Obiettivo del Design for All
è progettare ambienti, attrezzature e servizi fruibili
- in condizione di autonomia - da parte di persone con
esigenze e abilità diversificate. In questo modo spazi
di vita e oggetti diventano più comodi per molti e finalmente
fruibili per altri, pienamente accessibili a persone con
minori abilità e al tempo stesso più agevoli da utilizzare
da parte dei più abili. Alla base di tale prospettiva
vi è un modo totalmente nuovo di concepire il rapporto
con il “diverso”: il soddisfacimento delle esigenze speciali
non è un ostacolo, bensì uno stimolo a migliorare la qualità
della vita di tutti, a partire dalla consapevolezza che
non esistono utenti standard, ma tante persone con abilità,
situazioni di vita, capacità differenti.
Design for All significa
la progettazione, lo sviluppo e la commercializzazione
di prodotti, servizi, sistemi e ambienti per il grande
pubblico, in modo che siano accessibili per la più ampia
gamma possibile di utenti (definizione di Design for
All adottata dalla Commissione Europea - DG Impiego
e Affari Sociali - su proposta dell'EIDD per la Giornata
Europea delle Persone Disabili, 3 dicembre 2001). Questo
obiettivo si realizza attraverso:
La progettazione di prodotti, servizi e applicazioni
che siano prontamente utilizzabili dalla maggior parte
degli utenti senza dover apportare nessuna modifica;
La progettazione di prodotti che siano facilmente
adattabili a utenti diversi (per esempio tramite la
modifica dell'interfaccia con l'utente);
"…
per la più ampia gamma possibile di utenti..":
il centro e la chiave di volta di questo nuovo modus
progettandi è evidentemente l’utente di riferimento,
ma chi è e com’è l’utente? Vorrei rispondere, con
una punta polemica,: ".. quello diverso. "
L'utilizzo di interfacce standardizzate
che siano compatibili con attrezzature specializzate (per
esempio tecnologie assistive)
Quando si sente parlare di bisogni speciali e di esigenze
specifiche dell’utenza più debole, di persone con minori
abilità, spesso non ci si cala in un contesto concreto
ad ampio raggio e si perde la percezione dell’effettiva
portata del problema. L’evoluzione naturale dell’uomo,
il nostro ciclo di vita ci porta, nelle diverse fasi,
ad affrontare situazioni di effettiva diminuita abilità:
ad esempio l’infanzia con i suoi problemi di adattamento
cognitivo e dimensionale, la gravidanza che diminuisce
l’equilibrio e l’autonomia dei movimenti, le disabilità
temporanee causate da traumi, e così via.
In questo senso siamo stati e saremo tutti disabili, ed
abbiamo subito e subiremo l’inadeguatezza del costruito
che ci circonda. Le realizzazioni progettuali che ci circondano,
infatti, sono per lo più improntate su un ipotetico utente
standard, ma quanti di noi sono standard? Senza considerare
l’oltre mezzo miliardo di individui disabili ed escludendo
la numerosissima quantità di persone anziane, quanti di
noi, rimasti, rispondono alle caratteristiche dello standard?
Quanti di noi sono assimilabili ad un giovane uomo tra
i 20 ed i 25 anni in perfetta salute e forma? Molto pochi.
E quali sono gli effetti di limitare l’analisi ai soli
parametri dimensionali, antropometrici, dimenticando il
ruolo, fondamentale rispetto al progetto, dei parametri
sensoriali, percettivi, cognitivi, culturali, e così via?
Si riduce in pratica l’utenza ad una pletora di burattini
disumanizzati.
Si livellano proprio quelle differenze che sono il fondamento
stesso dell’essere umano per il quale si progetta. Si
dimentica la ricchezza ed il valore della complessità.
Lo standard non prende in considerazione la possibilità
che tu abbia subito un trauma, fisico o psicologico,che
tu sia obeso, che tu parli un’altra lingua, che tu percepisca
i colori in un modo differente o che tu abbia semplicemente
un’età diversa da quella presa a riferimento. Il progetto,
che nelle sue espletazioni ci circonda, deve considerare
e valutare il nostro ciclo di vita, le nostre specificità
e le nostre peculiarità. E’ spesso il progetto a donarci
una possibilità o a privarcene.
Nel momento in cui il progetto non segue più le nostre
esigienze esso lavora contro di noi, e noi che lo abbiamo
creato ci siamo tirati la zappa sui piedi.
La progettazione che, in un atto di estrema semplificazione,
obbliga l’utente ad adattarsi al costruito, a volte con
notevole sforzo, anziché adattare il costruito all’utente
genera, mi sembra, un eclatante paradosso dato che il
costruito è progettato per soddisfare le esigenze dell’utenza.
Sintetizzo per punti le opportunità che offre un tale
spirito progettuale:
Ampliare
la gamma possibile d’utenti non ha solo un riscontro etico
e funzionale, ma porta anche le realtà produttive verso
una grande varietà di consumatori potenziali. Si ottiene
così non solo una potenziale fattibilità economica, ma
anche un buon return on investment, evitando i costi proibitivi
dei progetti ad hoc.
Aumentare, financo creare, l’autonomia
dell’utenza, mantenendone invariata la sicurezza. Questo
porta ad un’automatica diminuzione della richiesta di
assistenza ed un immediato aumento di privacy ed autosufficienza:
cresce la dignità e l’autostima personale, diminuiscono
i problemi di relazione sociale e col costruito.
Progettare
con coerenza la ridondanza d’informazione a vari livelli
percettivi e sensoriali: mediante l’iterazione il messaggio
risulta più chiaro e si può trovare almeno un canale comunicativo
in comune con l ’utente.
La flessibilità di approccio possibile
al costruito ed all’artefatto da parte dell’utente è alla
base dell’efficienza del progetto.
Progettare ambienti ed oggetti pienamente
fruibili e quindi accessibili a persone con minori abilità
migliora, agevolando loro il compito, il rapporto col
costruito anche dei più abili.
Considerare la normalità d’immagine
come un aspetto fondativo della bontà del progetto: l’ospedalizzazione
dell’immagine crea il rifiuto dei più abili e la conseguente
ghettizzazione dei meno abili.
Se
è opportuno, come abbiamo chiarito, ampliare
il più possibile la gamma di utenti di riferimento del
nostro progetto, porsi un ragionevole limite d’utenza
può essere necessario: è un afflato utopico pensare al
progetto per tutti. E’ invece estremamente importante
ed utile considerare le specificità della sola utenza
che si ritiene possibile obiettivo del progetto e soddisfarne
concretamente le esigenze.
Considerare il soddisfacimento delle
esigenze speciali non come un ostacolo, bensì come uno
stimolo migliorativo, come, peraltro, sono spesso considerati
gli altri vincoli.
Progettare
“.. ambienti, attrezzature e servizi fruibili - in condizione
di autonomia - da parte di persone con esigenze e abilità
diversificate..” (Pete Kercher) è l’obbiettivo del DfA.
In questo modo noi non facciamo che semplificare il compito
a tutti, o quasi, quanto basta per ottenere un successo
anziché un rapporto frustrante di lotta quotidiana con
qualcosa che dovrebbe essere al nostro servizio: l’ambiente
o lo strumento sono più comodi per molti e finalmente
fruibili per altri.