Il trapianto d’organo spesso
rappresenta l’unica scelta terapeutica
per pazienti con insufficienza renale
terminale, insufficienza cardiaca,
epatica o polmonare. Nonostante il
miglioramento delle tecniche chirurgiche
abbia fatto si che tali interventi
siano diventati di routine e, nel caso
del trapianto di rene, abbiano abbassato
la mortalità rispetto a pazienti non
trapiantati sottoposti a dialisi, il
successo del trapianto è vincolato
all’assunzione di farmaci antirigetto.
Questi farmaci rappresentano combinazioni
di molecole immunosoppressive
che devono essere assunte costantemente
e che, se da una parte impediscono
episodi di rigetto acuto, dall’altra presentano numerosi aspetti
critici.
Innanzitutto, la loro azione
immunosoppressiva non è specifica e
questo porta ad un aumento del
rischio di infezioni e di tumori; inoltre
la loro tossicità limita la durata
dell’organo trapiantato e aumenta il rischio
di diabete o di malattie cardiovascolari.
In secondo luogo, la sopravvivenza a
lungo termine dell’organo trapiantato
non viene garantita e i risultati in questo
senso sono tutt’altro che soddisfacenti.
A dieci anni dall’intervento
chirurgico, con questi farmaci, circa il
50% dei reni trapiantati smette di
funzionare principalmente per un
processo di rigetto cronico.
Oggi l’obiettivo della medicina del trapianto è di identificare terapie che
possano indurre tolleranza all’organo
trapiantato. L’esigenza di trovare delle
valide alternative all’uso degli immunosoppressori
ha spinto i ricercatori
verso nuovi approcci terapeutici,
alcuni dei quali hanno preso in considerazione
l’infusione di cellule ad
azione immunomodulatoria.
Le cellule staminali mesenchimali
sono risultate essere delle ottime
candidate per questo scopo e
potrebbero rappresentare una valida
alternativa per indurre la tolleranza
dell’organo in pazienti che ricevono
un trapianto di rene.
Le cellule mesenchimali
staminali sono cellule che risiedono principalmente nel midollo
osseo dove supportano la maturazione
dei progenitori delle cellule del sangue.
Sono definite multipotenti perchè in
grado di acquisire caratteristiche, in
termini tecnici di differenziare, di
diversi tessuti quali quello muscolare,
cardiaco, epatico e nervoso.
Le cellule
mesenchimali hanno mostrato un
grande potenziale nella medicina
rigenerativa, specialmente in campo
cardiovascolare. Ma le caratteristiche
che le rendono interessanti nella
terapia anti-rigetto sono rappresentate
dalle loro peculiari proprietà immunologiche,
dal momento che sono in
grado di eludere il sistema immunitario
e quindi essere trapiantate anche tra
due individui immunologicamente
diversi. Esse, infatti, esprimono livelli
trascurabili di quelle molecole che
fanno dire ad un organismo se si trova
in presenza di un elemento estraneo;
inoltre, oltre a sfuggire al riconoscimento
del sistema immunitario,
promuovono una condizione immunologica
che permette lo sviluppo
della tolleranza d’organo.
Alcuni studi
in vivo supportano questi dati: in un
modello sperimentale di trapianto di
cute, l’infusione di cellule mesenchimali
provenienti dal donatore o da un
altro individuo ha ritardato la
comparsa del rigetto acuto.
Nei nostri laboratori, all’Istituto
Mario Negri di Bergamo, abbiamo
recentemente dimostrato che cellule
mesenchimali, sia quelle ottenute dal
donatore che quelle isolate dal
ricevente, erano capaci di indurre
tolleranza in animali sottoposti a
trapianto di cuore senza alcun
farmaco antirigetto. Nei pazienti ci
sono risultati importanti che confermano
l’effetto immunosoppressore
delle cellule mesenchimali; in particolare
queste cellule si sono dimostrate capaci
di prevenire l’insorgenza del rigetto acuto e cronico come reazione al
trapianto di midollo.
Diversi studi
clinici dimostrano la sicurezza e
l’efficacia delle cellule mesenchimali
in altre malattie e condizioni: ad
esempio sono state utilizzate insieme
alle cellule ematopoietiche in pazienti
con leucemia, tumore al seno, anemia
severa o infarto del miocardio. Le
cellule mesenchimali si ottengono
facilmente mediante prelievo di
midollo oppure dal tessuto adiposo e
possono essere cresciute in laboratorio,
per aumentarne il numero e ottenere
milioni di cellule, prima di essere
iniettate al paziente. Mediante tecniche
ben stabilite è possibile anche il loro
congelamento per un utilizzo successivo.
Sono questi i dati incoraggianti che ci
hanno spinto a proporre alla Comunità
Europea un progetto, a cui collaboreranno
numerosi gruppi europei,
mirato ad utilizzare le cellule mesenchimali
prelevate dallo stesso ricevente
come terapia immunosoppressiva nel
trapianto di rene da donatore vivente.
Ai pazienti trapiantati sarà comunque
somministrata una dose anche se
minima di immunosoppressori.
Naturalmente, in una prima fase, il
numero di pazienti che prenderanno
parte allo studio sarà limitato e solo in
una fase successiva, se i risultati saranno
incoraggianti, il numero di pazienti
sarà allargato.
Le aspettative dall’uso delle cellule
staminali sono enormi sostenute dai
risultati ottenuti in diversi laboratori
in tutto il mondo nei più disparati
campi delle patologie umane. I
Laboratori del Mario Negri di
Bergamo da alcuni anni stanno
seguendo diverse linee di ricerca mirate
a testare la potenzialità dell’uso delle
staminali non solo nell’induzione
della tolleranza del trapianto ma
anche nella rigenerazione del rene.
Il trapianto di rene, infatti, è l’estrema
soluzione per ristabilire la funzione
filtrante dell’organismo; tuttavia si sta
valutando la possibilià di rigenerare i
tessuti danneggiati prima che
giungano alla perdita completa della
funzione e addirittura la possibilità di
fare regredire una situazione in cui il
tessuto renale è già seriamente
compromesso.
La patologia di cui
stiamo parlando è l’insufficienza
renale caratterizzata dalla perdita della
funzione e dal deterioramento delle
strutture renali che può essere causata
da traumi, da farmaci nefrotossici o
dalla compromissione renale secondaria
al danno di altri organi. In tale
situazione, la terapia cellulare
potrebbe rappresentare un trattamento
efficace e per nulla invasivo. Le cellule
staminali principali candidate a questo
scopo sono innanzitutto le cellule
derivate dal midollo, in particolare
nuovamente le cellule mesenchimali.
Recentemente abbiamo dimostrato
sperimentalmente che le cellule
mesenchimali staminali ottenute dal
midollo osseo sia di origine murina
che umana sono capaci di proteggere
dall’insufficienza renale acuta. Le
cellule mesenchimali sono state
localizzate nei tessuti renali dove
hanno contribuito alla loro rigenerazione.
Localmente queste cellule
producevano dei fattori di crescita in
grado di promuovere la proliferazione
cellulare e di ridurre la morte delle
cellule renali. Inoltre, l’ossigenazione
dei tessuti renali risultava essere
migliore a seguito della somministrazione
delle mesenchimali. In un
modello sperimentale di insufficienza
renale acuta caratterizzato da una
altissima mortalità, abbiamo anche
osservato che il trattamento con cellule
mesenchimali umane isolate da
midollo osseo e ancor di più quelle
ottenute dal sangue del cordone
ombelicale, aumentava la sopravvivenza preservando il rene dal danno.
Nonostante i meccanismi alla base di
tale effetto terapeutico siano ancora
poco conosciuti e siano attualmente
oggetto di studio anche da parte del
nostro gruppo, questo nuovo approccio
terapeutico potrebbe essere trasferito
in un tempo non troppo lontano nella
pratica clinica.
A fianco delle mesenchimali,
nell’ambito della rigenerazione renale
stiamo valutando la capacità terapeutica
delle cellule ottenute da tessuti
simil-embrionali come il liquido
amniotico. Questo tipo di cellule
staminali potrebbero avere un
maggiore impatto soprattutto nella
cura delle malattie renali croniche che
rappresentano infatti una condizione
progressiva di deterioramento della
funzione renale, dove la compromissione
del rene è tale da richiedere una
completa sostituzione delle strutture
filtranti con strutture ricreate de novo.
Dall’analisi delle loro caratteristiche, le
cellule staminali dal fluido amniotico
potrebbero rappresentare uno stadio
intermedio tra le cellule embrionali
pluripotenti e le cellule staminali
adulte. Per questa ragione sarebbero una fonte per la terapia cellulare
importante perché non vincolata dai
problemi etici derivati dall’utilizzo
delle cellule embrionali.
Un approccio completamente nuovo e
ancora agli albori è costituito
dall’ingegneria dei tessuti che si
prefigge di ricreare in laboratorio
tessuti o organi mediante l’utilizzo di
cellule che derivano dallo stesso
paziente.
Ci sono alcuni esempi in
campi diversi da quello renale che
hanno permesso la ricostruzione di
articolazioni o addirittura della vescica.
A questo scopo, vengono utilizzati dei
biomateriali che fanno da supporto
alla semina delle cellule e che sono studiati
per essere biocompatibili, biodegradabili
e che hanno caratteristiche fisiche
importanti per il tipo di struttura che
si intende ricostruire. Le ricerche si
stanno focalizzando sulla ricostruzione
di vasi sanguigni e di organi complessi
come il pancreas, il cuore e il fegato.
La sfida del rene è ambiziosa considerando
che è un organo costituito da
tanti tipi cellulari diversi e strutturalmente
molto complesso.
La scelta del
supporto è determinante al fine della
riuscita della ricostruzione dell’organo. La nostra idea è quella di utilizzare un
supporto ottenuto da un rene naturale
a cui sono state rimosse le sue cellule
mediante il trattamento con opportuni
detergenti. Il materiale ottenuto sarà
quindi formato da una struttura tridimensionale
che manterrà tutte le caratteristiche
strutturali del rene, persino i vasi
sanguigni, e che farà da supporto alla
semina delle cellule ottenute dallo
stesso paziente.
La scelta della fonte
cellulare da utilizzare costituisce un
punto fondamentale e potrebbe cadere
su cellule staminali ottenute dal rene
stesso. Queste cellule sono al momento
oggetto di studio da parte di alcuni
gruppi di ricercatori e la loro identificazione
e il loro isolamento costituisce
ancora materia di studio e di dibattito.
Le cellule staminali renali dovranno
essere stimolate con specifiche sostanze
al fine di indirizzarle ad acquisire le
caratteristiche specifiche dei vari tipi
cellulari del rene. Il rene ottenuto in
vitro con tali metodologie, non solo
potrebbe permettere di superare il
problema della carenza di donazioni
d’organo ma soprattutto, dal momento
che sarà formato da cellule ottenute dal
paziente stesso, non andrà incontro a
problemi di rigetto.