un clima in cui poter crescere
in piena autonomia. Il clima familiare diventa l’ambito
specifico in cui il soggetto prende coscienza di sé come
persona e si apre alla dinamica interpersonale a partire
da relazioni privilegiate per durata ed intensità. In
tutto ciò il rapporto di coppia costituisce un discriminante
semantico di enorme valore, perché se la donna è disposta
a correre maggiori rischi accettando la maternità anche
in condizioni di minori garanzie, lo fa perché conta sull’investimento
affettivo ed effettivo del partner10. Sono dati importanti
perché segnano uno spartiacque abbastanza preciso tra
la maggiore fatica femminile, a cui però può corrispondere
una nuova speranza, e la rassegnata insicurezza con cui
l’uomo accetta di far condurre alcune dinamiche decisionali
alla donna, nella speranza che questo riduca i suoi livelli
di ansia e di frustrazione. Nel caso della PMA l’uomo,
accettando un diverso coinvolgimento, assumendolo alle
condizioni poste dalla donna, registra uno spaesamento
in cui si orienta a fatica, cosa che comporta un diverso
e maggior radicamento nel connettivo familiare11. Cambiando
il modo in cui l’uomo diventa padre con la PMA, cambia
anche il modo in cui deve declinare questa sua paternità.
La stessa labilità del vincolo della coppia di fatto comporta
una fragilità rinnovata nell’assunzione dell’impegno educativo,
per cui la genitorialità già fragile nel momento del concepimento,
trascina la stessa fragilità nel momento educativo, caratterizzando
lo sviluppo del bambino in termini di più alto rischio
di insicurezza.
Il rifiuto a formalizzare un impegno di responsabilità
reciproca a livello di vita di coppia, non consente di
assumere un carattere normativo chiaro e definito nel
processo educativo, per cui alla possibile ricchezza affettiva
della relazione genitoriale, farà strutturalmente difetto
la dimensione etica della stessa. Ogni misura educativa
che comporti indicazioni di tipo precettivo sarà sempre
filtrata da una scelta individuale, a cui il figlio dovrà
e potrà rispondere in termini di una soggettività indiscussa
e temporalmente sganciata da vincoli di fattualità. A
due genitori che rifiutano la formalizzazione di un vincolo
di responsabilità reciproca e quindi sottopongono ogni
relazione di cura reciproca alla scelta rinnovata della
quotidianità, il figlio potrà sempre rispondere con un
rifiuto ad assumere vincoli breve, medio o lungo termine,
rimandandoli al diritto di scegliere giorno per giorno
cosa vuole e cosa si impegna a fare. Il modello familiare
dell’- hodie et nunc non può rimanere inatteso nella logica
educativa, per cui figlio potrà impegnare la sua parola
solo con un hodie et nunc, sentendosi svincolato da impegni
di mediolungo termine. Questo atteggiamento può renderlo
insicuro, nel senso etimologico del termine: sine cura,
sia in rapporto a se stesso che in rapporto agli altri,
nel senso di minore affidabilità.
In definitiva ::..
Superare le barriere culturali è una sfida che
si impone alla vita sociale prima ancora che alla vita
politica. Oggi la società sembra vittima di una vera e
propria ansia di regolamentazione giuridica, un’ansia
che porta a far ricorso sempre e comunque al diritto,
che porta a chiedere in continuazione l’intervento del
legislatore e la protezione del diritto. E’ come se la
legge fosse l’unica risposta, l’unica fonte di protezione
e di organizzazione sociale. Si è dimenticato che esistono
le tradizioni culturali di un popolo e di una nazione,
le consuetudini consacrate dall’esperienza, che le ha
trasformate in buone pratiche del vivere sociale; ci sono
i modelli di collaborazione che affondano le loro radici
in un insieme di valori laici, ma anche nella fede e nella
religione; ci sono modelli sociali per cui persone con
bisogni analoghi organizzano modi concreti per soddisfarli;
c’è un sano buon senso che affronta le situazioni difficili
ridistribuendo le responsabilità operative tra quanti
sono in grado di farsene carico; e c’è infine una forte
richiesta di riscoprire come vivere uno stile di democrazia
partecipativa sempre più attivo e interattivo, generando
quella cittadinanza attiva che fa sentire ognuno protagonista
delle soluzioni più idonee a soddisfare non solo il bene
individuale, ma anche il bene comune. La legge, qualunque
essa sia, può molto, ma non può tutto e non può supplire
ai bisogni emergenti che si affacciano nella vita quotidiana.
Ci sarà sempre un ritardo fisiologico tra l’identificazione
del bisogno e la predisposizione delle soluzioni adeguate.
Il superamento delle barriere culturali comincia da ognuno
di noi e comincia proprio dalla accoglienza della vita,
anche di quella malata, anche di quella diversa dalle
nostre aspettative. La prima barriera culturale oggi è
il discriminante semantico tra sano e malato, tra chi
ha diritto a vivere e chi ha perso, o non ha mai acquistato,
questo diritto alla vita. La sentenza della corte costituzionale
di pochi giorni fa conferma come ogni vita meriti di essere
vissuta e quindi dice con chiarezza no a possibili forme
di selezione. Occorre ricordare e riscoprire forme nuove
che assicurino alla tutela della vita e della famiglia
quella creatività che sia contestualmente innovativa nella
tradizione e tradizionale nella innovazione, per garantire
la famiglia nella sua specificità, senza trascurare nessuno
nella sua individualità. A cominciare dal suo concepimento
e fino all’ultimo momento in cui resta tra noi. Anche
la discriminazione tra persone di sesso diverso o di orientamento
sessuale diverso non deve aver luogo, ma ognuno deve assumere
il proprio ruolo e riconoscere le proprie prerogative
specifiche. Se persone di uno stesso sesso decidono di
vivere insieme facendo uso della loro libertà, hanno diritto
ad essere rispettate e a non essere discriminate, ma non
possono chiedere la legittimazione di prerogative che
si collocano su di un altro piano, come appunto l’accesso
alla PMA eterologa o alla adozione, perché questo discriminerebbe
altre coppie, eterosessuali, legate da vincoli stabili
e impegnate ad assumersi nel contesto sociale altre responsabilità.
Non discriminare le coppie omosessuali, ma neppure quelle
eterosessuali, misconoscendone diritti e doveri… Non tutto
può essere demandato alla legge, molto resta sotto la
nostra personale giurisdizione, nella speranza che ognuno
di noi sappia fare la sua parte, compresa la legge, perché
se è vero che abbiamo bisogno di poche leggi, è auspicabile
che queste non solo siano buone, ma addirittura eccellenti.
1 Zurlo MC, La filiazione problematica.
Liguori, Napoli, 2002
2 Scabini E, Rossi G, Famiglia generativa e famiglia riproduttiva,
il dilemma etico nelle tecnologie di fecondazione assistita,
Vita e Pensiero, Milano, 1999
3 Binetti P, Bruni R, Ferrazzoli F, Mauceri S, Nuovi modelli
di genitorialità, IIMS, Roma 2004
4 Théry, Couple, filiation et parenté aujourd’hui.
Le droit face aux mutations de la famille et de la vie
privée, Odile Jacob, Paris, 1998
5 Watson J, Ray MA, The ethics of care and the ethics
of cure: Synthesis and Chronicity, National Leagues for
Nursing, NY, 1988
6 Todrost T, Vasara F, Nascere nel 2000, Il Mulino, Bologna,
2001
7 Saraceno C, Sociologia della famiglia, Il Mulino, Bologna,
2001
8 Stern DN, Nascita di una madre, Mondadori, Milano, 1999
9 Coluccia P, La cultura della reciprocità. Arianna,
Casalecchio (Bo), 2002
10 Marta E, Lanz M, Cognizioni sociali e relazioni familiari,
Franco Angeli, Milano, 2000
11 Mitchell S, Il modello relazionale, Raffaello Cortina
Editore, Milano, 2002 |
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A
cura di |
Paola Binetti
Senatrice, Presidente di Scienza e Vita |
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