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Cellule staminali in medicina del trapianto: stato della ricerca ed esperienze

Le aspettative dall’uso delle cellule staminali sono enormi e sostenute dai risultati ottenuti in diversi laboratori in tutto il mondo nei più disparati campi delle patologie umane. I Laboratori del Mario Negri di Bergamo da alcuni anni stanno seguendo diverse linee di ricerca mirate a testare la potenzialità dell’uso delle staminali non solo nell’induzione della tolleranza del trapianto ma anche nella rigenerazione del rene.





Il trapianto d’organo spesso rappresenta l’unica scelta terapeutica per pazienti con insufficienza renale terminale, insufficienza cardiaca, epatica o polmonare. Nonostante il miglioramento delle tecniche chirurgiche abbia fatto si che tali interventi siano diventati di routine e, nel caso del trapianto di rene, abbiano abbassato la mortalità rispetto a pazienti non trapiantati sottoposti a dialisi, il successo del trapianto è vincolato all’assunzione di farmaci antirigetto. Questi farmaci rappresentano combinazioni di molecole immunosoppressive che devono essere assunte costantemente e che, se da una parte impediscono episodi di rigetto acuto, dall’altra presentano numerosi aspetti critici.

Innanzitutto, la loro azione immunosoppressiva non è specifica e questo porta ad un aumento del rischio di infezioni e di tumori; inoltre la loro tossicità limita la durata dell’organo trapiantato e aumenta il rischio di diabete o di malattie cardiovascolari. In secondo luogo, la sopravvivenza a lungo termine dell’organo trapiantato non viene garantita e i risultati in questo senso sono tutt’altro che soddisfacenti.

A dieci anni dall’intervento chirurgico, con questi farmaci, circa il 50% dei reni trapiantati smette di funzionare principalmente per un processo di rigetto cronico. Oggi l’obiettivo della medicina del trapianto è di identificare terapie che possano indurre tolleranza all’organo trapiantato. L’esigenza di trovare delle valide alternative all’uso degli immunosoppressori ha spinto i ricercatori verso nuovi approcci terapeutici, alcuni dei quali hanno preso in considerazione l’infusione di cellule ad azione immunomodulatoria. Le cellule staminali mesenchimali sono risultate essere delle ottime candidate per questo scopo e potrebbero rappresentare una valida alternativa per indurre la tolleranza dell’organo in pazienti che ricevono un trapianto di rene.

Le cellule mesenchimali staminali sono cellule che risiedono principalmente nel midollo osseo dove supportano la maturazione dei progenitori delle cellule del sangue. Sono definite multipotenti perchè in grado di acquisire caratteristiche, in termini tecnici di differenziare, di diversi tessuti quali quello muscolare, cardiaco, epatico e nervoso.

Le cellule mesenchimali hanno mostrato un grande potenziale nella medicina rigenerativa, specialmente in campo cardiovascolare. Ma le caratteristiche che le rendono interessanti nella terapia anti-rigetto sono rappresentate dalle loro peculiari proprietà immunologiche, dal momento che sono in grado di eludere il sistema immunitario e quindi essere trapiantate anche tra due individui immunologicamente diversi. Esse, infatti, esprimono livelli trascurabili di quelle molecole che fanno dire ad un organismo se si trova in presenza di un elemento estraneo; inoltre, oltre a sfuggire al riconoscimento del sistema immunitario, promuovono una condizione immunologica che permette lo sviluppo della tolleranza d’organo.

Bistruri del chirurgoAlcuni studi in vivo supportano questi dati: in un modello sperimentale di trapianto di cute, l’infusione di cellule mesenchimali provenienti dal donatore o da un altro individuo ha ritardato la comparsa del rigetto acuto. Nei nostri laboratori, all’Istituto Mario Negri di Bergamo, abbiamo recentemente dimostrato che cellule mesenchimali, sia quelle ottenute dal donatore che quelle isolate dal ricevente, erano capaci di indurre tolleranza in animali sottoposti a trapianto di cuore senza alcun farmaco antirigetto. Nei pazienti ci sono risultati importanti che confermano l’effetto immunosoppressore delle cellule mesenchimali; in particolare queste cellule si sono dimostrate capaci di prevenire l’insorgenza del rigetto acuto e cronico come reazione al trapianto di midollo.

Diversi studi clinici dimostrano la sicurezza e l’efficacia delle cellule mesenchimali in altre malattie e condizioni: ad esempio sono state utilizzate insieme alle cellule ematopoietiche in pazienti con leucemia, tumore al seno, anemia severa o infarto del miocardio. Le cellule mesenchimali si ottengono facilmente mediante prelievo di midollo oppure dal tessuto adiposo e possono essere cresciute in laboratorio, per aumentarne il numero e ottenere milioni di cellule, prima di essere iniettate al paziente. Mediante tecniche ben stabilite è possibile anche il loro congelamento per un utilizzo successivo. Sono questi i dati incoraggianti che ci hanno spinto a proporre alla Comunità Europea un progetto, a cui collaboreranno numerosi gruppi europei, mirato ad utilizzare le cellule mesenchimali prelevate dallo stesso ricevente come terapia immunosoppressiva nel trapianto di rene da donatore vivente. Ai pazienti trapiantati sarà comunque somministrata una dose anche se minima di immunosoppressori.

Naturalmente, in una prima fase, il numero di pazienti che prenderanno parte allo studio sarà limitato e solo in una fase successiva, se i risultati saranno incoraggianti, il numero di pazienti sarà allargato. Le aspettative dall’uso delle cellule staminali sono enormi sostenute dai risultati ottenuti in diversi laboratori in tutto il mondo nei più disparati campi delle patologie umane. I Laboratori del Mario Negri di Bergamo da alcuni anni stanno seguendo diverse linee di ricerca mirate a testare la potenzialità dell’uso delle staminali non solo nell’induzione della tolleranza del trapianto ma anche nella rigenerazione del rene.

Il trapianto di rene, infatti, è l’estrema soluzione per ristabilire la funzione filtrante dell’organismo; tuttavia si sta valutando la possibilià di rigenerare i tessuti danneggiati prima che giungano alla perdita completa della funzione e addirittura la possibilità di fare regredire una situazione in cui il tessuto renale è già seriamente compromesso.

La patologia di cui stiamo parlando è l’insufficienza renale caratterizzata dalla perdita della funzione e dal deterioramento delle strutture renali che può essere causata da traumi, da farmaci nefrotossici o dalla compromissione renale secondaria al danno di altri organi. In tale situazione, la terapia cellulare potrebbe rappresentare un trattamento efficace e per nulla invasivo. Le cellule staminali principali candidate a questo scopo sono innanzitutto le cellule derivate dal midollo, in particolare nuovamente le cellule mesenchimali. Recentemente abbiamo dimostrato sperimentalmente che le cellule mesenchimali staminali ottenute dal midollo osseo sia di origine murina che umana sono capaci di proteggere dall’insufficienza renale acuta. Le cellule mesenchimali sono state localizzate nei tessuti renali dove hanno contribuito alla loro rigenerazione.

Localmente queste cellule producevano dei fattori di crescita in grado di promuovere la proliferazione cellulare e di ridurre la morte delle cellule renali. Inoltre, l’ossigenazione dei tessuti renali risultava essere migliore a seguito della somministrazione delle mesenchimali. In un modello sperimentale di insufficienza renale acuta caratterizzato da una altissima mortalità, abbiamo anche osservato che il trattamento con cellule mesenchimali umane isolate da midollo osseo e ancor di più quelle ottenute dal sangue del cordone ombelicale, aumentava la sopravvivenza preservando il rene dal danno. Nonostante i meccanismi alla base di tale effetto terapeutico siano ancora poco conosciuti e siano attualmente oggetto di studio anche da parte del nostro gruppo, questo nuovo approccio terapeutico potrebbe essere trasferito in un tempo non troppo lontano nella pratica clinica. A fianco delle mesenchimali, nell’ambito della rigenerazione renale stiamo valutando la capacità terapeutica delle cellule ottenute da tessuti simil-embrionali come il liquido amniotico. Questo tipo di cellule staminali potrebbero avere un maggiore impatto soprattutto nella cura delle malattie renali croniche che rappresentano infatti una condizione progressiva di deterioramento della funzione renale, dove la compromissione del rene è tale da richiedere una completa sostituzione delle strutture filtranti con strutture ricreate de novo.

graficaDall’analisi delle loro caratteristiche, le cellule staminali dal fluido amniotico potrebbero rappresentare uno stadio intermedio tra le cellule embrionali pluripotenti e le cellule staminali adulte. Per questa ragione sarebbero una fonte per la terapia cellulare importante perché non vincolata dai problemi etici derivati dall’utilizzo delle cellule embrionali. Un approccio completamente nuovo e ancora agli albori è costituito dall’ingegneria dei tessuti che si prefigge di ricreare in laboratorio tessuti o organi mediante l’utilizzo di cellule che derivano dallo stesso paziente.

Ci sono alcuni esempi in campi diversi da quello renale che hanno permesso la ricostruzione di articolazioni o addirittura della vescica.

A questo scopo, vengono utilizzati dei biomateriali che fanno da supporto alla semina delle cellule e che sono studiati per essere biocompatibili, biodegradabili e che hanno caratteristiche fisiche importanti per il tipo di struttura che si intende ricostruire. Le ricerche si stanno focalizzando sulla ricostruzione di vasi sanguigni e di organi complessi come il pancreas, il cuore e il fegato. La sfida del rene è ambiziosa considerando che è un organo costituito da tanti tipi cellulari diversi e strutturalmente molto complesso.

La scelta del supporto è determinante al fine della riuscita della ricostruzione dell’organo. La nostra idea è quella di utilizzare un supporto ottenuto da un rene naturale a cui sono state rimosse le sue cellule mediante il trattamento con opportuni detergenti. Il materiale ottenuto sarà quindi formato da una struttura tridimensionale che manterrà tutte le caratteristiche strutturali del rene, persino i vasi sanguigni, e che farà da supporto alla semina delle cellule ottenute dallo stesso paziente.

La scelta della fonte cellulare da utilizzare costituisce un punto fondamentale e potrebbe cadere su cellule staminali ottenute dal rene stesso. Queste cellule sono al momento oggetto di studio da parte di alcuni gruppi di ricercatori e la loro identificazione e il loro isolamento costituisce ancora materia di studio e di dibattito. Le cellule staminali renali dovranno essere stimolate con specifiche sostanze al fine di indirizzarle ad acquisire le caratteristiche specifiche dei vari tipi cellulari del rene. Il rene ottenuto in vitro con tali metodologie, non solo potrebbe permettere di superare il problema della carenza di donazioni d’organo ma soprattutto, dal momento che sarà formato da cellule ottenute dal paziente stesso, non andrà incontro a problemi di rigetto.