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Acqua e sviluppo sostenibile: un progetto comune tra scienza e società

Tutti gli scenari futuri indicano la necessità di un ripensamento dei piani di gestione odierni e della filosofia di reperimento delle risorse idriche. Naturalmente questi scenari dovranno essere guidati da soluzioni politiche strutturali, in grado di mettere insieme il meglio delle conoscenze, pubbliche e private, nel campo delle scienze ambientali, e di creare nella società civile una profonda coscienza del risparmio e della tutela.





In questi anni dominati sempre più dalla corsa all'oro nero, il petrolio, fonte energetica non rinnovabile che sta minando purtroppo la stabilità economica degli Stati e la pace internazionale, organizzazioni di rilievo, come l'ONU e l'OMS ed altre organizzazioni governative e non, si stanno ammirevolmente prodigando per quello che invece sta diventando il problema dell’“oro blu”: l’acqua. Attraverso una serie di manifestazioni e giornate mondiali, sono stati diffusi dati allarmanti sulla crisi della risorsa acqua, sulle guerre che nascono per il suo accaparramento e per l’epidemie e le carestie che interessano i popoli che non la possiedono. Il dibattito sul diritto all'acqua è forte, e altrettanto forte dovrà essere la necessità di difendere un bene comune naturale che sembra allontanarsi dalla sfera dei diritti per essere inglobato in quella dell'economia.
L'acqua, fonte di vita e di salute non solo per l'uomo ma per tutti gli esseri viventi, è un bene fondamentale considerato sempre più indisponibile, il cui principio viene ora messo in discussione e minacciato di fronte alla logica di mercato da parte delle multinazionali, alcune delle quali già detengono il 40% del mercato mondiale e spartiscono il business dell'acqua potabile, creando regimi di oligopolio. Un processo pericoloso che specula su una risorsa vitale, paventando l'ipotesi che un domani avrà accesso all'acqua solo chi potrà acquistarla.

Il pianeta terra ospita enormi quantità di acqua ma solo il 2,5% è considerato potabile, e di questa minima porzione ben 3/4 si trova nelle calotte polari, e il rimanente è la nostra fonte di vita. Questi dati sono sufficienti per spiegare la corsa all’acqua che oggi sta mettendo in serio pericolo lo sviluppo di programmi globali rivolti al suo sfruttamento sostenibile, alla sua salvaguardia e alla salute delle persone e dell’ambiente.

L'Italia è un paese potenzialmente ricco d'acqua (il volume medio delle piogge risulta superiore alla media europea), la cui disponibilità "teorica", tuttavia, non coincide con quella "effettiva" a causa della natura irregolare delle piogge e dei deflussi, e delle carenze esistenti nel sistema infrastrutturale (opere di captazione, acquedotti, ecc.).
A riguardo della disponibilità idrica, l’ISTAT stima la ripartizione di acqua annualmente erogata in Italia e la connessa dotazione individuale nel 1999, in 303 l/ab/g. nel settentrione, e 214 nel meridione; Il Nord può contare sulla quasi totalità del prelievo da acque di falda (90%), mentre il Sud dipende da un 15 ad un 25% dalle acque accumulate negli invasi. Ciò rende strutturalmente il Nord meno esposto a crisi idriche rispetto al Sud. Inoltre, poiché molti degli invasi sono destinati ad usi plurimi, essi dovranno far fronte ad una domanda per usi non potabili esaltata dalla scarsa piovosità attuale e pregressa.

A livello mondiale il quadro della criticità oggettiva si delinea chiaramente quando si pensa che 1 miliardo 680 mila persone non hanno accesso all'acqua potabile e complessivamente circa il 40% soffre di carenze idriche. Percentuale destinata a salire; secondo le previsioni, nel 2050, una larga fetta della popolazione mondiale non avrà accesso all'acqua potabile, con serie ripercussioni sulla salute dell'uomo, sull'ambiente e sull'equilibrio economico e politico degli Stati, nonché sui loro rapporti in un'ottica di sviluppo e di pace.
Una delle cause principali a livello planetario della diminuzione della risorsa è ascrivibile senza dubbio ai cambiamenti climatici. Nonostante le cause non siano unanimemente condivise, è generalmente accettato che il clima del pianeta stia passando attraverso una fase di riscaldamento (IPCC, 2001). In ambienti a noi vicini tale consapevolezza trova riscontro nelle numerose evidenze che emergono dal clima Mediterraneo. In special modo nell’Italia peninsulare e nel Mediterraneo Occidentale è in corso una fase climatica caratterizzata da una diminuzione (anche se non così marcata) della pioggia media annua, accompagnata da un lieve aumento della temperatura. In queste aree tuttavia, gli anni 2002 e 2003 hanno registrato, a livelli storici, i due problemi apparentemente antitetici dell'eccesso e della carenza di acqua. Mentre è acceso il dibattito in sede scientifica sul cambiamento della piovosità totale in Europa e in particolare in Italia, non vi sono dubbi sui cambiamenti che interessano la distribuzione delle precipitazioni nell’arco dell'anno; una distribuzione che tende a diventare più irregolare, con precipitazioni intense che seguono a periodi prolungati di siccità. Gli effetti di queste irregolarità si traducono in ripetuti e violenti fenomeni di esondazioni fluviali e allagamenti urbani, che avvengono principalmente per il superamento, nei momenti di massima piena, della capacità di raccolta dei fiumi e delle condotte fognarie, nonché per l’irregolarità di flussi e deflussi dei corsi d'acqua.

graficaL’aumento di temperatura e la diminuzione delle piogge influenzano inevitabilmente anche il ciclo dell’acqua, riducendo notevolmente le riserve idriche. Sulla base dei dati annuali delle stazioni climatiche disponibili, ed assumendo che l’attuale trend climatico continui anche in futuro, si può stimare nei prossimi decenni per l’Italia centro-meridionale, una riduzione della capacità di immagazzinamento fino ad un massimo di 4-5 mm/anno, corrispondente in alcuni casi ad una diminuzione fino al 20% delle risorse idriche rispetto a quelle attuali. Studi recentissimi condotti in alcuni bacini montani campione dell’Appennino centrale, hanno accertato peraltro che in periodi particolarmente siccitosi (come ad esempio il 2006 e parte del 2007), tale diminuzione è arrivata a toccare valori circa doppi rispetto al quinquennio precedente, e addirittura vicini al 70% se confrontati con quelli degli anni ’60-’70 nelle stesse località. Pur trattandosi di situazioni estreme (recuperate e recuperabili spesso dopo qualche stagione) e limitate a singoli bacini più o meno estesi, tali condizioni hanno messo in crisi tutto il sistema di emergenze cosiddette “minori”, con la conseguente scomparsa di piccole sorgenti spesso cruciali per l’approvvigionamento idrico di nuclei abitativi o anche piccoli centri abitati.

Se il clima è un problema importante non secondaria è la causa delle perdite idriche degli acquedotti che sfiorano in alcuni casi il 50% dell'acqua utilizzata per bere dai paesi in via di sviluppo; a questo si aggiunge il problema di una mancata depurazione del 90% dei liquami e del 70% dei rifiuti industriali, che raggiungono i bacini idrici con gravi problemi alla salute dell’uomo. Un sistema che se non viene recuperato in un'ottica di sostenibilità avrà conseguenze stimate di gran lunga peggiori.

Oltre ai motivi sopra esposti, altro importante fattore che contribuisce a ridurre la disponibilità della risorsa e che può rendere l'acqua inadatta ai vari usi, in particolare agli usi pregiati quale quello potabile, è l'inquinamento. La qualità delle acque è oggi un problema ineludibile e bisognerebbe investire massicciamente in adeguate reti di monitoraggio che permetterebbero di valutare in tempo reale, lo stato di inquinamento e i metodi più efficaci e tempestivi di risanamento. Studi recenti sulle risorse idriche dell’Italia Centrale hanno evidenziato l’impellente necessità di mettere in opera una rete attendibile, più fitta dell’attuale, di dati idrometeorologici e in particolare di stazioni meteo in quota, dati piezometrici ed evaporimetrici, misure di portata anche di sistemi idrogeologici importanti. Senza una tale azione e nonostante le attuali conoscenze geologiche e gli odierni strumenti concettuali (modellistica, idrologia isotopica, ecc.), qualsiasi piano per prevenire e minimizzare efficacemente l’impatto delle variazioni climatiche sulle risorse idriche è destinato all’insuccesso.

La risposta alla richiesta di ulteriori risorse idriche non può trovare completa soluzione nel reperimento di nuove risorse, sempre a danno delle falde acquifere più o meno profonde. Anche perché queste, quando non sono captate, vanno in gran parte ad alimentare le acque superficiali, fondamentali per la vita dei fiumi e di tutti gli ecosistemi collegati. Possibili soluzioni andrebbero trovate nell’adeguamento delle opere di captazione esistenti, nel recupero delle numerose sorgenti abbandonate e nella differenziazione degli usi, impiegando correttamente, a seconda della qualità, le risorse idriche per scopi potabili, agricoli e industriali. Altre azioni importanti devono obbligatoriamente passare attraverso il riutilizzo di acque reflue (es. acque trattate dai depuratori), l’uso di tecniche irrigue mirate al risparmio idrico, introduzione di colture meno idro-esigenti e la progettazione di reti duali di adduzione.

Approfonditi studi idrogeologici permetterebbero di reperire e consigliare un uso adeguato di questa risorsa e anche di salvaguardare quelle che sono le aree di ricarica degli acquiferi più importanti e cioè di quelli che possiedono acque di elevata qualità. Inoltre, se le opere di captazione e la gestione delle acque sotterranee fossero basate su modelli di simulazione numerica, sarebbe sicuramente possibile avere piani di gestione migliori degli attuali.

In conclusione tutti gli scenari futuri indicano la necessità di un ripensamento dei piani di gestione odierni e della filosofia di reperimento delle risorse idriche. Naturalmente questi scenari dovranno essere guidati da soluzioni politiche strutturali, in grado di mettere insieme il meglio delle conoscenze (pubbliche e private) nel campo delle scienze ambientali, e di creare nella società civile una profonda coscienza del risparmio e della tutela.

Medesime soluzioni andrebbero adottate nel revisionare l’efficacia e l’applicabilità delle normative vigenti in materia di risorse idriche (superficiali e sotterranee). La loro disciplina è stata nel tempo caratterizzata da una serie di leggi e disposizioni, spesso circoscritte ed eterogenee, che rendevano difficile una programmazione ad ampia 
scala che interessasse tutto il ciclo dell’acqua. Un passo fondamentale, nella gestione e programmazione delle risorse idriche, è stato effettuato dalla Legge Galli (L. 36/1994). La Legge Galli pone in evidenza, tra i vari obiettivi, il principio di solidarietà tra le popolazioni, il miglioramento dell’efficienza tecnica ed economica del servizio idrico a tutti i livelli eliminando i disservizi quali-quantitativi prodotti da un servizio idrico frammentario. Altre leggi, come il D.L. 152/99, pur introducendo nuove forme di tutela dall’inquinamento e il concetto di zona di rispetto delle sorgenti, non comprendono nessuna modificazione sostanziale dei precedenti provvedimenti.

Un principio innovativo importante della Legge Galli è stato quello dell’introduzione degli Ambiti Territoriali Ottimali (ATO) entro cui dimensionare la gestione del ciclo dell’acqua ed il relativo servizio (gli ATO sono destinati a confluire nelle Province). Le Regioni, però, nell’individuare la superficie degli ATO, hanno prevalentemente preso come area di riferimento il territorio provinciale piuttosto che l’unità del bacino idrografico previsto dalla Legge Galli. La natura non può avere limiti amministrativi e tanto meno la risorsa idrica che risponde a regole dettate da strutture idrogeologiche poste nel sottosuolo: i principi legislativi sono validi, ma come al solito sbagliamo ad applicarli.