Un progetto per diffondere la cultura dell’accessibilità
nelle tematiche della progettazione sull’ambiente
cittadino, insieme agli Istituti Universitari e di Design
italiani, introducendo e sostenendo nella loro proposta
formativa, un’attenzione maggiore alle esigenze
e alle aspettative dei profili di utenza non assimilabili
solo all’adulto-medio-sano. L’obiettivo è
stimolare un processo culturale che conduca a elaborare
naturalmente progetti di qualità per tutti gli
uomini: progettare per tutti significa infatti pensare
a una città più vivibile e sicura non solo
per i bambini, donne incinte, anziani, ipovedenti, persone
con handicap temporanei in genere, ma elevare la qualità
della vita di tutti i suoi utilizzatori.
Fruibilità. Cosa si intende con il termine fruibilità?
Nel dizionario Devoto-Oli troviamo: “totale godimento
e uso, riconosciuto come diritto, di un’opera d’arte,
di un edificio, di un ambiente, di un servizio, senza
mettere a repentaglio la propria o altrui sicurezza e
senza che siano necessari particolari accorgimenti da
parte del soggetto fruitore per tale utilizzo”.
Con questa definizione si mettono in gioco dei concetti
fondamentali: totale godimento del bene, sicurezza,
assenza di accorgimenti particolari per tale godimento.
Parlando di città i beni di riferimento sono
gli edifici, le strade, i servizi pubblici in generale,
dai telefoni ai trasporti.
Parlando di progettazione i riferimenti sono le caratteristiche
funzionali e estetiche del bene, prodotto o servizio,
il rispetto delle normative vigenti.
Ogni progettista sa bene come la sua creatività
e lungimiranza debba sempre fare i conti con le normative:
norme urbanistiche e ambientali, sicurezza, inquinamento
acustico, regolamenti edilizi locali.
Il quadro legislativo é ampio e variegato, gli
strumenti per perseguire un ambiente urbano maggiormente
fruibile non mancano. Ricordo le norme sull’eliminazione
delle barriere architettoniche, emanate in Italia dal
1968 in poi. Queste norme sono in genere state associate
solo alla disabilità motoria permanente, e a
lungo non applicate da tecnici e Amministrazioni, poiché
considerate un fardello che limita la creatività
e le qualità estetiche degli edifici.
Cultura, fruibilità, progetto
Il mondo del lavoro richiede oggi soprattutto capacità
di apprendere e di stabilire relazioni fra le cose e
i fatti, quindi non è più necessario scartare
le persone più deboli e più anziane come
lo era quando il prestatore d’opera forniva sostanzialmente
la sua capacità di eseguire il lavoro, compiendo
sforzi. Le capacità intellettive e l’esperienza
sono diventate un patrimonio diffuso da preservare e
conservare; tutti gli individui sono necessari alla
società, non fosse altro come consumatori, e
come tali hanno diritto ad una vita autonoma e piena.
L’eliminazione delle barriere architettoniche
rappresenta un obbiettivo di grande rilevanza sociale
che va oltre un semplice atto di solidarietà
e rispetto per le categorie più deboli. La costruzione
di una città priva di ostacoli e accessibile
a tutti, infatti, é la pietra angolare per la
promozione di una nuova cultura civile che aumenta la
forza e le potenzialità della società
intera rendendola capace di grandi slanci anche in altri
campi. Se infatti una città non é in grado
di dare risposte concrete ai suoi abitanti più
indifesi, difficilmente potrà essere capace di
affrontare le altre importanti sfide che il processo
di modernizzazione pone a cittadini e istituzioni.
La qualità degli spazi architettonici é
data anche dalla loro vivibilità: il ruolo del
progettista deve essere quello di confrontarsi con le
esigenze abitative dell’uomo, e di creare forme
e spazi di qualità, fruibili in modo autonomo
da parte di tutti.
Sembra che le rampe, ad esempio, siano state introdotte
per favorire l’accessibilità ai disabili
motori. E’ noto invece come nei grandi esempi
di architettura il muoversi sia fattore determinante
per la concezione e comprensione della stessa (vedi
Promenade architecturale di Le Corbusier)
Garantire l’accessibilità del costruito
non é solamente superare una differenza di quota
ma é legare l’architettura al movimento.
Al di là del rispetto formale delle norme, il
professionista dovrebbe applicare criteri di buona progettazione,
che pongano particolare attenzione alle caratteristiche
fisico-percettive di tutti e alle loro esigenze rispetto
all’ambiente costruito. Questo implica aver recepito
nella cultura comune il concetto di diversità,
e di fruibilità per tutti.
Il linguaggio.
Nonostante l’argomento normative in generale,
appaia arido e senza implicazioni nella sfera della
creatività, é interessante notare come
il tema che riguarda la normativa per il superamento/
l’eliminazione delle barriere architettoniche
rispecchi l’evolversi della nostra società
e come il recepimento di un corretto approccio implichi
una sorta di rivoluzione anche nel progetto. Si prenda
ad esempio la terminologia usata nelle norme per il
superamento delle barriere architettoniche.
Questa parola, traduzione di “architectural barriers”,
compare in Italia per la prima volta più di 30
anni fa, con notevole ritardo rispetto ai Paesi anglosassoni.
Si parla di “barriere architettoniche” e
di “individui fisicamente menomati” in una
legge del 1967 sugli “Standard residenziali”
e in seguito anche di “barriere psicologiche”
nella circolare 4809 del 1968, che conteneva norme per
assicurare l’utilizzazione degli edifici sociali
da parte dei “minorati fisici”.
In una legge del 1971 si parla di facilitare la vita
di relazione dei “mutilati e invalidi civili”
negli edifici pubblici o aperti al pubblico, in quelli
di interesse sociale e nelle scuole, e in una legge
del 1978 anche nei trasporti pubblici. Sui trasporti
e sulla mobilità vengono in seguito emanate molte
norme e vengono usati anche termini come “ persone
con problemi di movimento”, “persone con
capacità di deambulazione sensibilmente ridotta”,
“individui con limitate/impedite/ridotte capacità
motorie, temporanee o permanenti (anziani, handicappati)”,
“categorie svantaggiate di utenti” riferiti
a “abbattimento, eliminazione, superamento delle
barriere architettoniche e delle fonti di pericolo”.
Il piano generale dei trasporti del 1984 parla di “accessibilità”
e di “conforto”, ricordando che l’utenza
si va sempre più evolvendo verso classi di età
più alte.
Il termine “barriera architettonica” viene
in seguito meglio definito, intendendo gli “ostacoli
fisici che sono fonte di disagio per la mobilità
di chiunque ed in particolare di coloro che, per qualsiasi
causa, hanno una capacità motoria ridotta o impedita
in forma permanente o temporanea” , ma anche “la
mancanza di accorgimenti e segnalazioni che permettono
l'orientamento e la riconoscibilità dei luoghi
e delle fonti di pericolo per chiunque e in particolare
per i non vedenti, per gli ipovedenti e per i sordi”.
Compare il termine “barriere localizzative”
intendendo con ciò “ogni ostacolo o impedimento
della percezione connessi alla posizione, alla forma
o al colore di strutture architettoniche e dei mezzi
di trasporto, tali da ostacolare o limitare la vita
di relazione delle persone affette da difficoltà
motoria, sensoriale e/o psichica, di natura permanente
o temporanea dipendente da qualsiasi causa”.
I termini contenuti in alcune norme regionali si evolvono
poi in “garantire l’autonomia” a “soggetti
con difficoltà motoria, sensoriale, psichica
di natura permanente o temporanea”, per giungere
finalmente a parlare di “tutti i cittadini”,
e di tener conto delle “variazioni delle esigenze
individuali” e delle “diverse caratteristiche
anatomiche, fisiologiche, senso-percettive” delle
persone.
Nel 1989 le norme contengono delle innovazioni fondamentali
che introducono i concetti di accessibilità,
visitabilità, adattabilità, tre livelli
di qualità dello spazio.
L’accessibilità è la possibilità
per una persona con disabilità fisiche o sensoriali,
di fruire completamente di uno spazio costruito e non,
in modo autonomo e senza compromettere la propria sicurezza.
Siamo quindi tornati alla fruibilità, lungo un
percorso di termini che rispecchiano il modo di pensare
comune, la cultura comune.
Comunemente la persona disabile, viene generalmente
inserita in categorie più o meno definite, e
detta “portatore di handicap” più
o meno grave, permanente o temporaneo.
La “disabilità” viene classificata
patologica (ad esempio sclerosi, paraplegia) o fisiologica
(come l’infanzia, la gravidanza, la vecchiaia),
di tipo fisico (usualmente riferita all’apparato
locomotore), sensoriale (usualmente riferita a problemi
di vista o di udito), psichico-cognitivo (ad esempio
disturbi comportamentali), ma può essere anche
culturale.
In realtà non ha molto senso cercare di elaborare
liste di categorie e dettagliare caratteristiche, ma
è fondamentale invece porre l’attenzione
sulle esigenze dell’uomo, tenendo conto dei delle
diverse abilità e dei diversi bisogni degli utenti:
è necessario ampliare il consueto quadro di riferimento
per fare in modo che ogni ambiente/prodotto possa essere
fruito dal maggior numero possibile di utenti.
Siamo ormai consci che ciascuno di noi può avere
dei problemi ad interagire con l’intorno costruito:
un bimbo, un anziano, una donna in stato di gravidanza,
una persona con una gamba ingessata o con pacchi pesanti,
possono avere difficoltà a salire sui mezzi pubblici
a causa dei gradini; una persona anziana può
anche avere difficoltà ad alzarsi da una panchina
troppo bassa e senza braccioli o a riconoscere la strada
per il luogo pubblico che stava cercando; persone che
non conoscono la lingua e le usanze del paese straniero
che li ospita possono avere problemi oltre che di comunicazione,
di accesso alle informazioni e di orientamento.
Per raggiungere una situazione di confort, le diverse
abilità utilizzate per svolgere le attività
umane, devono essere compatibili con il mondo che ci
circonda. La compatibilità con il prodotto o
ambiente dovrà essere di ordine funzionale, linguistico,
semantico, culturale. Ad esempio, l’ascensore
può essere apprezzato da una grande fascia di
utenti, tranne da chi soffre di claustrofobia, mentre
i gradini possono a volte essere preferiti alle rampe,
nel caso di problemi all’articolazione della caviglia:
l’ideale é che il progetto fornisca modalità
alternative di fruizione dello spazio, e che per l’
uso dei manufatti sia necessario uno sforzo psico-fisico
di adattamento minimo rispetto non solo alle soglie
umane, ma ad abilità umane che possono essere
molto diverse. E’ necessario caldeggiare un approccio
più olistico al tema, che comprenda il concetto
di “abilità” come caratteristica
umana, e della sua compatibilità nell’interazione
con l’ambiente.
Anche l'Istituto Europeo per il Design e la Disabilità,
fondato a Dublino nel 1993 per gettare un ponte progettuale
tra il mondo del design e quello della disabilità,
si sposta lentamente nella seconda metà degli
anni 90 dal concetto di progetti speciali pensati per
utenze speciali ad un approccio più olistico
come: “Design for All”.
La didattica. I temi legati alle fruibilità non sono
nuovi nella didattica. L’IIDD ha organizzato un
convegno internazionale a Bologna, nel Maggio ’96,
sul tema: “Teaching for tomorrow. La didattica
per l’insegnamento del design applicato alla disabilità”
. Le normative vigenti dopo il 1989 hanno costretto
i tecnici a progettare senza barriere architettoniche.
Ciò che è auspicabile è un ulteriore
passo in avanti, introducendo l’approccio olistico
di cui si è accennato.
A questo scopo l’I.I.D.D., in collaborazione con
la Triennale di Milano, ha promosso per l’Anno
Accademico 2001/2002 il progetto Cittàbile, sul
tema della fruibilità della città.
L’IIDD ha presentato l’iniziativa alla Triennale
di Milano proprio il 3 dicembre 2001, Giornata Europea
delle persone disabili, che questo anno ha come tema
il “Design for All”.
L’IIDD Istituto Italiano Design e Disabilità,
delegazione tematica dell’ADI Associazione per
il Design Industriale, ha proposto ai docenti delle
Università e Istituti di design che hanno aderito
all’iniziativa Cittàbile, la raccolta di
lavori espressamente elaborati o che sono già
stati sviluppati dagli studenti in anni precedenti,
che riguardino la progettazione delle attrezzature urbane,
dei percorsi, della segnaletica, delle problematiche
relative al traffico di parti della loro città,
tenendo conto anche delle specifiche esigenze di bambini,
anziani e persone disabili.
L’IIDD si è proposta come referente e coordinatore
del Progetto, allo scopo di ottenere soluzioni progettuali
con un alto livello di qualità e di mettere in
relazione i risultati raggiunti con il mondo delle Amministrazioni
locali, per ripensare gli interventi nella loro città
in modo che questa possa essere più vivibile
e fruibile da parte della più ampia gamma di
popolazione possibile.
Con questa iniziativa si vuole stimolare un approccio
progettuale che sopperisca alle carenze di un progetto
“standard” e ai limiti di un progetto “speciale”,
e sia più vicino ai postulati proposti dall’ergonomia,
un approccio che sia basato su un quadro esigenziale
ampliato che inglobi i bisogni e le aspettative dei
diversi profili di utenza, così che ogni ambiente/prodotto
possa essere fruito dal più ampio range di popolazione.
L’obiettivo finale è la raccolta, esposizione
e valorizzazione di esempi di progettazione di prodotti/ambienti
accessibili, comunicativi, confortevoli e sicuri nell’uso
per il maggior numero di utenti possibile, sui seguenti
temi possibili:
- percorsi pedonali e spazi di relazione;
- sistemi di moderazione del traffico;
- mezzi di trasporto;
- attrezzature urbane;
- sistemi di segnaletica;
- accessibilità agli edifici pubblici;
- aree a verde pubblico.
L’IIDD ha costituito un Comitato Scientifico interdisciplinare,
che ha definito le linee guida e gli obiettivi del Progetto,
che resta a disposizione per fornire una consulenza
per i temi di sua competenza, di supporto agli studenti
che aderiscono all’iniziativa.
Saranno particolarmente apprezzati i progetti che tengano
conto della pluralità dei problemi connessi con
la complessità della città e delle linee
guida.
Per l’Anno Accademico 2001/2002 hanno aderito
a Cittàbile 15 docenti, appartenenti a diverse
scuole, tra cui le Facoltà di Architettura di
Ferrara, Torino, Milano, Genova, Venezia (IUAV), l’Università
degli Studi di Firenze, la Facoltà di Ingegneria
del Politecnico di Torino, la Facoltà di Psicologia
di Padova, IED di Milano e Roma, IID di Perugia.
Lo scopo del Progetto è di diffondere la cultura
dell’accessibilità nelle tematiche della
progettazione sull’ambiente cittadino, insieme
agli Istituti Universitari e di Design italiani, introducendo
e sostenendo nella loro proposta formativa, un’attenzione
maggiore alle esigenze e alle aspettative dei profili
di utenza non assimilabili solo all’adulto-medio-sano.
Si vuole cioè stimolare un processo culturale
che conduca a elaborare naturalmente progetti di qualità
per tutti gli uomini: progettare per tutti significa
infatti pensare a una città più vivibile
e sicura non solo per i bambini, donne incinte, anziani,
ipovedenti, persone con handicap temporanei in genere,
ma elevare la qualità della vita di tutti i suoi
utilizzatori.