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Copertina della rivista

Ragazza bionda con braccia aperte

Restituire all’uomo la capacità di indipendenza

Divulgare, ovvero dis e vulgare, spandere tra la folla, al vulgus. Rendere cioè comprensibile ad una vasta cerchia di persone concetti spesso difficili esponendoli in modo chiaro e semplice. Dunque qualità fondamentale e precipua del divulgatore è la semplicità e la chiarezza.

Purtroppo oggi queste due virtù, semplicità e chiarezza, sono confuse con due gravi difetti, presenti tra coloro che lavorano come divulgatori, soprattutto nel mondo dei media: il pressappochismo, sia quello in buona fede, che tende a nascondere l’ignoranza, sia quello ben peggiore in mala fede, che non divulga concetti per poter capire ma per convincere. Da divulgatore a persuasore, magari occulto.

E la ricerca di un linguaggio apparentemente tecnico e specialistico che nasconde ignoranza. In questo contesto gioca un ruolo nuovo e fondamentale la rete Web, il mondo di Internet. Di cosa parliamo dunque oggi? Cosa raccontiamo a chi ci legge e ci ascolta? In fondo ogni cittadino pensante può arrivare in maniera diretta alle fonti, senza filtri. Ma anche senza pregiudizi? Osservate bene: tutti i diversi sottosistemi, ferroviario, postale, aereo, telefonico, di produzione dell’energia e via dicendo, sono unificati dal computer che ha permesso la nascita di un “Tutto organizzato” che, come scriveva Jacques Ellul, modella, trasforma, controlla e tende, a poco a poco, a confondersi con esso.

Tutti i settori sono interconnessi, interagiscono uno con l’altro, condizionano e sono condizionati dagli altri. In buona sostanza, l’informatica permette la crescita illimitata delle organizzazioni economiche e amministrative. Non dico che la società sia oggi una enorme macchina di cui noi umani siamo solo piccoli ingranaggi. Ma a mio avviso la nostra libertà è un poco in crisi. Dobbiamo consumare. Primo comandamento del nostro tempo, quindi dobbiamo lavorare per produrre ciò che appunto dobbiamo consumare, secondo comandamento. Terzo, è obbligatorio divertirsi, che poi è un consumare all’ennesima potenza. Se rispettiamo le direttive del sistema siamo certamente liberi di operare le nostre scelte, liberi e sovrani. Ma è una libertà artificiale e certamente sotto stretto controllo. Ecco, oggi i giornalisti sono quasi sempre dei guardiani del sistema.

Per uscire dall’accerchiamento, per adottare comportamenti diversi da quelli ritenuti normali, occorre una buona dose di eroismo. Viviamo del resto nell’era del politicamente corretto, con tutto quello che ne consegue in termini di atteggiamenti assolutamente conservatori. Vedete, a me sembra che oggi un pò tutti noi abbiamo perso il fine. Il sistema si auto rigenera ma è cieco. Non sa dove va, non ha disegno né obiettivo. La tecnica cresce ogni giorno, ciò che oggi sembra impossibile domani sarà normalità. Sempre Ellul disse, prendendo una grande cantonata: “Il computer non potrà mai giocare a scacchi”.

Ragazza bionda con braccia aperte

Gli amanti del genere sanno che oggi il discorso è: “Non puoi battere il computer a scacchi”. Il sistema cresce, l’artificializzazione (va bene, termine orrendo, ve lo concedo) ci porta verso un mondo alienante e soprattutto sempre più imprevedibile. Non siamo più capaci quindi di correggere in corsa i nostri inevitabili errori. Tornare indietro nel tempo? Alla romantica, roboante locomotiva che il mio trisnonno collaudava per le Ferrovie dello Stato, fino a quando l’ultimo modello esplose proprio mentre transitava sotto casa, e alla trisnonna non rimase che un ammaccato orologio da tasca? No di certo. Penso però che si possa ritrovare un senso critico oggi narcotizzato dalla razionalità dominante e prendere coscienza che questo è un sistema globale. Comprenderlo, dunque, per riprendere la capacità innata dell’uomo, da sempre, di poter agire su di esso.

Pochi ci pensano, ma nella società contemporanea si lavora così tanto e in così tanti come mai nella intera storia dell’umanità. La dignità del lavoro, quell’operare che appunto dà dignità all’uomo, è poi conquista recente. Fino a San Benedetto, ai monaci che pregavano, ora, e lavoravano, labora, il lavoro era sinonimo di schiavitù, sottomissione, poco più che bestie da soma. In questo concordo con lo storico inglese Roger Scruton che individua proprio nel Cristianesimo l’origine del Capitalismo, a differenza di altri che datano la sua nascita con la Riforma protestante. Siamo però nell’epoca della tirannia dei numeri e la tecnica crea più tempo per l’uomo a svantaggio però dello spazio. Oggi c’è un importante dibattito politico sulla possibilità di conciliare, ad esempio, tecnica con democrazia. Perfino le guerre oggi sono senza dubbio banchi di prova per la tecnica. Si dà sempre più importanza al divertimento, che Ellul definiva come “funzione respiratoria del sistema”. Riflettete: oggi ci confrontiamo con domande che non hanno mai trovato una risposta.

Ragazza biondaSe applicassimo fino in fondo il processo di automazione totale delle funzioni più faticose, dei cosiddetti bad jobs, come potremo risolvere gli enormi problemi di disoccupazione, i problemi economici, già peraltro sotto l’occhio di tutti? Siamo davvero liberi di scegliere? Come consumatori non c’è dubbio. Ho centinaia di modelli di auto tra cui scegliere quella a me più adatta. Posso sfogliare migliaia di cataloghi per fare una vacanza. Infinite possibilità di scelta tra tessuti, jeans, costumi e lingerie. Ma si tratta sempre di prodotti.

Abbiamo più possibilità di scelta a livello consumistico, possiamo pure criticare col consumerismo, ma a livello del ruolo nel corpo sociale, delle funzioni e della condotta, siamo di fronte ad una considerevole riduzione.

Mi chiedo e vi chiedo: fino a quando la tecnica accrescerà il proprio dominio? Rallenterà la curva ascendente e poi si stabilizzerà? Riusciremo in futuro ad assimilare l’incredibile progresso tecnologico, l’uomo si radicalizzerà in questo sistema, sarà in grado di auto correggersi? Si parla per questo del concetto politico di “sviluppo sostenibile” del cosiddetto “principio di precauzione”.

Ma se l’uomo alla fine si correggesse solo per meglio sottomettersi alla cosiddetta “dittatura dei numeri?”. Karl Marx sosteneva che il primo gradino verso la libertà consiste nel prendere coscienza delle catene che ci legano, delle alienazioni che ci condizionano. Penso che il compito di un divulgatore possa essere più alto di quello che oggi è, nei fatti: l’importante è restituire all’uomo la capacità di indipendenza, invenzione e immaginazione.

Il divulgatore deve cercare di spingere i suoi contemporanei a pensare, fornirgli delle carte che gli consentano di fare un buon gioco. Non a imporgli il mio, si badi bene. Con Ellul penso di poter affermare che “solo la riscoperta dell’iniziativa individuale è, per questi nostri tempi, fondamentale”. Dobbiamo, dovremmo, essere capaci di mettere nero su bianco dei veri manuali di insubordinazione.