La possibilità di rendere concreti scenari sinora confinati nell’ambito di
argute considerazioni previsionali, il diretto collegamento tra l’attività
scientifica e la successiva fase di sviluppo industriale, quasi senza soluzione
di continuità, e il dato delle ricadute benefiche sul territorio in termini di
incremento occupazionale stabile, consentono di confidare nelle nanotecnologie
quali catalizzatori dell’innovazione basata sulla ricerca scientifica.
Il premio Nobel Harold Kroto definisce
con poche parole le nanoscienze:
“The frontier science of the 21st century”.
Lo scopritore dei fullereni (con
Richard Smalley) intendeva accennare
alle infinite potenzialità offerte
al mondo della ricerca scientifica,
dalla diffusione - sempre più capillare
- delle indagini scientifiche nella
“nanoscala”. Egli sottolinea come
l’approccio “Bottom-up” dischiuda
una serie di opportunità pressoché illimitate
nella “customizzazione” delle
proprietà dei materiali, spingendosi
a prevedere che “a paradigm shift in
materials technology of all kinds will
be achieved with applications from
molecular electronics to civil engineering.
Such advances are vital if we
are to develop the sustainable technologies
that are necessary for survival
of the human age”[1].
La manipolazione
della materia, la caratterizzazione
dei materiali, la fabbricazione dei
dispositivi, in un range dimensionale
inferiore ai 100 nm è, in particolare,
l’ambito delle attività scientifiche del
crescente settore delle nanotecnologie,
reso possibile dall’evoluzione
tecnologica di un’ampia gamma di
strumenti di caratterizzazione e fabbricazione
(Microscopio a forza atomica
(AFM), Microscopio elettronico
a scansione (SEM), Microscopio
elettronico a trasmissione (TEM),
Evaporatore a fascio elettronico, Litografia
a fascio elettronico (EBL)).
Uno dei tratti salienti delle ricerche
nel campo delle nanotecnologie è
rappresentato dall’approccio multidisciplinare,
ossia dalla composizione di
gruppi di ricerca costituiti da ricercatori
provenienti da eterogenei percorsi
formativi (fisici, chimici, ingegneri,
biologi, biotecnologi); ciò alimenta
un continuo, proficuo scambio di
conoscenze ed informazioni che può
scaturire solo da una sovrapposizione
dei saperi altrimenti confinati nei
relativi specialismi.
Fig. I. Ingrandimenti progressivi di una foglia di Loto.
L’approccio multidisciplinare
apparve già ben delineato
nelle parole del Prof. Richard
Feynman (Nobel per la Fisica nel
1965): “We make no apologies for
making these excursions into other
fields, because the separation of fields
is merely a human convenience, and
an unnatural thing. Nature is not interested
in our separations, and many
of the interesting phenomena bridge
the gaps between fields”. Egli, per il
suo celebre discorso “There’s plenty
of room at the bottom”, tenuto nel
Dicembre 1959 (http://feynman.caltech.
edu/plenty.html) è ritenuto, a
buon diritto, il padre fondatore delle
nanotecnologie. Mezzo secolo dopo,
il formidabile scenario abbozzato dallo
scienziato statunitense è consuetudine
nei laboratori di nanotecnologie.
È illuminante anche ricordare che il
professor M. Veith qualifica le nanotecnologie
come “enabling technologies”
nel senso che esse risultano in
grado di migliorare le prestazioni di
materiali o prodotti esistenti piuttosto
che crearne di nuovi (risparmio di
materie prime, risparmio di energia
e costi nei processi, minori impatti
ambientali, maggiori rendimenti).
La
materia, nell’ambito della nanoscala,
offre uno scenario inusitato di fenomeni.
Il ribaltamento dei rapporti superficie-
volume rispetto alle dimensioni
cui siamo abituati nel mondo
“visibile”, la maggiore influenza, su
scala molecolare, di effetti quantistici
e legami secondari come le forze di
van der Waals rispetto all’interazione
gravitazionale, ad esempio, sono
alcuni argomenti che permettono
di intendere come mai i materiali si
comportino in maniera “stravagante”
su scala “nano”.
Le nanotecnologie
stanno permettendo di sollevare il
velo su molteplici fenomeni naturali
finora inspiegati o addirittura non
conosciuti per via dell’insufficienza
degli strumenti di indagine finora disponibili.
Fig. II. Immagini della coppa di Licurgo
È il caso dell’effetto Loto.
Con una analisi mediante microscopio
a scansione elettronica è possibile
spiegare il motivo per cui le gocce di
liquido tendano a rotolare sulla superficie
delle foglie della “nelumbo
nucifera” anziché spandersi come avviene
su altre superfici (legno, vetro
e metalli). Il “miracolo” avviene su
scala nano. Una doppia gerarchia, costituita
da protrusioni micrometriche
rivestite da granuli dotati di una chimica
fortemente idrofobica consentono
di spiegare (Fig. I) il fenomeno
della superidrofobicità (ossia angoli di
contatto superiori a 150° e angoli di
isteresi inferiori a 10°).
Un caso analogo è quello del cosiddetto
“effetto occhio di falena”. Indagini
ESEM (acronimo di Environmental
Scanning Electron Microscope) permettono
oggi di rilevare, sull’occhio
multiplo dell’insetto notturno un
pattern bidimensionale di protrusioni
aventi diametri di 200-250 nm. Ciò
determina un gradiente di indice di
rifrazione tra aria e substrato oculare,
che ha per effetto la minimizzazione
del fenomeno di riflessione della luce
(ossia un aumento della trasmissione).
Tale fenomeno, mutuato dalla
natura, è visibile nelle superfici comunemente
conosciute come antiriflesso.
Questi due casi rendono l’idea del
grande impulso offerto dagli studi
della biomimetica alla ricerca sperimentale.
Recenti studi hanno altresì
dimostrato come persino arte e
tecnologia si siano spesso avvalse di
fenomeni - prima inspiegabili - decifrabili
solo su scala nano. Le vetrate
delle cattedrali gotiche costituiscono
un esempio paradigmatico. Si è scoperto
di recente che i maestri vetrai
aggiungevano poche parti per milione
di particelle di oro finemente polverizzate
nella pasta vitrea preparata
per ottenere le mirabili porzioni rosse
della vetrata, ad esempio [2].
Il colore
vivido e cangiante - sotto la luce solare
- delle vetrate di Chartres si deve a
interazioni di natura plasmonica della
luce con gli elettroni esterni degli
atomi di oro proprio all’interfaccia
tra oro (metallo) e vetro (dielettrico).
Una simile spiegazione ha consentito
recentemente di interpretare l’affascinante
fenomeno della “coppa di Licurgo”,
di età tardo romana, (Fig. II), in
grado di cambiare colore quando una
luce bianca viene posta al suo interno.
Tra le attività di ricerca in corso di
svolgimento presso la “Divisione
Materiali Organici” del Laboratorio
Nazionale di Nanotecnologie
dell’Istituto di Nanoscienze di Lecce,
in collaborazione con il Centro di
Biotecnologie Molecolari dell’Istituto
Italiano di Tecnologia, spiccano quelle
che mirano allo sviluppo di materiali
e dispositivi ad alta efficienza
energetica.
Un importante contributo delle nanotecnologie
è rappresentato dal
grande impulso dato alle ricerche nel
campo dei dispositivi fotovoltaici.
Diversi studi hanno messo in evidenza
le molteplici criticità delle celle
al silicio tradizionali, sotto il profilo
economico-ambientale. L’analisi degli
impatti del ciclo di vita, dalla estrazione
e purificazione del materiale,
allo smaltimento, comporta l’impiego
di diversi agenti inquinanti.
Analisi Life-cycle-assessment (LCA)
hanno inoltre mostrato in che misura
i dispositivi fotovoltaici, detti di
“terza generazione”, risulterebbero
premianti sotto il profilo ambientale
rispetto alle celle al silicio e, perfino,
delle celle su film sottile (a-Si, CdTe,
etc).
Fig. III. Principio di funzionamento (3a) di una cella DSSC e dispositivo realizzato (3b).
Le recenti incentivazioni fiscali
governative all’impiego del fotovoltaico
denunciano, oltre all’oggettiva
diffusione delle politiche sulle “rinnovabili”,
il problema di fondo delle
tecnologie fotovoltaiche tradizionali:
• Elevato costo/Watt prodotto
• Elevato Energy Payback Time degli
investimenti.
Va sottolineato inoltre l’ampliamento
del ventaglio di tecnologie soggette alle
tariffe incentivanti del DM 6 agosto
2010, che, disciplinando il 3° Conto
Energia, ha ammesso diverse tecnologie
innovative (thin film e moduli fotovoltaici
integrati nelle facciate trasparenti)
per l’integrazione dei sistemi
fotovoltaici negli involucri edilizi.
Il
fotovoltaico innovativo, secondo le
accreditate previsioni dello scienziato
Martin Green (Green, Third Generation
Photovoltaics, 2003), prefigura
uno scenario nel quale il costo di
produzione risulterebbe drasticamente
ridotto; per di più, nel caso delle
celle solari a sensibilizzatore organico
(DSSC), l’impatto ambientale risulterebbe
ridotto rispetto alle altre tipologie
di dispositivi (Veltkamp, 2006).
La gamma di celle solari di “terza
generazione” studiate nella Divisione
Organici comprende classi di dispositivi
in diversi stadi di maturazione
tecnologica: celle fully organic (la cui
parte attiva è totalmente organica,
molecole di basso peso molecolare
o polimeri), celle ibride organicheinorganiche
basate su nanocristalli
colloidali di semiconduttori inorganici
disperse in matrici polimeriche,
e celle fotosensibilizzate o DSSC (la
cui parte fotoelettricamente attiva è
costituita da un pigmento, da ossido
di titanio e da un elettrolita).
Anche le celle DSSC presentano interessanti
analogie biomimetiche. Il
sensibilizzatore o colorante (che può
avere natura organica o metallorganica)
adsorbito sul layer di biossido di
titanio mesoporoso svolge, nell’architettura
del dispositivo, una funzione
paragonabile a quella della clorofilla
nelle foglie delle piante: catturare la
luce per renderla disponibile alle trasformazioni
chimiche di fotosintesi.
L’ invenzione delle DSSC risale ai primi
anni Novanta e fu opera di Grätzel
e O’Regan [3]. Sotto il profilo delle
efficienze di conversione, valori di
efficienze ormai superiori al 7-8%,
confrontabili con quelli tipici delle
celle al silicio amorfo, sono stati certificati per dispositivi di larga area,
con tempi di vita maggiori di 7 anni.
Efficienze massime dell’11%-12% e
tempi di vita di migliaia di ore sono
stati misurati in laboratorio per celle
DSSC di piccola area. Tali motivazioni
hanno indotto diversi soggetti
industriali ad investire significativamente
su questa categoria di dispositivi
con il fine di entrare in produzione
già nei prossimi anni. Vale la
pena di citare gli investimenti sulle
DSSC effettuati da multinazionali
quali Sharp, Mitsubishi, Dyesol, G24
Innovations, Orion Solar, etc..
All’interno della vasta gamma di celle
fotovoltaiche di terza generazione, le
DSSC presentano il maggior numero
di requisiti e caratteristiche che le
rendono appetibili per una prossima
commercializzazione e, motivano in
maniera consona, la grande attenzione
del mondo scientifico e industriale.
Le ragioni di questo interesse
vanno rintracciate nelle peculiarità di
tali dispositivi, non reperibili nelle
celle fotovoltaiche di prima e seconda
generazione, qui sinteticamente
riportate: possibilità di modulare il
colore del dispositivo mediante impiego
di coloranti differenti; produzione
di energia anche in condizioni
di luce diffusa, senza necessità di un
preciso angolo di tilt, come le celle
al silicio di prima generazione; semi
trasparenza, spessore ridotto, basso
costo di fabbricazione, possibilità di
utilizzare substrati flessibili plastici
e/o metallici.
Il principio di funzionamento di una
cella solare DSSC può essere descritto
mediante la rappresentazione schematica
delle reazioni foto-elettrochimiche
che avvengono all’interno del
dispositivo, come riportato in figura
3a:
Il percorso ideale è descritto dalla sequenza
degli stadi 1-2-3-4-5:
1. Il dye (colorante) è deputato
all’assorbimento di luce solare.
In seguito all’assorbimento di un
fotone, un elettrone del dye è promosso
al livello energetico eccitato
(indicato con Dye*);
2. Il forte accoppiamento spaziale ed
elettronico tra colorante adsorbito
e l’ossido di titanio genera l’iniezione
dell’elettrone in quest’ultimo,
seguito dalla diffusione
dell’elettrone stesso nel semiconduttore;
3.Il semiconduttore forma con la
parte conduttiva del vetro (FTO -
Ossido di stagno dopato fluoro),
una giunzione metallo-semiconduttore,
che permette il trasferimento
degli elettroni all’FTO, e
quindi al circuito esterno.
4. Il livello di Fermi dell’FTO risulta
maggiore del potenziale elettrochimico
della coppia redox
ioduro/triioduro, quindi il carico
elettrico collegato ai due elettrodi
della cella è soggetto ad una differenza
di potenziale pari alla differenza
dei due livelli di Fermi (il
livello di Fermi del controelettrodo
corrisponde al potenziale elettrochimico
della coppia redox) ed
è quindi interessato da un flusso
di elettroni. Il contro elettrodo a
questo punto vede un eccesso di
elettroni che viene restituito al
sistema tramite reazione redox.
5. Il colorante ossidato, ovvero con
un elettrone in meno, viene rigenerato
dallo ioduro presente nell’elettrolita.
Il percorso illustrato è ideale, in quanto
non prevede, ad esempio, gli effetti
della ricombinazione, che devono esser
tenuti in debito conto nella progettazione
di una cella DSSC altamente
performante.
Presso il Centro di Biotecnologie
Molecolari dell’IIT di Lecce vengono
studiate e sviluppate soluzioni tecnologiche
innovative per il fotovoltaico
di terza generazione. In particolare, le
attività di ricerca attualmente in corso
vertono su: sviluppo di materiali e
tecnologie per la realizzazione di fotoelettrodi
nanostrutturati; sviluppo
di mediatori redox a stato solido e
semisolido; sintesi di coloranti organici
e metallorganici ad assorbimenti
calibrati su precise regioni spettrali;
sviluppo materiali e tecnologie per
la realizzazione di controelettrodi alternativi
al Pt; implementazione di
superfici micro/nano-strutturate per
l’incremento del light harvesting;
realizzazione pannelli DSSC di larga
area. Enormi sono le potenzialità di
utilizzo di tale tecnologia sia in settori
convenzionali, sia in nuovi mercati
quali quello della “building integration”
e della “portable energy”.
Fig. IV. Sequenza di immagini di vetrate elettrocromiche progressivamente decolorate (fonte: www.gesimat.de).
La necessità
di ridurre il ricorso all’impiego
di risorse energetiche non rinnovabili
ha imposto, difatti, un sostanziale
ripensamento dei criteri di progettazione
degli involucri edilizi e delle
chiusure verticali esterne trasparenti.
L’utilizzo di elementi fotovoltaici
nel rivestimento esterno degli edifici
(“building integration”) può contribuire
a migliorare le qualità estetiche
e funzionali; basti pensare ai sistemifacciata
nei quali le celle fotovoltaiche
si integrano ai componenti dell’involucro.
In questo contesto le tecnologie fotovoltaiche di prima generazione
(celle solari al silicio) e di seconda
generazione (celle a film sottile) presentano
intrinseci limiti applicativi
(dipendenza da precisi angoli di
tilt, difficile integrabilità in facciata,
opacità delle celle), oltre ai notevoli
svantaggi legati al cospicuo utilizzo di
materie prime e alla scarsa sostenibilità
dei processi di produzione.
Le celle
fotovoltaiche DSSC permettono il
superamento di tali criticità, aprendo
opportunità per nuove applicazioni e
mercati.
L’integrazione delle DSSC con materiali
smart elettrocromici [4], consente
di progettare dispositivi multifunzione
che integrino celle fotovoltaiche
con dispositivi in grado di modificare
la propria trasparenza sotto le mutevoli
condizioni di illuminazione presenti
nell’ambiente circostante, che
agiscono da stimulus per la modulazione.
L’integrazione di un dispositivo
fotovoltaico DSSC con la funzionalità
fotoelettrocromica appena descritta
consente di progettare dispositivi
fotovoltacromici.
Al controlettrodo,
la presenza di un layer di triossido
di tungsteno, patternato opportunamente
con il catalizzatore metallico,
consente di accoppiare la generazione
fotovoltaica alla modulazione “smart”
del colore in funzione della radiazione
solare incidente, senza necessità di
alimentazione elettrica esterna [5-6].
La possibilità di ottenere dispositivi
multifunzione ad elevata interattività
rappresenta un ampio spettro di
potenzialità per l’integrazione negli
edifici o nell’automotive. La variazione
responsiva della trasparenza (ossia
di colore) per un vetro si traduce
nell’opportunità di sistemi di schermatura
“intelligenti” che porterebbero
a significativi risparmi energetici
ottenibili mediante la progettazione
di “pelli intelligenti” per edifici (riduzione
dei carichi termici indesiderati
in regime estivo e ottimizzazione del
daylighting come risorsa di illuminazione)
riducendo drasticamente il ricorso
all’ipertrofico cablaggio elettronico
delle costruzioni tipico delle case
“intelligenti” di prima concezione.
A questo proposito, giova ricordare
che nel 1981 Mike Davies pubblicò
un articolo dal titolo “The polyvalent
wall”, nel quale illustrava la sua visione
del muro del futuro che, discostandosi
dalla tradizionale funzione
di chiusura dotata di resistenza sismotermo-
gravitazionale, assurgerebbe al
ruolo di filtro complesso polivalente
in grado di interagire - a più livelli -
con l’ambiente circostante. In questa
luce, i dispositivi fotovoltacromici
manifestano le proprie potenzialità
come dispositivi fotovoltaici per la
schermatura intelligente, autoalimentati.
La loro maturazione tecnologica
condurrebbe all’opportunità del tutto
nuova di progettare involucri edilizi
intelligenti, in grado di innalzare il
livello dell’efficienza energetica degli
edifici, ponendo le nanotecnologie
al servizio della Green Economy.
Quest’ultimo esempio illustra chiaramente
la portata della ricerca sul
fronte della nanoscala.
La possibilità di rendere concreti scenari
sinora confinati nell’ambito di
argute considerazioni previsionali,
il diretto collegamento tra l’attività
scientifica e la successiva fase di sviluppo
industriale, quasi senza soluzione
di continuità, e il dato delle
ricadute benefiche sul territorio in
termini di incremento occupazionale
stabile, consentono di confidare nelle
nanotecnologie quali catalizzatori
dell’innovazione basata sulla ricerca
scientifica.
Riferimenti
1. S.Leydecker, Nano Materials in Architecture,
Interior Architecture and Design,
2008, Birkhauser.
2. M. Ashby, Nanomaterials, nanotechnology
and design, Butterworth-Heinemann,
2009.
3. Grätzel, M. Nature 2001, 414, 338.
4. G.C. Granqvist, Handbook of inorganic
electrochromic materials, Elsevier,
2002.
5. C.Bechinger et al., Photoelectrochromic
windows and displays, 1996, Nature,
383(608-610).
6. J. Wu et al., Fast-switching photovoltachromic
cells with tunable transmittance,
2009, ACS Nano,8 (2297-2303).