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Copertina della rivista

Immagine: Grafica bimbo con difficoltà cognitive

Immagine: Titolo Sui disturbi di apprendimento non specifici

Molti alunni vanno male a scuola per un disturbo, primario ma non specifico, di apprendimento; sono alunni ipoevoluti nell’organizzazione cognitiva, con un’immaturità nel ragionamento che li espone all’insuccesso scolastico, quotidiano e cumulativo, con la costruzione di un’immagine stabile di se stessi come “perdenti”.
L’unità operativa di neuropsichiatria infantile dell’ASL Roma H di Pomezia propone un intervento abilitativo attraverso attività di laboratorio dove si utilizza materiale umoristico, divertente, dunque motivante, dai corti comici muti come quelli di Mr.Bean, a programmi al computer per costruzione di caricature, ai videogiochi, fino alla più recente attività, nel laboratorio RiderexPensare, con le vignette umoristiche senza parole tratte da “La Settimana Enigmistica”.

In età evolutiva le difficoltà di apprendimento sono consuetamente distinte nei disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) e in quelli non specifici (DNSA), due categorie da mantenere ben separate, per la clinica e per la cura, e che sono oggi ancora diversamente conosciute: se sui DSA sempre più ricca di contributi è la letteratura, non è certo così per i DNSA. I disturbi non specifici di apprendimento si riferiscono ad una disabilità ad acquisire nuove conoscenze e competenze non limitata ad uno o più settori specifici scolastici (lettura, scrittura, calcolo) ma estesa ad altri settori; una così generica definizione, peraltro presentata anche nelle Linee Guida SINPIA per i Disturbi di Apprendimento (2004), mantiene la categoria dei DNSA in una dimensione incerta, sicuramente confusiva.

L’affermazione che condizioni cliniche definite come il Ritardo Mentale, il livello cognitivo borderline, l’ADHD, l’Autismo ad alto funzionamento, i Disturbi d’Ansia, alcuni quadri Distimici, come riportato nelle succitate Linee Guida, sono causa di disturbi non specifici dell’apprendimento è un’osservazione basata sull’evidenza: ma si tratta di un disturbo di tipo secondario connesso con la disabilità di base primaria. Che poco si sappia sul DNSA, come categoria diagnostica in sè, risulta evidente anche nei più consultati manuali diagnostici internazionali (DSM IV, ICD-10), che a conclusione della trattazione dei DSA, come nota nettamente a margine, prevedono il Disturbo dell’Apprendimento Non Altrimenti Specificato, a cui danno la dignità di categoria clinica, riduttiva, di disturbo dell’apprendimento non-DSA. Nella nostra esperienza, invece, i DNSA meritano ben altra considerazione (Miletto ed al., 2000): perché molti alunni, dalla media latenza all’adolescenza, vanno proprio male a scuola per un disturbo, primario ma non specifico, di apprendimento; e, nella comorbilità connessa alle difficoltà scolastiche, le affezioni, quelle psicopatologiche, sopra citate costituiscono conseguenza (dunque, non sempre causa), del DNSA e dell’insuccesso scolastico che esso comporta.

Immagine: Ragazzina con capelli sciolti biondiSono alunni ipoevoluti nell’organizzazione cognitiva, con un’immaturità nel ragionamento più evidente dal terzo anno di scuola primaria, quando le richieste vanno ben oltre le competenze strumentali, esecutive di inizio scolarizzazione: il loro pensiero stenta ad acquisire quella reversibilità che è fondamento per operazioni mentali più mobili. Questa condizione li espone all’insuccesso scolastico, quotidiano e cumulativo, con la costruzione di un’immagine stabile di se stessi come “perdenti”, estesa poi ad altri ambiti, nel gioco e nella vita. L’intervento abilitativo che la nostra unità operativa di neuropsichiatria infantile propone da anni in ambulatorio, e da poco anche a scuola, è un Laboratorio cognitivo, per 6-8 alunni con DNSA, frequentanti gli ultimi anni della scuola primaria o la scuola media, a due sedute settimanali, della durata di 90 minuti ciascuna, in un ciclo di trattamento di 4 mesi, preceduto da adeguata formazione per docenti ed assistenti educativi e da sensibilizzazione delle famiglie. Il contenuto delle attività di laboratorio è diverso dalle attività curricolari, si tratta di materiale umoristico, divertente, dunque motivante, con proposte che abbiamo variato negli anni, dai corti comici muti come quelli di Mr.Bean, a programmi al computer per costruzione di caricature, ai videogiochi, fino alla più recente attività, nel laboratorio RiderexPensare, con le vignette umoristiche senza parole tratte da “La Settimana Enigmistica”.

Tutte occasioni per il riabilitatore di rispecchiare ai soggetti, nel gruppo terapeutico, la loro capacità di poter pensare sui pensieri impliciti nella mente dei protagonisti dei corti muti, sulle strategie per vincere nel videogioco, sulle ipotesi interpretative circa il contesto di una vignetta senza parole, i pensieri dei personaggi, la chiave umoristica. Un ambito di studio per noi rilevante, che intendiamo qui brevemente discutere perché contribuisce ad una definizione categoriale più autonoma del DNSA, è quello dei modelli di attaccamento del bambino e le possibili correlazioni con la metacognizione e la Teoria della Mente (ToM). Per chiarezza terminologica, qui si userà la parola metacognizione per indicare genericamente la capacità della mente di riflettere su se stessa, di generare pensieri riguardo ai propri stati, processi e conoscenze (è il pensare il pensiero), mentre la ToM, che è un aspetto della metacognizione, si riferisce alla conoscenza di stati mentali quali desideri, emozioni, credenze, attribuiti a sè o agli altri. Peter Fonagy e i suoi collaboratori hanno ben descritto quanto conta un attaccamento sicuro come precursore di uno sviluppo metacognitivo sufficientemente buono e, al contrario, come un attaccamento patologico può costituire interferenza formidabile nella maturazione metacognitiva, con ritardi e deficit di funzione.

La natura interpersonale della metacognizione è sostenuta da Bruno Bara e dai suoi collaboratori come in un circuito virtuoso di funzionamento collocato nel contesto delle prime relazioni di attaccamento: migliori relazioni interpersonali con i caregivers favoriscono il buon sviluppo metacognitivo e migliori abilità metacognitive permettono di potenziare le capacità relazionali e comunicative del bambino. In questa reciprocità di influenze, come possono potenziarsi circuiti virtuosi così possono instaurarsi circuiti disfunzionali. Ben si sa che figure di attaccamento non sufficientemente accudenti condizionano negativamente lo sviluppo del Sè: il modello psicodinamico della nascita del Sè, infatti, non poggia tanto sul “penso, dunque esisto” quanto piuttosto sul “la mamma pensa che penso, dunque esisto”. Il bambino trova se stesso nell’altro. Un genitore che non sa rispecchiare gli aspetti positivi, rinforzandoli, che non sa contenere, regolando i comportamenti e modulando le emozioni, che non sa tener presente il figlio nella sua mente, spinge il bambino a pensarsi, ed a presentarsi nel mondo, più in termini di realtà fisica piuttosto che di stati mentali. Una condizione di sviluppo, questa, che potrebbe essere segnata, pertanto, da una sorta di invito a prendere le distanze dagli stati mentali, propri ed altrui. O ancora, se le figure di accudimento risultano particolarmente carenti, imprevedibili o insicure, il bambino è spinto ad un ribaltamento della barriera generazionale, deve cercare paradossalmente di diventare presto un bravo “indovino” degli umori dell’adulto o un buon sostegno per il genitore in difficoltà: e così, le energie del bambino si concentrano sugli adulti di riferimento, ne vengono come sequestrate, e non sono più sufficienti per buoni investimenti sul proprio Sè.

Grafico

Come si sa, la teoria dell’attaccamento, costruita sulla qualità delle esperienze precoci del bambino con i propri caregivers, ha distinto l’attaccamento infantile sicuro da quello insicuro; e, nell’ambito di quest’ultimo, si sono individuati tipi differenti di legami, di cui vengono descritti come principali: l’evitante, l’ambivalente, il disorganizzato. Questi legami costruiti nei primi tempi della vita determinano poi la costituzione di definiti modelli operativi interni: una sorta di “navigatore mentale” come dice Massimo Ammaniti (2007), che guida nel tempo il percorso di ciascuno. Se le ricerche correlanti il tipo di modello operativo interno e diversi ambiti psicopatologici non mancano, carente risulta invece il materiale per quanto concerne l’associazione con i disturbi d’apprendimento: è anche per ciò che il nostro gruppo di ricerca si sta impegnando nell’approfondimento di questi temi. In recenti studi clinici (Miletto ed al., 2006, Fucci ed al., 2006), abbiamo proposto la correlazione tra maltrattamento e malapprendimento; in particolare, esaminando 57 alunni in trattamento rieducativo di gruppo, da noi selezionati per DNSA, ben 17 di loro, circa il 30%, durante il ciclo riabilitativo sono riusciti, nel gruppo, a raccontare proprie storie traumatiche, familiari, segnate dal maltrattamento fisico e psicologico e, in tre di questi casi, anche da abusi sessuali. Nella figura, che è un’elaborazione da uno schema proposto da Caretti ed altri (2006), viene rappresentata la connessione, l’intreccio, fortemente interdipendente dei vari fattori che riteniamo patogenetici di una metacognizione deficitaria e, dunque, motori per il disturbo dell’apprendimento, quando non specifico. Il non investimento sulla conoscenza, fino all’estremo della repulsione per l’oggetto epistemico, ciò che in figura, con terminologia psicodinamica, abbiamo definito come deficit della pulsione epistemofilica, è spesso connesso con un attaccamento disorganizzato.

Lo abbiamo osservato spesso, anche nel gruppo di trattamento succitato, con genitori spaventanti e maltrattanti che determinano nel bambino una percezione di sè come cattivo, che fa spaventare i genitori, in un loop segnato dal paradosso: il bambino disorganizzato è dipendente e non può far a meno di chiedere aiuto proprio al suo carnefice. Per difesa, lo sforzo di ridurre il sovraccarico emozionale comporta una limitazione, fino alla disattivazione, del pensiero, che appare confuso, interdetto, e nei casi più gravi come in spontanea trance. Gli altri due pattern di attaccamento insicuro, l’evitante e l’ambivalente, hanno importanti legami, in parte anche comuni, con le difficoltà metacognitive. Il bambino evitante ha dei genitori distanzianti ed impara presto ad avere dal mondo una certa distanza di sicurezza, è tendenzialmente isolato, coartato, inibito. La scarsa condivisione degli stati mentali con le figure di attaccamento è alla base della difficoltà nell’esplicitare contenuti mentalistici, poco evoluta la Teoria della Mente, l’inibizione affettiva, cognitiva e sociale sostiene il deficit strategico di immaginazione. Il bambino ambivalente ha genitori alternanti, e l’imprevedibilità dell’attaccamento non facilita lo sviluppo di competenze importanti come anticipazione, previsionalità. Per difesa, tende ad essere ridondante nell’affettività espressa, è confondente e confuso con un ipercontrollo esterno, sui comportamenti dell’altro, che limita gli aspetti mentalistici della Teoria della Mente e comporta un deficit delle funzioni metacognitive. Dunque, all’interno di ciascuna categoria d’attaccamento insicuro è possibile individuare, nello studio dell’apprendimento, profili deficitari (della pulsione epistemofilica, di immaginazione, di funzioni metacognitive) con una sufficiente connotazione di specificità.

Immagine: una persona prende appunti scrivendoli sulle mani

Compromissioni che hanno valore patogenetico nel determinare, primariamente, un disturbo di apprendimento non specifico. Riteniamo che l’esame degli stili di attaccamento, alla fine della seconda infanzia e ad inizio scolarizzazione, se associato ad un accurato studio della metacognizione, possa consentire, in primo luogo, di anticipare di qualche anno la diagnosi di DNSA: un’individuazione precoce comporta interventi rieducativi più tempestivi, una maggiore efficienza ed efficacia di risultato. In secondo luogo, conoscere la qualità dei legami di attaccamento all’interno di un nucleo, significa anche poter avviare un percorso psicopedagogico con le figure adulte, diretto a modificare la qualità delle relazioni: con possibili ricadute, nel circuito virtuoso, sugli apprendimenti.


Bibliografia
- Ammaniti M., La mente delle madri. Lectio magistralis per “Le età della vita”, 2^ed. Festival delle Scienze, Roma, Gennaio 2007.
- Attili G., Ansia da separazione e misura dell’attaccamento normale e patologico. Unicopli, Milano, 2001.
- Caretti V., Craparo G., Ragonese N., Schimmenti A., Disregolazione affettiva e dissociazione quali predittori dei vissuti traumatici nelle dipendenze patologiche. Giornate di studio su “Percorsi evolutivi a rischio: contributi di ricerca”, Centro Congressi dell’Università “La Sapienza”, Roma, Novembre 2006.
- Cianchetti C. (a cura di), Linee Guida per i Disturbi Specifici di Apprendimento, Gior. Neuropsich. Età Evol. 24 (Suppl.1), 179-197, 2004.
- Colle L., Del Giudice M., Bara B.G., La natura interpersonale della metacognizione: uno studio in età evolutiva, Giornale Italiano di Psicologia, in press.
- Fonagy P., Redfern S., Charman T., The relationship between belief-desire reasoning and a projective measure of attachment security, British Journal of Developmental Psychology, 15: 51-61, 1997.
- Fonagy P., Attachment, the development of the Self and its pathology in Personality Disorder. In Derksen J., Groen H., Maffei C., Treatment of Personality Disorders, Plenum Press, New York, 1999.
- Fonagy P., Target M., Attaccamento e funzione riflessiva, Cortina, Milano, 2001.
- Fucci M.R., Miletto R., D’Alesio D., Ulisse L., Maltrattamento e Malapprendimento. Convegno “L’intervento nei casi di abuso e/o maltrattamento: dall’accoglienza alla prevenzione”, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Campus Selva dei Pini, Pomezia, Novembre 2006.
- Miletto R., Fucci M.R., Bellotti A., Carozza E., A scuola sui sentieri dei pensieri. Percorsi riabilitativi per preadolescenti con disturbo aspecifico di apprendimento. Armando Ed., Roma, 2000.
- Miletto R., Fucci M.R., Ulisse L., D’Alesio D., Disturbi di apprendimento nel bambino maltrattato, I Care, 31, 4, 142-144, 2006.