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Ci voleva il Papa. C’era bisogno delle parole del Santo Padre per alzare un pesante velo, fatto di paure, pregiudizi e ipocrisia. Adesso tutti riconoscono a noi disabili il diritto ad esercitare liberamente la nostra sessualità. A vivere di affetti, di passioni, come gli altri. Ora sono tutti d’accordo. A parole. Ma non basta. Io sono disabile, invalida al cento per cento per via di una malattia, l’atrofia spinale, che ho ereditato nel mio Dna. Ho quarant’anni e sono felicemente fidanzata con un uomo normodotato (cioè senza handicap) della mia età. Con lui ho un rapporto affettivo e sessuale completo e soddisfacente. Viviamo insieme, dormiamo insieme, facciamo l’amore, litighiamo, facciamo pace. Niente di strano, si potrebbe pensare.Per noi no, non c’è niente di strano. Ma quando la gente ci vede mentre ci diamo un bacetto o ci facciamo qualche coccola in pubblico, ecco che pregiudizi e ipocrisie vengono fuori.


Non dicono nulla, ma io so esattamente quello che pensano, come fossero dei fumetti, a cui leggi le nuvolette sopra le teste: “Vedi quei due, chissà lui com’è sensibile per stare con una così”. Oppure, i più evoluti: “Certo che quella donna deve avere qualche qualità nascosta, deve essere molto intelligente. Altrimenti non si spiega come mai lui ci stia insieme”.

E poi concludono: “Speriamo che non la faccia soffrire”.

Nessuno che venga almeno sfiorato dall’idea che lui mi ami per quello che sono, che mi consideri la donna più bella del mondo, come accade sempre ad un innamorato. Che mi desideri, che adori fare l’amore con me, anche se non posso muovermi nel letto. No, per la gente io sono l’handicappata, un essere asessuato, magari intelligente, ma certo senza alcuna possibilità di piacere, di sedurre.

Ci voleva il Papa, per riconoscere anche a noi disabili questo “diritto di cittadinanza”.

Ma le sue parole serviranno a poco se la cultura della diversità non comincerà a farsi largo nella pagine dei giornali, nei programmi televisivi, nelle teste della gente. Io sono diversa come tutti lo sono. Sono molto più diversa, ma solo perché quelli come me si vedono poco in giro, stanno ancora troppo chiusi in casa, nonostante l’Anno Europeo delle persone con disabilità (che, va detto, ci ha fatto molta pubblicità). E se il disabile non ha ancora libero accesso in società la colpa non è solo dei politici o delle barriere architettoniche.

E’ lui stesso, o la sua famiglia, che ha paura. Ha paura di uscire, di farsi vedere, figuriamoci di comunicare con gli altri, di mettersi in gioco in un rapporto d’amore. Quante mamme tengono a casa i loro figli, cercano di soddisfare loro i bisogni sessuali pur di non farli uscire, di non rischiare di perderli (affettivamente, s’intende). E quanti disabili per paura di un rifiuto si nascondono dietro l’alibi dell’handicap. Le cose stanno cambiando, per fortuna. Ma questa è ancora la realtà, nella maggior parte dei casi. Ci voleva il Papa, perché tutti se ne accorgessero. Ora ci vogliamo tutti noi, perché dalle parole si passi ai fatti.



 
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Ileana Argentin
Presidente di Dynamic Air e Consigliere delegato del Comune di Roma per i problemi dell’handicap.
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