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Copertina della rivista

 

Immagine: graficaDove, la verità?

Non sempre chi si occupa di divulgazione medica è consapevole del compito che gli è affidato e i giornalisti che si occupano di medicina e di salute spesso non sono preparati per questo settore.






In Italia la pubblicità dei farmaci diretta ai consumatori è vietata. Un recente editoriale1 del British Medical Journal, prestigiosa rivista medica inglese, precisa: «È consentita solo negli Stati Uniti e in Nuova Zelanda: e una revisione sistematica delle conseguenze cliniche ed economiche di questa pratica ha confermato che questa forma di pubblicità influenza la domanda dei pazienti e il comportamento prescrittivo dei medici, ma manca la prova che questa pratica dia benefici per la salute dei pazienti». In entrambi i paesi, è stato anzi dimostrato che questo tipo di informazione pubblicitaria la peggiora.

La strategia è collaudata e i messaggi delle ditte si basano su 4 strategie:
1. si concentrano su pochi farmaci molto prescritti;
2. non li confrontano con altri farmaci della stessa categoria terapeutica impedendo così al cittadino di scegliere fra le varie opzioni disponibili con cognizione di causa;
3. Esaltano i benefici anche non documentati;
4. Tacciono i rischi. Non stupisce allora che i cittadini, così male informati, sollecitino i medici a prescrivere loro questi farmaci che altrimenti non utilizzerebbero.

In Europa invece la pubblicità dei farmaci diretta al consumatore è vietata: 5 anni fa il tentativo di introdurre la pubblicità diretta ai consumatori con una proposta di legge è stata bocciata dalla stragrande maggioranza dei parlamentari: 494 contro e 42 a favore2.
Ma questo non vuol dire che non ci sia. È una pubblicità occulta, ed ha esattamente le stesse 4 caratteristiche della pubblicità diretta. C’è perchè i giornalisti che si occupano di medicina e di salute spesso non sono preparati per questo settore.

Il giornalista scientifico è infatti per lo più un autodidatta: chi si offre di prepararlo con un master è spesso legato a doppio filo con aziende farmaceutiche e mira a porsi come fonte accreditata. E poi i master costano. Una volta inserito deve imparare a distinguere nelle migliaia di riviste scientifiche pubblicate ogni settimana quelle autorevoli da quelle che non lo sono. E deve imparare a distinguere le notizie dalle bufale. Deve individuare le sue fonti qualificate e indipendenti e individuare per tempo chi sono i portavoce dell’industria. Molti colleghi poi lavorano fuori dal giornale, sono sottopagati, costretti a lavorare a cottimo, frettolosamente senza tempo per approfondimenti. Altri infine, non sapendo quale ruolo importante hanno, approfittano della munifica ospitalità delle aziende e girano il mondo in alberghi di lusso, fingendo di attingere informazioni ai congressi mentre si limitano a fare da megafono alle cartelle stampa delle aziende che li ospitano.
Aziende che oggi si affidano tutte a uffici stampa efficienti, ben felici di offrire una breve vacanza ai pennivendoli, che a conti fatti costano meno di una campagna pubblicitaria. Al giornalista verrà consegnata una cartella stampa estremamente completa comprendente: dati epidemiologici della malattia spesso soprastimati, previsioni catastrofiche sull’evoluzione della malattia se non trattata, interpretazioni precotte degli studi pubblicati con il finanziamento del produttore che dimostrano la sicurezza della molecola da pubblicizzare e la su efficacia. Citazioni di professori universitari che spesso hanno condotto la ricerca controllati dallo sponsor, professori che spesso saranno presenti a una conferenza stampa in cui reclamizzeranno gli aspetti positivi del farmaco o della tecnologia.

Il giornalista, grato di questo trattamento privilegiato, ricambierà l’ospitalità copiando acriticamente il contenuto della cartella stampa che firmerà con il suo nome senza aggiungere una sola riga di “giornalismo”, e dimenticandosi completamente il lettore che gli paga lo stipendio a fine mese.

Questi mali non affliggono solo giornali di periferia, ma anche le più prestigiose testate italiane. Vediamo tre esempi dell’ultimo anno.

Primo esempio
Il 3 settembre 2006 a Barcellona è in corso il Congresso europeo di cardiologia. Un drappello di giornalisti è ospite in un prestigioso albergo pluristelle della città spagnola. Il 4 settembre iniziano a sdebitarsi: a pag 28 di Repubblica3 esce una marchetta sulla molecola di turno, un anti-ipertensivo; il giorno dopo, sempre da Barcellona, è la volta del collega dell’Ansa4. Seguono a ruota una serie di testate locali. Tutti citano il congresso di cardiologia, ma il materiale non viene da lì. Basta dare un’occhiata alla cartella stampa di Intermedia, azienda di pubbliche relazioni di Brescia.

Chi volesse verificare può leggerla nel loro sito5.
Contiene:
1) comunicato frequenza cardiaca,
2) comunicato sulla molecola,
3) descrizione del congresso (perchè pochi del drappello dei giornalisti ci andranno),
4) fattori di rischio,
5) numeri delle malattie cardiovascolari e
6) regole base della prevenzione.

I virgolettati della cartella stampa sono di tale Roberto Ferrari, vicepresidente della Società europea di Cardiologia. Nessuno si discosta dalla cartella stampa. Nessuno cita il parere dell’Emea (European Agency for the Evaluation of Medicinal Products), ente regolatore europeo, che ha autorizzato quel farmaco solo nell’ipertensione resistente ai beta bloccanti. E nessuno dei giornalisti ospiti a Barcellona parla degli effetti collaterali del farmaco, peraltro accessibili al sito dell’Emea su Internet6 e dei farmaci da preferire a questo.

Secondo esempio
La disfunzione sessuale femminile. Qui addirittura, con la collaborazione dei giornalisti, si arriva a inventare una malattia e a convincere i sani che sono malati per vendere loro un farmaco. Della disfunzione sessuale femminile aveva parlato già nel 2003, uno dei più stimati giornalisti scientifici, Ray Moynihan, sulle pagine del British Medical Journal7. E aveva ripreso l’argomento in un suo libro a due mani con Alan Cassels, ricercatore canadese che si occupa da tempo di politiche farmaceutiche8. L’invenzione di malattie inesistenti si chiama in inglese disease mongering, cioè commercializzazione di malanni, e serve a creare nuovi mercati per le aziende medicalizzando processi naturali.
In cosa consiste la disfunzione sessuale femminile? Vediamo i sintomi: ridotto desiderio, rapporti dolorosi (se non c’è desiderio non potrebbe essere altrimenti) e incapacità di raggiungere l’orgasmo. È una malattia non aver voglia di fare sesso?
Moynihan racconta che la disfunzione sessuale femminile è nata nel maggio 1997 quando 19 urologi si riunirono per tre giorni nel Cape Cod Hotel per definire la “female sexual disfunction”, patologia fino a quel momento sconosciuta. Il 4 gennaio 2003 la rivista scientifica British medical Journal9 racconta che il co-presidente di quel convegno, Raymond Rosen, in una mail abbia scritto «è interamente sponsorizzato dalle aziende farmaceutiche e metà degli esperti sono rappresentanti dell’industria». Più o meno un anno dopo, nell’ottobre 1998, sulla spinta dell’enorme sucesso del Viagra, prima terapia per i problemi dell’erezione maschile, si cominciò a parlare di Viagra femminile e a Boston si riunisce la prima conferenza internazionale sulla disfunzione sessuale femminile. Sempre il British medical Journal riporta che il convegno è finanziato da 8 aziende farmaceutiche, e che 18 dei 19 autori della definizione della nuova malattia hanno interessi economici con 22 aziende farmaceutiche. Quante donne soffrono di questa nuova malattia? Secondo un sociologo dell’University of Chicago, Ed Laumann, il 43% delle donne ha difficoltà sessuali10. Come si spiegano questi dati così allarmanti? Racconta Leonore Tiefer, sessuologa e docente di urologia e clinica psichiatrica all’Albert Einstein College of Medicine e alla New York University: «poco prima Lauman era diventato consulente della Pfizer, produttrice del Viagra e si era alleato con Raymond Rosen, psicologo clinico e altro consulente Pfizer».
Ma prova e riprova, il Viagra nelle donne non c’è verso, non funziona. La sessualità femminile non è di competenza idraulica. Ecco allora scendere in campo il testosterone, ormone sessuale maschile, in cerotto. In Italia a decantarne i pregi nelle conferenze stampa organizzate dal produttore, la Procter & Gamble, sono tre medici: Alessandra Graziottin, direttore del centro di ginecologia e sessuologia medica del San Raffaele di Milano, Andrea R. Genazzani, docente del dipartimento di medicina della procreazione dell’Università di Pisa e Rossella Nappi, ricercatrice della Fondazione Maugeri di Pavia. Fonti attendibili e neutre? Basta citare il caso della Graziottin che quando ha dovuto elencare i suoi conflitti di interesse, non la finiva più11, senza che questo le impedisca di essere nel board di parecchie società cossiddette scientifiche12. E così, grazie alle conferenze stampa organizzate dalla Procter & Gamble, e ai ricercatori al suo servizio, il testosterone è finito sulle pagine dei più prestigiosi quotidiani italiani su Repubblica.it13 e sul Corriere14 dove è stato persino pubblicato il test fornito nella cartella stampa fatto per convincere quasiasi donna che lo completi di soffrire della nuova malattia.
Non senza responsabilità.
La rivista “Ricerca e Pratica”15, dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano le elenca. «Aver esagerato i benefici, gonfiato il numero delle potenziali pazienti, minimizzato danni ben noti e ignorato importanti conflitti di interesse». E continuano i ricercatori del Mario Negri. Il cerotto al testosterone non è infatti una novità, dato che negli Usa lo assumono oltre due milioni di uomini. È nuovo il mercato: finora nessuno si era sognato di dare ormone sessuale maschile a delle donne. Per sottolineare l’efficacia del farmaco gli articoli riportano uno studio condotto su oltre 500 donne in menopausa chirurgica (l'asportazione delle ovaie provoca infatti un'improvvisa mancanza di testosterone) alle prese con il crollo della libido: nelle donne trattate con testosterone si sarebbe verificato un aumento dell'attività sessuale del 74%.
«Il dato a prima vista può sembrare più che promettente e giustificare l'entusiasmo suscitato» precisa ancora Ricerca e Pratica. «Questo finché non si scopre che si tratta di un valore relativo che, riportato in termini assoluti, fa molta meno impressione: le donne trattate con l'ormone per sei mesi sarebbero in vantaggio solo di un atto sessuale al mese (o anche meno) rispetto a quelle che hanno assunto un placebo. Secondo molti esperti, per quanto questo possa essere significativo all'interno di un rapporto di coppia in crisi, il gioco non varrebbe la candela: alcuni effetti collaterali del testosterone nelle donne sono infatti ben noti (aumento della peluria, del peso eccetera), ma rimangono meno noti quelli a lungo termine». Tutti effetti collaterali taciuti negli articoli pubblicati dai giornalisti italiani.

Terzo esempio
Il business della diagnosi precoce inutile. Hanno bisogno dell’orecchio benevolo (o ignorante) dei giornalisti anche le cliniche private che campano, e lucrano, sulla paura vendendo diagnosi precoci non solo inutili, ma anche pericolose. Spaventato dallo spauracchio agitato ad arte, illuso che la diagnosi precoce possa salvargli la vita, il cittadino sano si sottopone a ogni tipo di esame. Spesso però si tratta di bufale: dietro la diagnosi precoce non c’è una migliore prognosi e la vita non si allunga. Un esempio emblematico è la diagnosi precoce del tumore al polmone dei fumatori, di gran moda in questi ultimi 5 anni.
Agli inizi di marzo di quest’anno nelle redazioni di quotidiani, settimanali e mensili viene recapitato un invito della Fondazione Istituto nazionale dei tumori di Milano. Di lì a poco, e per la precisione il 7 marzo, sarebbero stati presentati i risultati del follow up di 3 studi condotti da ricercatori americani e italiani. Relatori: Ugo Pastorino, direttore della chirurgia toracica dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano; Carlo La Vecchia, epidemiologo dell’Università di Milano e Piergiorgio Zuccaio dell’Istituto Superiore di Sanità. Cosa dicevano gli studi? I dati erano pubblicati quel giorno sulla prestigiosa rivista scientifica Journal of American Medical Association16 17 e venivano ripresi da tutta la stampa internazionale, Economist18 e New York Times19 in testa. I dati infatti dimostravano per l’ennesima volta che la diagnosi precoce del tumore al polmone, in qualsiasi modo venga fatta (con radiografia, esame dello sputo o Tac spirale), non allunga la vita.
Anzi, lo studio pubblicato su Jama e l’editoriale pubblicato contemporaneamente dimostravano infatti che la diagnosi precoce nel caso del tumore al polmone aumenta addirittura il rischio di morte dei fumatori. Confrontando la sopravvivenza dei fumatori esaminati rispetto a quelli non esaminati si dimostrava che lo screening trovava sì più tumori di quanti ne vengono diagnosticati in un campione di popolazione altrettanto grande (144 contro 44), che faceva aumentare gli interventi chirurgici (109 contro 11), ma non che riducesse il numero di coloro che morivano della malattia (38 contro 39: differenza non statisticamente significativa). Non solo. Considerato che l’intervento chirurgico è invasivo e richiede l’apertura della gabbia toracica; che il 5% dei pazienti decede per l’intervento e che un altro 20-40% ne ricava complicazioni gravi, la diagnosi precoce si confermava come più dannosa che utile.
Ma quello stesso 7 marzo a pag 34 di Repubblica20, un giornalista che di solito non si occupa di salute intervistava su 5 colonne, a richiesta dell’interessata, Giulia Veronesi, figlia del noto chirurgo e direttore dell’Istituto Europeo di Oncologia, cioè la concorrenza privata del pubblico Istituto dei tumori, che ribadiva la tesi contraria: sosteneva infatti la ricercatrice che «con la tac spirale e con la Pet, la Tomografia a emissione di positroni è possibile diagnosticare i tumori del polmone nella loro fase iniziale, quando le possibilità di guarigione sono molto elevate» e ancora che «il 90% dei tumori scoperti è risultato operabile e che il 70% dei tumori identificati sono allo stadio uno, lo stadio a miglior prognosi, correlato a una sopravvivenza dei pazienti tra l’80 e il 90%». Da dove avesse attinto quei dati non si sa, ma certo il giornalista non era in grado di confutarli.

Non solo in Italia
L’informazione a dir poco approssimativa non è un’eccezione italiana se nel 2000 uno studio pubblicato sul New England Journal of medicine21 22 analizzava 207 articoli riguardanti tre farmaci apparsi sui maggiori media americani (Wall Street Journal, New York Times e Washington Post) e altri 33 giornali: nel 40% degli articoli mancavano dati e cifre sull’asserita efficacia dei farmaci tanto che chi leggeva non poteva farsi un’idea della loro utilità. L’83% del restante 60% degli articoli fornivano dati sull’utilità relativa. Di un farmaco sull’osteoporosi per esempio si affermava che riduceva il rischio di frattura dell’osso iliaco del 50%, miracoloso”. Su 100 persone che non avevano assunto il farmaco 2 si rompevano il femore. Quindi la riduzione del 50% consisteva nel passaggio da 2 a 1 frattura in coloro che assumevano per anni il farmaco, ma questo non era scritto in nessun articolo.

John Swaiton, caporedattore del New York Times
Nel 1890 John Swainton, caporedattore del New York Times disse ai colleghi che festeggiavano il suo pensionamento “Non c’è nessuno fra voi che oserebbe scrivere quello che pensa onestamente. Oggi l’attività del giornalista consiste nel distruggere la verità, nel mentire spudoratamente, per pervertire, umiliare, nell’onorare Mammona e vendersi per il pane quotidiano. Siamo strumenti, vasi di potenti che sono dietro le scene, … Loro tirano i fili e noi danziamo. I nostri talenti, la nostre possibilità, le nostre vite sono di proprietà di costoro. Siamo tutte prostitute intellettuali” 23.


1 Gilbody S, Wilson P, Watt I. Benefits and harms of direct to consumer advertising: a systematic review. Qual. Saf. Health Care 2005 Aug;14(4):246-50.
2 Dopo i medici, ora anche i cittadini. Informazioni sui farmaci anno 2007 - numero 1 http://www.informazionisuifarmaci.it/database/fcr/sids.nsf/pagine/8BBD58F907
9C658BC12572DF0030B234?OpenDocument
3 Giuseppe Del Bello Troppi battiti fanno ammalare il cuore Repubblica 4 settembre 2006 p 28
4 Medicina: occhio al polso; dopo 80 battiti è rischio Ansa.it 5 settembre 2006 ore 16,14.
5 http://www.medinews.it/files/index.cfm?id_rst=555 accessed 20 settembre 2007
6 http://www.emea.europa.eu/pdfs/human/referral/coversyl/3270303it.pdf accessed 20 settembre 2007
7 Moynihan R. The making of a disease: female sexual dysfunction. BMJ 2003; 326: 45-47
8 Moynihan RM, Cassels A. Farmaci che ammalano e case farmaceutiche che ci trasformano in pazienti. Nuovo Mondi Media 2005 cap. 10 Sovvertire le vendite: la disfunzione sessuale femminile p 164-181.
9 Moynihan R The making of a disease: female sexual dysfuncion. BMJ 2003; 326: 45-7.
10 Laumann EO, Paik Am Rosen RC. Sexual dysfunction in the United States: prevalence and predictors. JAMA. 1999 Feb 10;281(6):537-44.
11 http://www.medscape.com/viewprogram/3645_authors. Disclosure: Alessandra Graziottin, MD, has reported that she is on the speakers' bureaus of Janssen-Cilag,
Novo Nordisk, Organon, Pfizer, Procter & Gamble, Rottapharm, Schering, and Theramex, and that she serves on the Advisory Boards for Bayer, Boehringer-Ingelheim, Johnson & Johnson, Pfizer, Rottapharm, and Solvay. In addition, Dr. Graziottin has served as a consultant for Epitech Lab, Fater, Novo Nordisk, Procter & Gamble, Sanofi-Synthelabo, Rottapharm, and Theramex.
12 http://www.fsdeducation.eu/GB/Prog/index.htm From 1997 to 2001, Graziottin served on the board of the Italian Menopause Society, as Vice-President of the Female Sexual Function Forum (FSFF) from 2000 to 2001, and as President of the International Society for
the Study of Women’s Sexual Health (ISSWSH) from 2001 to 2002. She is currently a member of the board of the Italian Society of Psychosomatic Obstetrics and Gynaecology (ISPOG), the Italian Menopause Project (IMP), the European Society of Menopause and
Andropause (EMAS), the Italian Society of Gynecology of the Elderly (S.I.G.I.T.E.) and the International Society for Sexuality and Cancer (ISSC). In June 2004 she was awarded with Honorary Membership of the Society of Obstetricians and Gynaecologists of Canada. Frequently invited to international meetings, in October 1998 she participated as a member of the board of the First International Consensus Conference on Female Sexual Dysfunction (FSD), held in Boston.
13 Antonio Caperna Arriva il cerotto al testosterone?riaccende il desiderio nelle donne, repubblica.it 15 febbraio 2007. http://www.repubblica.it/2007/02/sezioni/scienza_e_tecnologia/cerotto-desiderio/cerottodesiderio/cerotto-desiderio.html
14 Adriana Bazzi, Arriva il cerotto del desiderio Corriere della sera luglio 2007, p 47
15 Simona Calmi, Pietro Dri I dubbi sul cerotto del piacere
http://www.partecipasalute.it/cms/?q=node/281
16 Bach PB, Jett JR, Pastorino U, Tockman MS, Szensen SJ, Begg CB: Computed tomography screening and lung cancer outcomes. JAMA 2007 Mar 7;297(9):953-61.
17 Black WC, Baron JA: CT screening for lung cancer: spiraling into confusion? JAMA. 2007 Mar 7;297(9):995-7.
18 Cancer Screening. Seeing is not always relieving, Screening for lung cancer may do more harm than good the Economist mar 8th, 2007 http://www.economist.com/science/PrinterFriendly.cfm?story_id=8810972
19 Gina Kolata Researchers Dispute Benefits of CT Scans for Lung Cancer New York Times march 7, 2007
20 Carlo Brambilla Tumore al polmone, così si batte. Repubblica 7 marzo 2007 p 34
21 Moynihan R, Bero L, Ross-Degnan D, et al. Coverage by the news media of the benefits and risks of medications. N Engl J Med 2000;342:1645-1650
22 Steinbrook R. Medical journals and medical reporting. N Engl J Med 2000; 342: 1668-1671
23 Cited in INDEX on Censorship, Vol. 30, No. 1, January 2001, p. 10.