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Copertina della rivista

grafica: bimba con ombrello

 

Divulgare: una enorme respnsabilità

Divulgare, informare, mediare, significa fare ponte tra i lettori-spettatori e le istituzioni scientifiche. Ad entrambe le sponde bisogna chiedere uno sforzo. I cittadini devono comprendere che la scienza è una grande opportunità per il nostro futuro e un elemento essenziale del presente; i ricercatori sono però chiamati ad assumersi la sempre maggiore responsabilità di protagonisti della nostra vita collettiva.




Recensendo l’ultimo libro di Luciano Gallino, ‘Tecnologia e democrazia. Conoscenze tecniche e scientifiche come beni pubblici’, Gilberto Corbellini si chiede se si sia diffusa - tra mass media, partiti politici, opinione pubblica e anche nel potere economico - una tecnofobia che mina le possibilità di sviluppo del nostro Paese in nome di un ecologismo pretestuoso. Il Manifesto ipotizza, in un articolo, che il fisico Franco Prodi abbia espresso le sue posizioni sul riscaldamento globale con la “missione” di agevolare il “ritorno italiano al nucleare”. Come mai la ‘scienza’, quando diviene oggetto di dibattito (come accade sempre più di frequente), porta spesso ad accuse di ignoranza, malafede o lobbismo? Perché questa categoria, che nel nostro immaginario dovrebbe definire per l’eccellenza il reale, l’oggettivo, l’incontrovertibile, finisce per scatenare asperrime dispute ideologiche, culturali, politiche, religiose?

Per chi si occupa di divulgazione l’ossimoro e il limite, ma anche lo stimolo più forte, sta proprio nel fatto che la scienza, come la storia (in quanto racconto dei ‘fatti’), è ciò che di meno oggettivo e incontrovertibile possediamo. In quanto ‘vero’ e non ‘bello’ o ‘buono’, per affermarsi in un contenuto concreto, essa deve passare per vagli infiniti, per un percorso accidentatissimo che sin dal suo nome, ‘ricerca’, preannuncia prove ed errori. Dubbi socratici, più che certezze dogmatiche. Si dice, non a caso, che la storia umana procede guardando nello specchio retrovisore, poiché è solo l’esperienza degli sbagli commessi a guidarci verso ciò che è giusto. Non si esce dal paradosso di Diogene che, facendo luce a chi lo seguiva, camminava al buio.

Dovremmo allora arrenderci al relativismo delle opinioni, rinunciare alla possibilità di raggiungere la meta della ‘verità’? Certamente no, ma dobbiamo avere chiaro che il sistema in base al quale si assumono in genere le decisioni e che funge da perno della democrazia, cioè il consenso, in questo ambito trova un limite molto angusto. Nonostante questo – meglio: proprio per questo – chi divulga deve tenere presente che una corretta informazione scientifica, oggi più che mai, non è solo una necessità culturale. E’ l’indispensabile presupposto per una seria presa di coscienza rispetto alle grandi sfide - ogm, ingegneria genetica, tutela della salute, risorse naturali ed energetiche, consumi, globalizzazione... - che la società contemporanea si trova e si troverà ad affrontare in futuro.

Pensiamo solo a due aspetti: l’allungamento della vita, che comporta l’esigenza di fronteggiare una sempre più lunga ‘terza età’, inevitabilmente segnata da malattie e riduzioni dell’efficienza fisica; la questione climatico-ambientale, strettamente connessa a quella delle fonti di energia necessarie a un pianeta giunto a un inedito livello di industrializzazione e sviluppo socio-economico. Problematiche come queste sono inevitabilmente controverse, l’abbiamo detto, dunque il compito di chi veicola notizie di carattere scientifico non è predicare il Verbo. Ma perché il confronto possa portare alle scelte più rispettose del bene comune e delle singole persone, è necessario che le differenti posizioni poggino su una conoscenza reale.

In Italia vi sono delle ragioni specifiche per le quali questo è ancora più vero. Il nostro paese, pur facendo parte del decimo più ricco del pianeta (che consuma i nove decimi delle risorse disponibili), non è sempre pronto ad assumersi le responsabilità relative al suo status ‘avanzato’. All’onda emotiva provocata dall’incidente di Chernobyl, e che contribuì a sancire il ‘no’ referendario al nucleare, starebbe per esempio subentrando un ripensamento mosso dalla speranza di uscire dall’attuale stato di dipendenza energetica, che si traduce in maggiori costi dei servizi. Ma entrambi gli atteggiamenti sono condizionati solo dai benefici potenziali, e indifferenti all’aspetto speculare delle ricadute e delle responsabilità. Quale governo potrebbe accollarsi la revisione di una scelta che comporta enormi investimenti iniziali e benefici solo in un secondo tempo, nonché la responsabilità di localizzare un’eventuale centrale, in un paese dove è problematico ai limiti della guerra civile persino aprire una discarica per i rifiuti? Non si esce da questo circolo vizioso, se non acquisendo una coscienza civica di cui la corretta e completa informazione è la premessa ineludibile.

Altra limitativa peculiarità italiana riguarda la mancanza di investimenti in ricerca e sviluppo, che - al contrario di quanto si pensa comunemente - colpisce il ‘privato’ persino più del ‘pubblico’. La galassia di piccole e medie imprese, che nel passato ha costituito l’elemento trainante del made in Italy, nell’attuale contesto di spietata sfida globale rischia in tal senso di rappresentare un fattore di debolezza. Una seria divulgazione può e deve far comprendere l’apporto che R&S possono fornire al ‘ringiovanimento’, all’avanzamento, all’innovazione dei tradizionali comparti manifatturiero, agro-alimentare, turistico-culturale.
Non meno preoccupante è il deficit italiano di formazione, e soprattutto la gravissima crisi di iscrizioni e laureati delle nostre facoltà scientifiche, erroneamente attribuita al prevalere della cultura umanistico-letteraria. Il ‘dna’ culturale italiano risiede invece proprio nell’interazione e integrazione tra scienze umane e naturali, che ha espresso i geni del Rinascimento come i grandi scienziati dei secoli più recenti. La divulgazione può far tornare nell’immaginario giovanile la figura dello ‘scienziato’ come simbolo di passione, avventura, gloria, nobiltà, invertendo una tendenza nella quale la mancanza di considerazione e status sociale del ricercatore incide molto più delle pur gravi problematiche reddituali e carrieristiche.

Chi divulga ha insomma un’enorme responsabilità: contribuire alla formazione di una cultura scientifica diffusa che possiamo ben definire ‘civica’, anche quando il target è mirato agli addetti ai lavori, alle istituzioni o, come nel caso degli uffici stampa, ai mass media. Questo, nell’ambito degli enti di ricerca pubblici, significa soprattutto verifica scrupolosa della notizia, sia dal punto di vista scientifico che compete al ricercatore, sia da quello comunicativo che compete alle strutture di interfaccia. L’equilibrio non è facile. Bisogna da un lato affermarsi in una massmedialità caotica e affollata (le sole agenzie lanciano ogni giorno decine di notizie), senza cedere alla tentazione di ‘strillare’ esasperando l’allarmismo o le speranze: nascono così, infatti, molti scenari apocalittici di pandemie e catastrofi naturali, oppure le illusioni di panacee taumaturgiche uscite dai laboratori. D’altro canto, è necessario evitare l’isolamento nella turris eburnea della pubblicazione specialistica e referenziata, tenendosi sdegnosamente lontani dalla contaminazione con il villaggio globale.

Occuparsi di divulgazione al Consiglio Nazionale delle Ricerche vuol dire farlo con la responsabilità, le difficoltà di gestione ma anche l’immensa ricchezza del maggior ente di ricerca italiano: più di cento istituti e 11 dipartimenti che coprono praticamente tutte le aree dello scibile: dal biomedicale all’agroalimentare, da energia, clima, ambiente, a identità e patrimonio culturale... Una strategia che si concretizza, nell’ufficio stampa del CNR, in una produzione quasi quotidiana di notizie selezionate con il criterio della minima autoreferenzialità e della massima attenzione ai risultati di ricerca. Una volta garantita la validazione scientifica, non abbiamo paura di apparire troppo ‘popolari’ nell’associare trasversalmente tecnologie innovative e patrimonio artistico-archeologico, mozzarella di bufala e polimeri conservativi, impronte digitali e calzature; o nel dischiudere gli affascinanti scenari della ricerca ‘estrema’ in Artide, Antartide, Himalaya; oppure nell’usare un tono piano e magari divertito, in cui Garibaldi diviene lo spunto per trattare delle biodiversità dalla Liguria alla Sicilia. Il riscontro dato dalla stampa a comunicati e articoli dell’Almanacco della scienza ci conferma l’efficacia della nostra linea editoriale, sia per l’ampiezza, sia per la testualità delle ‘riprese’. Infine, estrema attenzione alle esigenze della cronaca, sulla quale il CNR interviene quotidianamente come ‘content provider’, grazie all’ampiezza disciplinare dei suoi esperti.

Divulgare, informare, mediare, significa fare ponte tra i lettori-spettatori e le istituzioni scientifiche. Ad entrambe le sponde bisogna chiedere uno sforzo. I cittadini devono comprendere che la scienza è una grande opportunità per il nostro futuro e un elemento essenziale del presente, come dimostrano le grandi questioni su cui siamo sempre più spesso chiamati a intervenire. I ricercatori sono però chiamati ad assumersi questa sempre maggiore responsabilità di protagonisti della nostra vita collettiva. Noi cerchiamo di assumerci la nostra al meglio.