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Alcune domande al Prof. Fabio Marazzi, docente presso l'Università degli Studi di Bergamo, esperto in diritto internazionale e societario, in particolare nell’ambito delle telecomunicazioni e delle biotecnologie.


Prof. Marazzi, nel campo della ricerca scientifica quanto contano le sinergie tra realtà diverse, tra il pubblico e il privato, per raggiungere determinati obiettivi?
Al fine di potere ottimizzare i risultati della ricerca scientifica, i modelli che meglio funzionano, a livello mondiale, ad esempio il modello statunitense e quello inglese, sono la prova del fatto che la sinergia tra pubblico e privato è assolutamente essenziale. Negli ultimi tempi, anche in Italia, si è capito che, da un lato la ricerca privata non può più, in un mercato globale ed estremamente concorrenziale, reggere l’onere di grossi investimenti da sola, fatte salve le grosse multinazionali della farmaceutica e dall’altro lato, le realtà pubbliche hanno ben compreso che la sinergia con un partner industriale, non solo comporta la possibilità di sviluppare un percorso di approccio al mercato, ma anche, ove l’idea di partenza sia valida, trarre profitto dalla sinergia che si viene a creare.


Nel caso del progetto BioRep, che tipologia di collaborazioni sono state messe in campo e quali sono le loro potenzialità?
In questa particolare fattispecie, si è saldata un’importante alleanza tra una grande realtà no-profit statunitense ed una realtà, nuova, italiana, dove, peraltro, sono confluite capacità imprenditoriali assolutamente consolidate. La potenzialità è data sia dalla grande esperienza accumulata negli anni dal partner statunitense, che ha messo a disposizione tutto il suo know-how, a beneficio di BioRep, sia dalla circostanza che il mercato di raccolta e conservazione di cellule e tessuti è in rapida crescita, soprattutto dovuta al fatto che la cosiddetta medicina “personalizzata” richiederà, sempre più la possibilità di potere avere accesso, nel corso della vita del paziente/persona, a tutte le informazioni genetiche, cellulari e tissutali.


Esistono nel nostro Paese difficoltà sotto il profilo normativo per la realizzazione di questo tipo di progetti?
Non necessariamente, anche perché, in considerazione del fatto che la normativa di riferimento è soprattutto quella di emanazione comunitaria, si sta assistendo ad una crescente legiferazione da parte del Parlamento Europeo e della Commissione; a titolo di esempio, la nuova direttiva sulla definizione di parametri di qualità e di sicurezza per la donazione, l'approvvigionamento, l'analisi, la lavorazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule d'origine umana, regolamenta, in maniera stringente, ma chiara, questa materia.


Di che cosa avrà bisogno BioRep per poter raggiungere i suoi obiettivi, perché questa opportunità possa essere adeguatamente sfruttata dal mondo scientifico?
Risponderei, in prima battuta, di cultura e corretta informazione. Mi auguro che non si creino false paure e falsi fantasmi, allorché si parlerà di banca delle cellule e dei tessuti; intendo dire che, mi auguro, non si ripetano quelle situazioni che hanno caratterizzato, e molto spesso inquinato, il dibattito sugli organismi geneticamente modificati o il dibattito sugli embrioni, laddove, molto spesso, si è fatta grande confusione anche solo tra la definizione di embrione e quella di clone.


Perché BioRep può rappresentare un esempio per la nascita di altre realtà di questo tipo nel settore delle biotecnologie? Come si possono promuovere altre esperienze simili?
La risposta più banale, ma forse anche quella che più si avvicina alla realtà, mi porta a dire che la creazione di un dialogo tra il mondo del pubblico e del privato, ossia la capacità di mediare i due diversi linguaggi e di tradurre le parole dell’uno a favore dell’altro, ma a vantaggio di entrambi e della comunità, sono i presupposti essenziali perché industriali con visioni di medio e lungo periodo possano percepire quali tecnologie siano interessanti da sviluppare e quali investimenti possano attrarre interesse. BioRep è l’esempio di come una tecnologia ed un know-how da decenni presente negli Stati Uniti si possa “importare” in Europa.

Altri imprenditori, e non necessariamente sempre esperti del settore delle biotecnologie, potranno valutare con interesse nuove opportunità di investimento allorché le stesse saranno correttamente proposte; se poi a tutto ciò, si affiancasse anche una politica di incentivi, come quella che l’attuale governo inglese sta portando avanti a favore della ricerca e degli investimenti in innovazione, allora, veramente, potremmo acquisire, come sistema Paese, una posizione di prestigio. Basti dire che molti dei migliori “cervelli” sono italiani.



 
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Intervista a:
Prof. Fabio
Marazzi, docente presso l'Università
degli Studi di Bergamo

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